Nella prima decade del ’900, quando Michetti, Bistolfi, Sartorio, erano ritenuti fra i migliori artisti italiani, si manifesta in maniera travolgente il movimento Futurista nato nel 1909 con un articolo di Filippo Tommaso Marinetti pubblicato su “Le Figaro”. Il giovane critico Roberto Longhi considera la pittura Futurista come l’unica valida avanguardia italiana nell’arte del XX secolo. Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini, Carlo Carrà, Luigi Russolo ed Antonio Sant’Elia contribuiscono a creare l’importanza del movimento.
L’avanguardia Futurista, dopo la prima guerra mondiale appare dissociata soprattutto per la prematura scomparsa di Boccioni e Sant’Elia. Il Secondo Futurismo, sempre con alla guida un Marinetti abbastanza rivoluzionario, ha origine a Torino ed esce ben presto dall’ambito regionale con artisti di grande spessore quali Fortunato Depero, Luigi Fillia, Enrico Prampolini, Gerardo Dottori, Bruno Munari, Tullio Crali, Osvaldo Peruzzi, Tato e Marasco, ma non avrà più quella forza propria che contraddistingue le grandi avanguardie.
Nel frattempo l’influenza del simbolista svizzero Arnold Böeklin viene assorbita da un giovane pittore, il quale rivela un’immaginazione malinconica e tormentata insistentemente dal mistero della realtà urbana e delle piazze disabitate. Egli è Giorgio de Chirico, che ha dato inizio all’arte Metafisica, la quale si svilupperà fra il 1910 ed il 1920 a cui aderirono altri artisti come Carlo Carrà, Alberto Savinio e Giorgio Morandi.
Con il critico Mario Broglio, nasce poi nel 1918 il movimento Valori plastici, ‘ritorno all’ordine’ dell’arte e ad una ricerca più stilistica sulla tradizione italiana del passato: Giotto, Masaccio, Piero della Francesca.
Nel 1922 a Milano, nasce pure Novecento. Nella Galleria di Lino Pesaro s’incontrano Anselmo Bucci, Achille Funi, Emilio Malerba, Ubaldo Oppi, Leonardo Dudreville, Piero Marussig, Giorgio Morandi, Massimo Campigli, Felice Casorati e Mario Sironi.
A Torino circa nel 1929 ha vita il gruppo cosiddetto dei Sei Pittori, con Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico Paulucci, promosso dai critici Lionello Venturi ed Edoardo Persico. Ricordiamo anche l’arte innovativa e altamente poetica di Luigi Spazzapan.
Il gruppo dei Chiaristi si forma a Milano nel 1930 con il critico Persico; il più rappresentativo è Umberto Lilloni. A Venezia lavora Pio Semenghini. In Toscana, Ottone Rosai. A Roma operarono Arturo Tosi, Carlo Socrate, Amerigo Bartoli, Francesco Trombadori e Fausto Pirandello.
Intorno alla rivista Il Selvaggio di Mino Maccari, sorta nel 1929 ma che conosce sia un periodo fiorentino sia uno romano, si muovono artisti come Carrà, Soffici, De Pisis, Morandi, Spazzapan, ed i giovani Domenico Purificato, Renato Guttuso, Orfeo Tamburi, Toti Scialoja, nonché l’incisore Luigi Bartolini.
A Roma nel 1927 ha inizio la Scuola Romana; ne fanno parte Scipione (Luigi Bonichi), Mario Mafai, Antonietta Raphaël, e lo scultore Marino Mazzacurati. Vi si aggiungeranno in seguito Roberto Melli, Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Guglielmo Janni e Alberto Ziveri. In quegli anni il gruppo aveva conquistato una propria identità tutta italiana, e Roberto Longhi la soprannomina Scuola di via Cavour, che era l’indirizzo della casa-studio di Mario Mafai e Antonietta Raphaël, luogo di riunione e di accese discussioni fra artisti e letterati, tra cui Giuseppe Ungaretti, Libero De Libero, Leonardo Sinisgalli.
Negli artisti della Scuola Romana si evidenzia un carattere espressionista e l’interesse al Tonalismo, che fanno maturare le basi di un certo ‘realismo’ specialmente in artisti come Fausto Pirandello, Alberto Ziveri, Renato Guttuso e Domenico Purificato. Questi ultimi si mostrano interessati alla pittura di Mafai. Più ideologico ed espressionista a sfondo sociale è Guttuso, che da lì a poco movimenterà la vita artistico-culturale tra Roma e Milano, mentre più classico e di impronta manierista appare Purificato. L’interesse di Purificato è di rivisitare le varie forme assunte dalla tradizione figurativa, ponendo al centro della sua ricerca la tematica umana.
