Ancora una volta il mostro ti vive accanto e non viene da un estraneità che ignori.
Uomini che uccidono perché vedono capovolto l’ordine precedente delle proprie esistenze, la perdita dell’antico potere e dei più elementari diritti.
Che però non si trasforma in un’interrogazione sui propri limiti ed errori, ma è vissuta come una vera e propria destituzione, un’abiura, il disconoscimento del posto che ritenevano fosse il loro.
Dietro l’assassinio di una moglie o di una fidanza non è difficile intravedere la furia di un potere morente.
Vanessa Scialfa, 20 anni è stata strangolata dal fidanzato, il 34enne Francesco Lo Presti, che ha confessato l’omicidio dopo un lungo, stringente interrogatorio. L’uomo avrebbe strangolato Vanessa, quindi dopo avere gettato il corpo da un cavalcavia, sarebbe andato dai carabinieri a denunciarne la scomparsa raccontando del litigio al termine del quale lei era uscita da casa.
I militari avevano interrogato Lo Presti per 12 ore, ma il giovane aveva continuato a dare quella versione dei fatti, senza cadere in contraddizioni.
Ma questa mattina Lo Presti e’ stato nuovamente sentito negli uffici della questura e al suo racconto sarebbero cominciate ad emergere incongruenze.
Messo di fronte all’evidenza e’ crollato ed ha condotto gli inquirenti nei pressi di una ex miniera, dove aveva abbandonato il cadavere di Vanessa.
Il padre della ragazza, all’obitorio di Enna, dopo il riconoscimento, ha mormorato: “Datemelo tra le mani”, per poi chiudersi in un silenzio pieno di rancore.
Lo Presti potrebbe essere stato sotto gli effetti di stupefacenti, quando a mani nude ha strangolato la fidanzata.
A scatenare il raptus sarebbe stato un litigio, forse dovuto alla gelosia.
Vanessa, forse, aveva tentato di spronarlo a cercarsi un lavoro, usando, forse, come confronto il suo precedente fidanzato.
Potrebbe essere stata questa la miccia che ha scatenato la follia.
I due spesso litigavano e alla base di tutto c’era sempre la gelosia di lo Presti nei confronti della bella fidanzata.
Ieri, a 22 anni dal delitto, la nuova sentenza sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, con il fidanzato condannato in primo grado a 24 anni, anche in questo caso con movente la gelosia, è stata rinviata, poiché giudici della Corte d’Assise d’Appello hanno deciso che prima di andare in Camera di Consiglio dovranno ascoltare le repliche del procuratore generale Alberto Cozzella, il quale ha chiesto che venga confermata la condanna inflitta a Busco dalla terza Corte d’Assise.
Conferma chiesta anche dall’avvocato Massimo Lauro, costituito parte civile per conto della madre di Simonetta.
Nel marzo scorso, a Brescia, un uomo ha ucciso la ex moglie, il suo compagno, la figlia ventenne della donna e il fidanzato di quest’ultima, sempre per “gelosia” e, certamente, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, come quelle assunte abitualmente da quel padre che a Roma ha gettato nel Tevere gelido un bambino di 16 mesi, per ritorsione contro la ex moglie che erra in ospedale.
E’ un fatto tanto innegabile quanto terribile che, continuamente, le donne vengono uccise, a centinaia, nelle loro famiglie, dai loro mariti, amanti e fidanzati, per ferocia, perchè non c’è una cultura del loro valore, perchè non c’è l’abitudine a considerarle soggetti di scelte.
Le donne vengono uccise per ignoranza molto più che per gelosia.
Vengono uccise dai loro compagni, dai mariti, dai padri dei loro figli e la gelosia è molto spesso solo un alibi.
A proposito della strage di Brescia Flavia Amabile su La Stampa, ha intervistato lo psichiatra Vittorino Andreoli, che ha parlato, fra l’altro, del fatto che “negli uomini viene fuori il cacciatore, l’eroe greco, quello che non si rassegna ad essere sconfitto e che combatte comunque”.
Sicchè, anche da parte di una mente che consideriamo avanzata, si giunge al concetto, nefasto, che l’uomo è eroe tragico, macchiato di hýbris, sanguinario perchè cacciatore, debole perché vittima di istinti.
Ed hanno ragione quelle donne che alla fine urlano contro questo atteggiamento: “Morite donne, morite: l’uomo non può fare di meglio che uccidervi”.
Tutto è questo è terribile, inquietante, agghiacciante, un vero insulto per tutti gli uomini (oltre che per tutte le donne).
Bisogna che proprio noi uomini ci battiamo per escludere da fatti sanguinari e bestiali come questi, i concetti di “follia” e di “raptus”, concetti esimenti o attenuanti, che spesso emergono artatamente dalla perizie forensi e dai giudizi culturali più ampiamente diffusi.
