“Eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità”(Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle). Le frane politiche, le fratture geologiche, etiche e culturali si sovrappongono inesorabilmente a quelle economiche e giudiziarie in Italia e nei nascenti Stati Uniti d’Europa. Il bene potenziale ed espresso nel nostro Belpaese è sicuramente superiore al male che però fa più notizia soprattutto quando oscura ogni prospettiva di soluzione concreta dei problemi delle persone. Compresi i drammi dei giovani imprenditori suicidi “per insolvenza”. Pensate solo a quello che i nostri scienziati e ricercatori potrebbero fare per la nostra economia ed industria, se solo la libertà della ricerca scientifica e tecnologica (con annessi finanziamenti) fosse al primo punto di ogni agenda di governo. Pensate solo a quello che i nostri inquirenti (magistrati, polizia giudiziaria e scientifica) potrebbero fare per risolvere i troppi delitti irrisolti e impuniti in Abruzzo, se le indagini alimentate ed avvalorate da nuovi elementi di prova potessero riaccendere la fiaccola della speranza nella Giustizia, riaprendo i casi archiviati (tanti in Italia), come quello dell’efferato duplice omicidio dei coniugi Libero Masi e Emanuela Cheli a Nereto, in provincia di Teramo, quel 2 Giugno 2005. Almeno per onorare la memoria delle vittime e la speranza dei loro familiari in uno Stato di diritto. Purtroppo non sempre i fatti sembrano procedere esattamente per il verso giusto. Conosciamo l’esatta fotografia di che cosa sia oggi l’Italia, senza perdere la fiducia nel futuro. Viviamo in un Paese dove la corruzione è qualche cosa di dilagante. Nulla è più sotto controllo. Neppure lo sport. Né l’emersione dei casi di corruzione è controllabile. E quello che affiora in modo diffuso e dilagante, rompe gli argini in modo casuale, “avvelenando” tutto il resto. Se nel 1992 era concentrata su Milano, oggi la corruzione è diffusa su più territori e più dimensioni. Tangentopoli esplose perché l’eccessiva voracità mise in crisi il sistema. Oggi siamo di fronte a un fenomeno molto più preoccupante, anche se abbastanza simile a quello del 1992. Allora si superò il limite di guardia compatibile con lo stesso sistema politico-economico e andò a casa la Prima Repubblica. La sensazione dei giuristi è che in questi ultimi anni il livello di guardia sia andato crescendo a dismisura, indipendentemente da chi governava. Vi è stata una continuità dal 1994 con la fine della vecchia classe politica. L’opera di contrasto di Mani Pulite non si è completata, quelle indagini non hanno dato come esito la ricostituzione della legalità ma solo il cambio apparente della classe politica. E oggi siamo in una zona da “allarme rosso”. I motivi sono diversi. Non abbiamo colto quanto emerso con le inchieste degli anni ’92-‘94. I reati contro la pubblica amministrazione non sono affrontati normativamente e dalla magistratura in modo sistematico, non c’è quel background che gli inquirenti invece hanno per combattere il terrorismo e la mafia. C’è quindi tra gli investigatori minore professionalità e attenzione, non esiste particolare preparazione nella lotta alla criminalità economico-amministrativa perché non è mai stata una priorità nel nostro Belpaese di Frodo e Frego. Non si è mai drammatizzato il fenomeno colpendo dal 1994 solo qualche episodio. E questo permette le strumentalizzazioni più ampie e inquietanti dell’azione giudiziaria. C’è gente che strumentalizza il potenziale automatismo giudiziario, l’obbligatorietà dell’azione penale per fini propri, per colpire avversari politici ed economici. Quando a un pubblico ministero sono posti davanti agli occhi dei fatti di rilevanza penale, la Legge dice che li deve per forza perseguire. Nel mondo e non solo in Italia lo strumento giudiziario è un meccanismo di controllo sociale per il potere esecutivo. Non esiste contrapposizione tra mondo giudiziario e mondo politico. Anche oggi. Semmai è il contrasto all’interno del mondo politico che fa emergere queste indagini. Se non ci fosse questo contrasto le cose non verrebbero fuori. È la politica