Nel frattempo si forma a Milano Corrente, in contrasto con l’ufficialità dell’arte neo-classicheggiante, con a capo Birolli, assieme a Cassinari, Sassu, Migneco, Treccani e lo stesso Guttuso. Nello stesso periodo numerosi artisti, con lo scopo di celebrare operai e contadini e gli eventi della lotta di classe, diedero vita al realismo sociale che verrà denominato Neorealismo. Fra gli anni Trenta e Quaranta, emerge davvero l’artista forse più considerevole del ’900 Italiano: Renato Guttuso. Egli diviene l’esponente principale del Neorealismo nel periodo del Fronte Nuovo delle Arti, cui aderirono Emilio Vedova, Renato Birolli, Ennio Morlotti, Bruno Cassinari, Leoncillo, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso e Alberto Viani. In campo letterario vi hanno fra gli altri contribuito Carlo Levi, Moravia, Pasolini e Pavese.
Renzo Vespignani, all’epoca dell’occupazione nazista a Roma, usava la grafica per narrare le atrocità e i bombardamenti. Nel 1963 nasce Il Pro e Contro con lo stesso Vespignani, Attardi, Calabria, Guccione, Ferroni, Guerreschi, Farulli, Gianquinto. Intorno a questo movimento gravitano i critici Antonio Del Guercio, Dario Micacchi e Duilio Morosini. Esso inoltre diventò un punto di riferimento per lo sviluppo della Nuova Figurazione. Da ricordare sono anche molti artisti che affrontano la realtà con spirito nuovo, quali Virgilio Guzzi, Alberto Sughi, Valerio Adami, Mimmo Rotella; quest’ultimo, con i suoi décollages, mostrava una caratteristica ispirata ai manifesti pubblicitari della realtà urbana circostante.
In particolare Purificato e Guttuso hanno fortemente creduto al carattere e alla tradizione del realismo, in quanto connessa con le nostre radici culturali. Scomparso Guttuso nel 1987, ci si chiese chi potesse farsi carico della ricerca rivitalizzata del realismo italiano sul finire del ’900. Non sono pochi gli artisti contemporanei, che si riconoscono nell’identità storica dell’arte italiana; tanto per fare qualche nome, pensiamo a Renzo Vespignani, Ugo Attardi, Alberto Sughi, Piero Guccione, Mario Schifano, Giuseppe Zigaina e ad alcuni più giovani artisti emersi negli anni ’80.
All’inizio del 1980, in quanto successore dialettico che si colloca tra Purificato e Guttuso, potremmo classificare il giovane artista Francesco Guadagnuolo, emerso in un momento di disputa fra Ipermanierismo e Transavanguardia. Abile disegnatore, specialista nell’incisione, con un evidente talento pittorico, egli ha cercato di definire e impersonare la continuità della tradizione figurativa italiana. Se Guttuso ha vissuto il periodo drammatico della seconda guerra mondiale, (pensiamo a una delle opere più note, la Crocifissione, dichiarata denuncia dei disastri causati dal regime), Guadagnuolo respira gli avvenimenti disastrosi del terrorismo, l’era dell’automatizzazione e dei computer, i rilevanti risultati scientifici e tecnologici che preludono al 2000.
La pittura di Guadagnuolo può essere ben considerata una sintesi di tutte le avanguardie del Novecento, sia figurative sia astratte, nel quadro complesso della contemporaneità; una Weltanschauung carica di afflizione ma, insieme, di redenzione. Il filosofo Rosario Assunto ha affermato che l’impulso vitale “è in lui il segno di un’identificazione assoluta della vita e dell’arte”. All’età di trent’anni l’artista realizza una sua “Crocifissione”, presentata a Roma nel 1988, in una mostra curata dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana “G. Treccani”. L’opera è stata avvertita come una rinnovata realtà artistica del dopo Guttuso. La “Crocifissione” di Guadagnuolo è concetto trascendentale rispetto all’arco vitale e storico. I mali e i beni della società moderna vi sono identificati nel martirio di Cristo, con riflessi inquietanti e apocalittici. Essa ha rappresentato, per alcuni critici, un’opportunità di analisi e riflessione.
Alla fine degli anni Settanta, nasce la Transavanguardia per opera del critico d’arte Achille Bonito Oliva, con artisti quali Francesco Clemente, Sandro Chia, Mimmo Paladino, Enzo Cucchi e Nicola De Maria. Poco più tardi, vale a dire negli anni Ottanta, nascono Anacronismo, ovvero Ipermanierismo, con Carlo Maria Mariani e Omar Galliani, e col sostegno critico di Maurizio Calvesi; con l’appoggio teorico del critico Renato Barilli, sorgono invece i Nuovi-nuovi: artisti pronti a recuperare il passato attraverso la citazione.
Negli anni Novanta, con i fenomeni della globalizzazione e di Internet, tutto è in veloce movimento e si proietta anche in architettura. Insieme ad altri connessi, quegli stessi fattori promuovono lo sviluppo del Postmoderno, ma si avverte nello stesso tempo un decadimento socio-culturale della vita civile e urbana, spogliata di ideali.
