Zimbabwe: gli ortaggi irrigati con scarichi di rifiuti umani

La necessità aguzza l’ingegno. Questo è particolarmente vero nel caso dello Zimbabwe, dove la mancanza di acqua pulita e di strutture per l’irrigazione sta costringendo alcune donne a ricorrere alle acque di scarico. Maria Saungweme ad esempio, 42 anni, commerciante in nero e madre celibe di una periferia a basso reddito di Glen Norah nella […]

La necessità aguzza l’ingegno. Questo è particolarmente vero nel caso dello Zimbabwe, dove la mancanza di acqua pulita e di strutture per l’irrigazione sta costringendo alcune donne a ricorrere alle acque di scarico.
Maria Saungweme ad esempio, 42 anni, commerciante in nero e madre celibe di una periferia a basso reddito di Glen Norah nella capitale dello Zimbabwe Harare, usa l’acqua del fiume piena di liquami per irrigare il suo appezzamento di ortaggi di due acri. “Non sono orgogliosa di dire questo, ma considero i liquami che vengono scaricati nel fiume come una benedizione perché fanno crescere bene e velocemente i miei ortaggi. Vendo i miei ortaggi ad altri commercianti da anni e guadagno abbastanza da prendermi cura dei miei bambini”, ha detto Saungweme.
Ha affermato di non aver ricevuto lamentele dai suoi clienti, ma ha ammesso che la sua famiglia non consumava i suoi prodotti e preferiva acquistarli da altri venditori.

Ricerche scientifiche hanno scoperto che consumare verdure irrigate con materiali di scarico comporta rischi per la salute. Uno studio del 2009 della Jos University in Nigeria, pubblicato negli Annali di Medicina Africana, ha scoperto che le “persone che consumano ortaggi irrigati con acqua di scarico non trattata sono esposti al rischio di infezioni di ascaride, ameba e verme solitario.”
Ma Saungweme ha insistito che lei non era la sola a vendere ortaggi irrigati con acqua del fiume. “Una gran quantità di ortaggi che vengono venduti nella maggior parte delle periferie sono fertilizzati con acque di scarico che scorrono nei fiumi”, ha detto.
In un insediamento informale a circa 2 chilometri dall’appezzamento di Saungweme, circa 10 famiglie dipendono dall’acqua contaminata per bere, cucinare, fare il bagno e lavarsi. “Qual è il problema con l’acqua? I miei occhi mi dicono che è trasparente e l’abbiamo usata da quando siamo arrivati qui nel 2005. Certo, ogni tanto alcuni occupanti di qui muoiono, ma non capisco perché le loro morti debbano essere ricollegate all’acqua”, ha affermato un ragazzo residente nell’insediamento, che si è identificato come Jeff.

L’incapacità di migliorare il sistema delle acque di scarico in Harare e Chitungwiza, un villaggio di dormitori a circa 35 chilometri a sudest della capitale, ha fatto sì che le due municipalità scarichino rifiuti umani grezzi negli affluenti del fiume Manyame che sfocia nel lago Chivero, la principale risorsa d’acqua dei residenti di Harare e Chitungwiza, ha detto al parlamento l’ impiegato della municipalità di Harare Tendai Mahachi di recente. A causa dello scarso sistema di reti e dei prodotti chimici inadeguati, la municipalità è stata in grado di trattare solo 54 dei 144 megalitri di acque di scarico prodotti ogni giorno, che significa che la maggior parte delle acque non sono state trattate, ha detto.
Il sistema di acque di scarico di Harare “era concepito per una popolazione molto inferiore a quella attuale”, ha dichiarato al parlamento. Stime ufficiali riportano che la capitale ha una popolazione di 1.5 milioni di persone, ma stime indipendenti indicano che il numero di persone potrebbe raggiungere i tre milioni.
In un rapporto recente, il sindaco di Harare Muchadeyi Masunda ha affermato che il 60% dei residenti della capitale non avevano accesso all’acqua pulita, ed il 10% dipendeva da perforazioni trivellate e pozzi non protetti. Fra gennaio e marzo quest’anno, Harare è stata colpita da uno scoppio di febbre tifoidea – attribuito alla grave mancanza d’acqua e alle povere condizioni e pratiche sanitarie – con più di tremila persone che hanno cercato delle cure e con il ministero della Sanità che ha registrato due morti.

Gli effetti del disastro economico dello Zimbabwe nel 2000, che ha visto una crescita esponenziale dell’inflazione ed il rapido declino dei servizi sociali, ha lasciato una situazione dove “niente funziona”, ha detto Mahachi.
Da quando uno scoppio di colera nel 2008 ha provocato quattromila morti, l’Unicef nello Zimbabwe e donatori internazionali hanno aiutato le municipalità a purificare le acque fornendo prodotti chimici di sterilizzazione/clorurazione, rinnovando le infrastrutture delle reti idriche e perforando pozzi.
Peter Salama, rappresentante nazionale dell’Unicef, ha affermato che la fine degli interventi era prevista per Giugno 2011, ma che dopo un appello delle autorità locali, era stata estesa alla fine del 2012. L’Unicef sta ora eliminando gradulamente la consegna di prodotti chimici di trattamento delle acque sulla base di promesse da parte di funzionari municipali che ora sarebbero in grado di fornire i propri prodotti.

Tuttavia, rimangono dubbi sul fatto che i comuni siano in grado di provvedere a se stessi, considerato che il governo deve ancora rilasciare 50 milioni di dollari statunitensi di sovvenzioni che sono stati approvati a febbraio per il risanamento ed il trattamento delle infrastrutture idriche.
Salma ha affermato che i pozzi scavati durante lo scoppio di colera del 2008 per alleviare la mancanza d’acqua stavano collassando o si stavano prosciugando e dovevano essere riparati. “Non è comunque auspicabile avere pozzi come soluzione a lungo termine al problema dell’acqua; le tubature sono la strada da prendere” ha detto, aggiungendo che la sua agenzia rimaneva impegnata a promuovere l’accesso all’acqua sicura nonostante la graduale eliminazione degli interventi di purificazione.
William Nduku del Forum di Educazione Ambientale, una ONG locale, ha affermato che le acque di scarico non erano soltanto inquinate: “La contaminazione delle acque per il consumo umano non si limita allo scarico di liquame grezzo nei fiumi ma comprende quello di rifiuti e l’inquinamento industriale che pongono rischi per la salute e minacciano la biodiversità,” ha concluso. (Traduzione di Sara Marilungo)

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