ad alimentare dal suo interno le polemiche. Il dato più preoccupante è che oggi ci sono profondi contrasti nella società civile, molto forti del passato, che portano alla luce situazioni da accertare penalmente e che se fossero vere sarebbero molto preoccupanti. L’emersione processuale in sede investigativa di fatti di rilevanza penale, è un avvenimento sempre eccezionale perché l’inchiesta ha sempre dei costi per tutti (Stato) e quindi non è la prima strada che un gruppo di potere utilizza. La sceglie a ragion veduta. E oggi il nostro Belpaese è in una situazione drammatica. Qual è la responsabilità dei liberi giornalisti? Anche i media vengono a loro volta strumentalizzati dal potere politico e finanziario. E tutto contribuisce ad alimentare quello che viene definito “il clima” del Belpaese in recessione. Cosa possono i giudici contro questo sistema di cose? La magistratura è un potere satellite che deve ottenere il consenso per poter agire. Il consenso è sia quello di chi sottopone ai magistrati fatti di rilevanza penale sia quello popolare. Senza questi non si va da nessuna parte, non si può effettuare il controllo della legalità. Se i cittadini non vogliono, la magistratura rischia di essere un don Chisciotte contro i mulini a vento. È accaduto la stessa cosa con il terrorismo. Prima la magistratura ottenne il consenso per indagare sul terrorismo di sinistra poi su quello di destra, così per la mafia. La crisi economica aiuta la magistratura a incontrare il consenso delle persone e a raccogliere informazioni. In tempi di crisi economica c’è di nuovo il consenso sociale. Lo spreco di denaro pubblico, la corruzione nello sport, nella finanza e nella politica, il privilegio, offendono chi stringe la cinghia. Tocca sul piano personale e non solo etico, chi non ce la fa. L’importante è far splendere il Sole ovunque, anche in Abruzzo, perché nel nostro Belpaese non vi sia più un solo porto delle nebbie. Se negli anni di Mani Pulite fioccavano gli arresti, oggi è cambiata la strategia delle indagini. Le misure cautelari sono fatti eccezionali. Se poi la magistratura, per autodifesa, evita di compierli soprattutto nel campo dei colletti bianchi che hanno le leve del potere in mano, le ragioni sono note. Anche perché un conto è rubare, e vi è stata sempre una scarsissima considerazione sociale di questo reato, un conto è uccidere. Il pacchetto anti-corruzione così rischia di rimanere una risposta blanda. Il problema è la disfunzione del processo penale con norme inadeguate. Negli Usa in un mese concludono un processo per omicidio senza aver necessità di arrestare l’imputato. In Italia il fatto che il processo con detenuti cammini spedito diventa incentivo per spiccare quelli che si chiamavano mandati di cattura. Le norme invitano all’arresto perché solo lì funziona il processo. Consapevoli degli errori della Prima Repubblica, la “nuova” classe politica che oggi sta sorgendo dovrebbe reagire con più fermezza. La politica dovrebbe porsi il problema, chiedersi se sta avvenendo qualcosa di analogo con quanto segnò gli anni ’90, perché tutto ciò può compromettere l’assetto politico dell’Italia; minando la stessa civile convivenza e solidarietà che, apparentemente, solo la Nazionale di calcio e le catastrofi naturali riescono ad alimentare. Cogliere anche quanto sia importante il controllo della legalità per il governo del Paese, è il tema focale. Il politico detta la norma ed è importante che venga osservata, perché il controllo della legalità consente il buon governo e azzera la dispersione delle risorse, che così non vanno ad alimentare ceti parassitari e strutture di potere occulto malavitoso. Questi principi sacrosanti del Diritto sono validi oggi nell’analisi del delitto dei coniugi Libero Masi ed Emanuela Cheli, consumato il 2 giugno 2005 a Nereto, in provincia di Teramo: una strage finora senza colpevoli alla sbarra, senza processi e senza Giustizia. Secondo alcuni le indagini sono state sbagliate sin dall’inizio e il nulla di fatto che ha portato dopo i primi sei anni all’archiviazione, ha dato ragione a chi ebbe subito a chiedere