Il 5 marzo, sempre nel veronese, un uomo di 56 anni, ha strangolato con un foulard la moglie di 51 dopo un litigio. Ed il giorno dopo, a Piacenza una donna, sudamericana di 49 anni, è stata uccisa a colpi di pistola mentre stava camminando in strada davanti all’ingresso di un supermercato, uccisa da un uomo che dopo un primo colpo sparatole alle spalle, le ha scaricato addosso altri colpi, per poi risalire in bicicletta ed allontanarsi, indisturbato.
Nel 2010 furono uccise da un congiunto o un famigliare 127 e 136 nel 2011. Sono dati davvero agghiaccianti.
Come ha scritto Lea Melandri sul Corriere bisogna che ci si renda conto che la violenza domestica non è un fatto privato.
E se sgombriamo il campo dalla figura del mostro, ciò che resta è una cultura, cristallizzata nel tempo.
Di fronte a questa cultura, perché gli uomini sono silenti e non mostrano invece maggiore coraggio, alzando la voce per dire io non sono quegli uomini e mi vergogno di uomini così?
La questione del rapporto tra uomini e donne è centrale e non più rinviabile. Invece noto una difficoltà a portare il tema della violenza delle donne dentro un vero dibattito pubblico, forse perché la fragilità maschile è un tema che andrebbe indagato a fondo e che spaventa molti.
Si è interrogata di recente su questa afasia maschile anche Iaia Caputo, in un bellissimo libro intitolato Il silenzio degli uomini, Feltrinelli , dove è scritto: “il silenzio degli uomini è soprattutto la causa di un drammatico malessere maschile”.
Non servono litanie sugli uomini violenti, mentre bisogna chiedere loro di farsi carico del proprio dolore, delle proprie paure, debolezze e insieme di quei privilegi che ne rallentano il cambiamento. A cominciare dalla parola più interdetta, la paura, che è l’altra faccia della violenza.
E le statistiche, lo ripetiamo, sono allucinanti: il 10% degli omicidi dolosi sono preceduti da atti di stalking. La vittima nell’80% dei casi conosce l’autore della persecuzione, nel 55% e’ probabile si tratti di un ex, coniuge o innamorato, nel 25% di un condomino e nel 15% di un collega.
Nel 2011 127 donne sono state uccise e sei volte su dieci il movente e’ stata la gelosia, la non rassegnazione a una separazione o a una perdita.
Nel 2010 Artur Oberhofer, per il quinto volume della sua serie “Die grossen Kriminalfälle” (Ed. Arob, 375 pagine, 33 euro), ha scelto i tre casi di cronaca nera più clamorosi avvenuti in Alto Adige negli ultimi decenni, ricostruendo, con dovizia di documenti il caso del Kinderdorf di Bressanone, il delitto Lunardi-Welponer e il più recente assassino di Monika Mor, tornato alle cronache tre anni fa per il suicidio dell’omicida, Thomas Göller.
In tutti e tre i casi il movente la gelosia e le vittime donne, con assassini maschi disperati, spaventati ed insicuri, per la perdita di significato e di ruolo.
Con Adriano Sofri e Lucia Marchitto, pensando al ventre, al corpo della donna, ci viene in mente la maldicenza che colpì le donne che prestarono soccorso ai feriti a Roma nel 1849, donne che coordinarono ambulanze e ben undici ospedali senza che un marito, o un padre o un figlio lo facesse al posto loro. “Il più virulento è il gesuita Bresciani, secondo il quale infermiere, organizzatrici delle ambulanze e soldati sarebbero alleati nel compiere aggressioni e violenze – fisiche e morali – nei confronti delle religiose e dei luoghi sacri, profanati dall’essere stati trasformati in alloggiamenti militari, in magazzini, in ospedali, ma soprattutto di aver subito l’affronto dei corpi femminili.”
Quante donne ancora dovranno morire vittime di uomini miserrimi animati ed armati da tale pensiero?
Pensando alle 46 donne uccise in Italia fra Gennaio e Marzo, vittime dell’uomo che avevano accanto, vittime, si dice di raptus, delitti passionali, drammi della gelosia, credo si debba per lo meno parlare semplicemente di omicidi e di provarne, come uomini, sdegno e vergogna.
Carlo Di Stanislao
La fragilità dell’uomo, la perdita del suo ruolo, la crescita di una nuova personalità, ragionare insieme e confrontarsi è un modo per cercare di capire le ragioni di questa strage, comprerò il libro di Iaia Caputo, da quel che dici mi pare interessante. Quello che non ho apprezzato del tuo post è stata la mancanza di comunicazione con la sottoscritta (visto che hai preso un pezzo dal mio post) e il dovuto link alla fotografia. Piccoli passi che paiono insignificanti, come il rispetto dell’altrui cose, sono necessari per iniziare il cambiamento. Lucia Marchitto