Sì, i grandi sottoscrittori che hanno diretto l’entrata in borsa hanno fatto un sacco di soldi. Sì, bisogna porsi queste domande, ma francamente, per gli investitori che sono stati imbrogliati sul valore dell’azione, non c’è bisogno di guardare così tanto lontano nella storia per vedere cose del genere accadere. In particolare, il problema con lo stock di Facebook ricorda il boom dell’introduzione in borsa del .com principalmente guidato da web retailers. Ricordiamoci di aziende come Pets.com, Boo.com o Webvan, che avevano un valore di 1,2 miliardi di dollari e sono poi crollate inesorabilmente.
Questa volta è il social network Facebook che domina al vertice, e altri come Linkedin completano l’ecostistema crescente dei social network che prendono d’assalto la borsa.
I professionisti dell’introduzione in borsa partivano dal principio che una volta i titolari bloccati nella morsa, avrebbero speso la maggior parte della loro vita (e del loro portafoglio) con loro. Questa volta, quelli che si son occupati dell’IPO dei social network hanno sostenuto l’effetto « lock-in » e gli introiti provenienti dalla pubblicità. La scomparsa di AOL e la nascita di Facebook offrono lezioni che sono difficili da ignorare:
Primo perchè trovarsi in un ruolo di porta di ingresso al web non è né facile né sufficiente per il successo a lungo termine. Detronizzare Google richiederà una dose spregiudicata di buona fortuna. Secondo, perchè i business model evolvono rapidamente. I nuovi arrivati emergono rapidamente e gli utenti sono incostanti. La sperimentazione è vitale. Le acquisizioni di titoli possono dare una tregua temporanea, ma non sono un mantra per conservare gli utenti.
Con i primi investitori della Silicon Valley già andati in perlustrazione alla ricerca del “prossimo Facebook”, la ‘più grande IPO della storia potrebbe essere già una storia datata.”
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