l’intervento della Commissione parlamentare antimafia, un’indagine ispettiva del Ministro della Giustizia e la riunione straordinaria e permanente della Commissione provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico. Tutti ricordano come fosse oggi la dichiarazione del Comandante Provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Teramo, il colonnello Izzo, in relazione al “grande magone” che si portava dentro nel momento in cui lasciava il suo incarico a Teramo, forse per non avere potuto concludere positivamente le indagini sull’efferato delitto degli avvocati Masi. Il col. Izzo attestava indubitabilmente il disagio collettivo che si prova di fronte alla mancanza di risultati e di indizi individuati dagli investigatori e dagli inquirenti, nel mentre risultava a molti cittadini incomprensibile ed inspiegabile la secretazione di tutto ciò che atteneva alle indagini stesse. Ripensare amaramente e dolorosamente al fatto che molto verosimilmente il grande magone del col. Izzo potesse allora derivare anche dalla circostanza di essere stato informato immediatamente circa il possibile e più probabile movente del terribile assassinio, forse da ricercare nell’ambito dell’ampia e variegata attività professionale dell’Avv. Libero Masi piuttosto che negli ambienti della criminalità comune e degli extra comunitari, sulla base dell’ipotesi di una rapina finita male, riaccende la speranza di una riapertura dell’inchiesta. Sulla base di alcune immediate dichiarazioni spontanee di cittadini e rappresentanti istituzionali di Nereto e della Provincia di Teramo, di amici e di vicini dei coniugi Masi, che avrebbero potuto fornire elementi utili alle indagini anche e principalmente nella direzione delle attività professionali di Libero Masi, tutto è possibile. Perché allora ci si avventurò, come ricordano alcuni, in improvvide e indimostrate dichiarazioni ed interviste in esclusiva alla stampa, sino all’improvvisa e successiva decisione di secretare il tutto e di fare calare sulla drammatica vicenda un enorme silenzio stampa, che in quei giorni gli amici di Libero Masi chiesero ripetutamente che fosse tolto, affinché tutti i cittadini di buona volontà e gli stessi organi di informazione potessero, senza timori di grandi e gravi pericoli personali, collaborare con serenità e responsabilità nella ricerca della verità e dei colpevoli. Il brutale assassinio dei coniugi Masi è ora un vero e proprio “cold case” in salsa aprutina. In Italia, il 35% dei delitti rimane senza colpevole, la percentuale più alta fra i grandi Paesi europei. In provincia di Teramo, la mattanza dei coniugi Masi, il 2 giugno 2005 in una villa di Nereto (Te), in pieno centro abitato, è stata la più efferata e terribile che si ricordi. Un massacro tra la verità e i misteri di un duplice omicidio “quasi perfetto”. Una vicenda che ancora attende di essere capita. Chi ha sbagliato cosa? I giornalisti hanno fatto tutto il loro dovere? Il dr. Cristoforo Barrasso, scomparso il 4 dicembre 2008, all’epoca dei fatti, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Teramo, alla vista dei due corpi massacrati e del sangue sparso ovunque misto a materia celebrale, aveva parlato di “efferatezza, crudeltà eccessiva e violentissima soprattutto sulla persona dell’avvocato”. Ecco i fatti. Giovedì 2 giugno 2005, l’avvocato Libero Masi e la moglie Emanuela Cheli venivano barbaramente trucidati nella loro casa di via Lenin a Nereto, poco dopo la mezzanotte. La pista più accreditata resta ufficialmente quella della rapina finita male perché i particolari della vita privata non rivelerebbero nulla. Gli autori di quell’orribile massacro sono ancora a piede libero. La gente da quel giorno non dimentica, vive nell’angoscia di un delitto impunito, sconvolta dal fatto che gli assassini sono ancora ignoti. La Magistratura di Teramo, per scongiurare la fuga di notizie rilevanti per l’inchiesta, fino a martedì 31 gennaio 2006 aveva deciso di secretare gli atti. Seguirono speculazioni che non poche preoccupazioni avevano destato al dr. Barrasso impegnato con i suoi inquirenti e pubblici ministeri, fino in fondo, a fare chiarezza sulle ultime ore di vita dei coniugi Masi. Se la Magistratura e gli inquirenti hanno lavorato per dare un volto agli assassini definiti da alcuni “perfezionisti del crimine”, fu anche merito suo. L’archiviazione, tuttavia, è un dispositivo tecnico. Nulla vieta che le indagini “de iure” possano proseguire. Nulla impedisce l’analisi della scena del crimine con le più sofisticate tecnologie. I cervelloni elettronici, infatti, sono sempre al lavoro! Ma il Legislatore ha il sacrosanto diritto-dovere di lasciare lavorare in santa pace la Magistratura con gli strumenti giuridicamente e tecnologicamente più idonei, in condizioni di massima libertà e sicurezza per tutti. Le intercettazioni sono fondamentali per scoprire l’identità dei criminali ovunque essi si trovino. La tragica vicenda dei Masi va inquadrata in un contesto a dir poco inquietante per una cittadina di appena 5mila abitanti come Nereto. I neretesi da parte loro non sono più sicuri di nulla ed ancora la pensano come allora. “Non si uccide così una persona solo per rapina: hanno trovato parte di una porta bruciata. Perché avrebbero dovuto perdere tempo cercando di appiccare il fuoco? Non penso sia stata una rapina: voci di paese almeno dicono così. Se si tratta di una rapina siamo tutti coinvolti allo stesso modo, non solo noi di Nereto. Si vada avanti fino in fondo: chiamate pure l’FBI, vogliamo gli assassini!”. Come se le tecnologie investigative della scientifica italiana non fossero all’avanguardia. Dubbi e perplessità comprensibili che sono sempre stati al vaglio degli inquirenti per evitare l’ennesimo caso di delitto irrisolto. “Se gli assassini sono venuti da fuori – ricorda un altro cittadino – com’è possibile che nessuno si sia accorto di niente, visto che la casa dei Masi non è lontana dal centro del paese? Sembra impossibile che gli inquirenti non siano ancora venuti a capo di nulla”. Quel duplice assassinio fu un fatto drammatico, crudele, atroce. “Non esiste parola per toccare il fondo d’un pozzo di così abissale efferatezza” – aveva dichiarato il dottor Barrasso in un’intervista. Siamo al cospetto di una vicenda rifiutata dalla coscienza collettiva, impossibile da collocare tra i ricorrenti fatti della cronaca nera e della storia giudiziaria locali”. Tra le mura di casa Masi, quella tragica notte di sette anni fa, saltarono tutti i parametri del crimine. Ma c’è orrore e orrore, e lo abbiamo scoperto solo con gli inquietanti eventi di casa Masi. Una carneficina: la furia omicida aveva spazzato via due vite ma anche ogni barlume di civiltà e di sentimento umano. In quella fosca e truce vicenda non c’è traccia di pietà. Come se una furia assassina si fosse abbattuta ciecamente su quella signorile palazzina di Nereto. Dove l’uomo si è fatto belva per sorprendere di notte marito e moglie, aggredirli e trucidarli, con la ferocia, l’impunità, il cinismo e la forza distruttrice di una folgore. Ma lasciando tre impronte a dir poco rilevanti per gli inquirenti, che potrebbero aver tradito l’identità degli assassini. Una lasciata su una copertina di plastica di un libro, nella libreria dell’avvocato, dal quale manca una pagina strappata forse usata per accendere un fuoco su una porta interna; una lasciata su una porta e l’impronta plantare (una “strisciata”) impressa sul sangue non ancora coagulato. La traccia è stata rilevata ed asportata per eventuali confronti quando forse verrà trovata la scarpa gemella che non sfuggirà al cervellone elettronico. Dunque, non siamo di fronte a un delitto perfetto. Certo, i colpevoli sono stati molto agevolati dalle 12 ore intercorse dall’omicidio alla sua scoperta, dando loro la possibilità di occultare delle prove che altrimenti non avrebbero fatto in tempo a nascondere. Ma perché colpire con quell’implacabile crudeltà? La gente non dimentica, vuole che la verità trionfi nella Giustizia. Vuole che il caso venga riaperto, per rendere Giustizia ai morti e ai vivi, per dare una risposta a quanti da allora consumano le ore della notte e del giorno nella morsa di un incubo. Per capire se c’è ancora speranza di vincere il male su questa Terra. Il bandolo della matassa va trovato, i colpevoli assicurati alla sbarra. Sarà poi un Museo della Criminologia, che un giorno forse sorgerà probabilmente proprio tra le pareti di quella villa, a ricordarcelo per sempre. I magistrati aprutini assicurarono che i responsabili sarebbero stati presi, ma avevano chiesto ai cittadini di Nereto e dintorni, la massima collaborazione. Poi la Procura ha archiviato il caso. I delitti impuniti (senza colpevoli alla sbarra) nel giugno 2012 salgono almeno a nove in provincia di Teramo. La nostra provincia non è più l’isola esemplare di sicurezza e tranquillità? Inevitabile pensare ad un filo nero conduttore: forse a un “serial killer” impazzito o alla spietata mafia orientale? Il Comitato per l’ordine e la sicurezza, è la sede istituzionale deputata a porre un freno alla criminalità provinciale. In Val Vibrata da qualche anno a questa parte, si uccide con impressionante facilità e violenza, forse per sport, per poi sparire dalla circolazione come fantasmi. Non vogliamo creare allarme sociale. Anzi, invochiamo più prevenzione e sicurezza. Ma ogni ipotesi diventa a questo punto lecita quando il lavoro degli inquirenti pare brancolare nel buio. Che faremo la prossima volta? Il delitto della donna polacca, il massacro dei coniugi Masi e di tante altre persone, invocano Giustizia. I misteri finora irrisolti hanno forse alcuni elementi in comune? L’inaudita ferocia dell’ignoto massacratore, l’area circoscritta in cui i fatti di sangue sono stati compiuti, la scomparsa dell’arma del delitto. Aspetti da non sottovalutare, a cui aggrapparsi, per rilanciare il difficile lavoro d’indagine ma occorre una svolta investigativa. Sempre in provincia di Teramo a Pineto (Te) attende risposta il cosiddetto “giallo della macelleria”. Nell’immediato dopoguerra, per la macchina giudiziaria, a Ponzano di Civitella del Tronto (Te), decisamente meglio andò il duplice delitto della “Banda Pennesi” che faceva capo ad un ex carabiniere. Il quale una notte, insieme ad altri tre o quattro sbandati, massacrò un benestante della zona e sua sorella, mentre la domestica, nascondendosi sotto il letto, si salvò per miracolo. Fu un super-poliziotto di allora a risolvere il mistero con la collaborazione di un semplice appuntato dei carabinieri, che da un fazzoletto macchiato di sangue (senza l’analisi del Dna!) risalì al capobanda e, quindi, ai complici. Altri tempi? Anche per la criminalità e per chi deve tenerle testa. Fa impressione che così tanti delitti restino al momento ancora impuniti. Oggi come ieri. Ma ora, sempre più spesso, accade che si accetti come normale e inevitabile il fatto di sangue. Per poi dimenticare in fretta. Un tempo i casi più clamorosi della cronaca nera rimanevano a lungo al centro dell’attenzione dei mezzi di informazione e dell’opinione pubblica. Fino ad una svolta decisiva e convincente. Si era meno disposti a dimenticare e a seppellire i fatti gravi sotto la coltre di notizie inutili. Adesso si invoca persino il silenzio della carta stampata (la Tv e Internet hanno preso il sopravvento) con gli organi d’informazione che, purtroppo, assecondano, tutto sommato, una tendenza preoccupante. Quella di (far) dimenticare in fretta certe vicende allarmanti e i loro misteri. E quella degli assassini in libera circolazione, pronti all’ennesimo delitto, pronti a colpire ancora. Ora basta. La triste constatazione dell’ineluttabile destino, non appartiene alla nostra cultura. In Italia, il 35% dei delitti rimane senza colpevole, la percentuale più alta fra i grandi paesi europei. Un referendum lanciato da un sito Internet che chiedeva ai suoi lettori quale fossero gli omicidi irrisolti più eclatanti degli ultimi 50 anni, qualche tempo fa ha visto nei primi posti il delitto di via Poma, quello di Cogne, la morte della contessa Filo Della Torre e la terribile attuale vicenda di Garlasco. Alcuni hanno anche ricordato il grande mistero degli anni ‘90, rimasto fondamentalmente irrisolto, quello del mostro di Firenze, serial killer che ha seminato a lungo in Toscana un’atmosfera di terrore. La storia dei delitti impuniti, delle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese, rimaste senza responsabili, delle trame segrete che hanno mortificato la vita democratica, deve essere ancora scritta. Risolveremo i tanti delitti impuniti della nostra terra, i cosiddetti cold case? La grande abnegazione che anima i magistrati e le stesse forze dello Stato, lascia ben sperare. Però ci chiediamo perché la ripulsa per l’orrore e la violenza, ma anche la curiosità e lo stupore davanti ai comportamenti più efferati o agli episodi rimasti insoluti, si annullino in Italia quando si parla della dolorosa vicenda dei coniugi Masi di Nereto. Gli ingredienti per solleticare l’opinione pubblica ci sono tutti da quel 2 giugno del 2005: l’intrusione di sconosciuti nell’abitazione, la presenza di vari segni di ripetute violenze, con grandi ematomi sparsi su tutto il corpo, i due colpi di coltello che hanno fracassato i crani delle vittime e provocato delle ferite lunghe quasi 15 centimetri. Se oggi si passeggia per Nereto e si parla con qualcuno, ci si rende conto che uno su tre è albanese o comunque forestiero. E degli italiani con cui ci si imbatte, si capisce subito che non parlano volentieri di quell’angosciosa vicenda. “I coniugi Masi – dicono alcuni – non li hanno uccisi né rumeni, né cinesi, tanto meno gli albanesi”. Ne sembra convinta una signora, ex lavandaia, che ricorda un viaggio dell’avvocato in Sicilia, dal quale tornò a suo dire “stranito”. Qualcosa del genere fu riferita anche da alcuni parenti, nei primi giorni di indagine di quel 2 giugno 2005. “Di certo l’avvocato era al centro di complicati interessi finanziari, era il cuore pulsante di tante realtà; nella sua professione che svolgeva con grande professionalità, incontrava migliaia di persone, alcune inevitabilmente, poco raccomandabili” – riferiscono altri. Ma tutto questo ha aiutato gli inquirenti a trovare il bandolo della matassa? Si è parlato di mafia, ‘ndrangheta, dopo il viaggio nell’isola di Montalbano, ma poi si è scoperto che i coniugi Masi non erano mai stati avvertiti con i mezzi arcaici e medievali dei mafiosi: proiettili in busta, croci o fiori. Niente di niente. Né intimidazioni verbali né minacce generiche. Si passò poi a ipotizzare una rapina. Ma ci si rese conto che Libero Masi e sua moglie non erano ricchi. Benestanti sì, ma non ricchi. E poi qualcuno obiettò che il delitto fosse troppo efferato per trattarsi di semplice rapina. Oggi spaventa il silenzio assoluto della Tv di Stato. In un “Porta a Porta” di qualche tempo fa, il famoso giornalista abruzzese Bruno Vespa elencò una serie di delitti tra i più misteriosi, ma “dimenticò” proprio la gravissima vicenda teramana dei coniugi Masi. Strano come il clamore si materializzi per delitti come quello di Cogne, di via Poma, di Garlasco e poi cada nel dimenticatoio, in un’incredibile sordina mediatica, uno dei più efferati omicidi che la storia nera d’Italia ricordi. Il pericolo è che ci attendono anni di silenzi e di invisibilità per giungere, infine, al risultato che i coniugi Masi si sono autodistrutti visto che di assassini in giro, gli esperti non ne trovano. Le indagini proseguono con le moderne tecniche investigative e certamente continueranno le verifiche opportune, ma è sempre più difficile giungere alla verità. Intanto a Nereto i cittadini sembrano dormire tranquilli, convinti come sono che gli autori del duplice omicidio siano venuti da lontano. “Gente esperta, tanto da non lasciare traccia alcuna. Roba non da mafiosi di campagna o drogati in cerca di dose” – raccontano. Qualcosa di grande per la sonnolenta provincia di Teramo, non attrezzata compiutamente a combattere tale criminalità organizzata. “Però sapevano che ucciderli vicino casa sarebbe stato un gioco da ragazzi – diceva un signore mentre sorseggiava un caffè nel bar in piazza – lì intorno c’è l’ospedale con il Sert, il campo sportivo, pochi anziani abitanti, alcuni rintronati dagli anni ed entrare in quella villa fatiscente era semplice perché con una spallata aprivi tutto! La vecchia madre della signora Masi che abitava sopra non riuscì a sentire nulla in quella tragica notte e per lungo tempo è stata tenuta all’oscuro dell’orrenda fine subita dalla figlia. Ora non è chiaro dove sia andata ad abitare. I due figli dei coniugi, mai velati, per fortuna, da qualsiasi sospetto, non vogliono sentire, ed è comprensibile, rievocazioni di quella maledetta sera”. Libero Masi fu colpito quattro volte al capo e la donna due volte con una violenza e un accanimento che gli investigatori hanno definito sconcertante. I cittadini hanno sperato in questi anni che non si arrivasse a un simile sconfortante risultato. L’avvocato Masi non era una persona qualunque ed il suo assassinio, insieme alla sua compagna Emanuela, merita maggiore attenzione, più impegno e solidarietà da parte di tutti, dei cittadini di Nereto e delle istituzioni della provincia di Teramo prima di tutto. Libero Masi era un integerrimo e preparatissimo operatore della Giustizia ed un grande rappresentante di associazioni molto rilevanti della società civile e della cultura. La mancanza di informazioni circa i risultati conseguiti dopo anni di indagini, certamente non è un fatto secondario per la opinione pubblica e non va affatto trascurata dagli organi di informazione. Né tantomeno sono da sottovalutare le modalità, la tempestività e la scelta della direzione che a caldo è stata impressa alle medesime indagini, da cui conseguentemente sono state create le condizioni ambientali per un’effettiva possibilità di pervenire all’individuazione ed alla cattura dei feroci assassini, purtroppo non individuati subito e quindi ancora in libertà. Questo “clima” aumenta ancora di più il disagio originario di sette anni fa, l’angoscia e la preoccupazione dei cittadini, molti dei quali ritengono che la Giustizia non possa in nessun caso essere amministrata e fatta funzionare separatamente ed indipendentemente dal contesto sociale, dalle attese, dalle ansie e dalle paure dei cittadini medesimi, residenti ed operanti nel nostro territorio. Crediamo, tuttavia, che oggi gli inquirenti si lascino aperte tutte le strade anche quella, purtroppo non dimostrabile a priori tra le altre ipotesi, di un “nuovo” delitto di tipo mafioso, frutto di una violenza criminale completamente estranea alla nostra cultura e realtà sociale e politica. La terribile gravità ed efferatezza dei fatti accaduti il 2 giugno 2005, è rimasta viva davanti agli occhi di tutti e non potrà mai essere cancellata e archiviata. In tutta coscienza, i cittadini auspicano, come ogni anno in occasione della Festa della Repubblica Italiana del 2 giugno, l’insediamento in Abruzzo della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia, alla luce del duplice delitto dei coniugi Masi, per “verificare” con atti ispettivi e con i poteri della Magistratura, l’eventuale presenza operativa di altre associazioni criminali similari e l’esistenza o meno di infiltrazione di soggetti ed organizzazioni “ignote” con finalità malavitose. Naturalmente chi è a conoscenza di fatti e circostanze interessanti utili alla ripresa delle indagini del caso Masi, faccia sentire la propria voce, anche attraverso “dichiarazioni spontanee” davanti agli inquirenti. La Giustizia segue il suo corso e, abbiamo ragione di credere, che prima o poi, grazie anche alle nuove tecnologie i criminali dei coniugi Masi saranno assicurati alla loro buia cella per lunghissimi anni. Gli impuniti sappiano che hanno le “ore” contate. Non potranno sfuggire all’informatizzazione delle prove scientifiche finora acquisite ed a tutti i dati elettronici oggi reperibili. I numeri a favore dei processi e delle sentenze di condanna, sono destinati a cambiare positivamente nei prossimi anni. Per arrivare all’arresto degli indiziati la politica non c’entra. Assassini come quelli dei Masi, difficilmente confessano il loro crimine se non in presenza di uno psichiatra. Occorre, quindi, inchiodarli con nuove prove e tecniche investigative, senza tralasciare nulla al caso, semmai arricchendo l’indagine tradizionale con la condivisione delle informazioni rilevanti su scala globale.
Nicola Facciolini
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