Artisti della qualità di Francesco Guadagnuolo impiegano, oltre alle più svariate tecniche pittoriche, effetti dati dall’immagine fotografica e dall’uso del collage, compendiando la capacità di capire il modo di vivere nelle grandi metropoli. Si tratta di una pittura veloce e ricca di energia; di un’arte fatta di contenuto, la quale valuta, sia pure criticamente, i mutamenti di una società che ha consentito la circolazione culturale a dimensione mondiale. Assistiamo al rapporto tra rappresentazione e astrazione, fra realtà e trascendenza, tra concettualismo e recupero della scrittura manuale in funzione artistica. Così, Guadagnuolo riesce a suggerire un rinnovato sentimento degli ideali sociali e intellettuali. Di lui, qui citiamo alcuni cicli di opere: “Luoghi del Tempo”, 1991/’97; “I Luoghi del Corpo”, 1993; “Incantesimo dei Luoghi e dei Simboli in memoria di Federico Fellini”, 1993/’94; “Luoghi e Simboli Americani: dialogo con Basquiat”, 1997.
La pittura italiana non figurativa dal dopoguerra ad oggi
Con la fine della seconda guerra mondiale, gli artisti italiani guardavano all’Europa; era attivo a Milano un gruppo di artisti interessati all’evolversi dell’arte astratta, quali Alberto Magnelli, Atanasio Soldati, Fausto Melotti, Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Luigi Veronesi, Mario Radice, Mauro Reggiani, Manlio Rho. Da qui nascerà il Movimento per l’Arte Concreta, con Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Bruno Munari, Gianni Monnet.
Lucio Fontana, nel suo Manifiesto blanco del 1946, sosteneva: “La ragione non crea. Nella creazione delle forme la sua funzione è subordinata a quella del subcosciente”. Alla Biennale di Venezia del 1947, esponeva il gruppo Fronte Nuovo delle Arti; pochi anni dopo questi autori si divisero in due gruppi, tra loro in opposizione: Astrattisti e Neorealisti. Afro Basaldella nel 1948 inaugura il suo periodo astratto, nel quale egli richiama una forma di tonalismo romano, fino ad approdare a un’espressione astratto concreta non priva di suggestioni naturalistiche.
Emilio Vedova, con una pittura gestuale, crea effetti di cromie dinamiche che mostrano le realtà emozionali, interpretando anche temi civili e sociali. Egli crea i suoi Plurimi, e così li commenta: “Nati come armi dinamiche, di un segno aggressivo che non poteva più rimanere nella dimensione statica, precostituita del quadro […]; non sculture da girarci attorno, ma personaggi moventi che invitano al dialogo, che provocano […] più partecipazioni attive”.
Emilio Scanavino esordisce nell’ambito dell’informale europeo. Alberto Burri fa uso di materiali grezzi come tela di sacco, catrami e muffe; l’artista dispone la materia in modo arbitrario perché la materia lacerata, bruciata, contiene in sé una drammaticità che bene esprime l’afflizione umana. Giulio Turcato prova nuove tecniche e materiali come gommapiuma, perline catarifrangenti e colori cangianti fluorescenti. Lucio Fontana interviene sulla tela con tagli e buchi, dando vita allo Spazialismo, cui aderirono Tancredi, Roberto Crippa e Gianni Dova. Giuseppe Capogrossi partecipa a Origine e al “Manifesto spazialista”; dipinge, inoltre, una serie di opere chiamate Superficie.
Alla Pop Art e alla Op Art, movimenti internazionali, contribuiscono anche artisti italiani con il Gruppo T di Milano, formato da Anceschi, Boriani, Colombo, De Vecchi, Varisco; con il Gruppo N di Padova, formato da Biasi, Chiggio, Costa, Landi, Massironi, e con Forma Uno di Roma formato da Accardi, Consagra, Perilli, Attardi, Dorazio, Guerrini, Sanfilippo e Turcato. Essi differenziarono l’astratto con il concreto, interessati alla ricerca di forme pure, primordiali, che, partendo dalla realtà oggettiva, permisero loro di arrivare al linguaggio astratto inteso come simbolo di libertà.
Piero Dorazio creava textures variopinte; Piero Manzoni ha posto le basi della sua arte nell’ironia, nel paradosso; rinomate sono le scatole contenenti “merda d’artista” del 1961, oppure quelle contenenti “fiato d’artista”. Toti Scialoja ricercava una pittura gestuale, astratto-spressionistica, di origine americana; Umberto Mastroianni faceva deflagrare la materia, rappresentando tutta la sua energia nello spazio.
A Roma, un notevole apporto alla Pop Art italiana si ha con Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, che reinterpretano la realtà seppure in forme differenti da quelle americane. Sono altresì significative le ricerche degli artisti Francesco Lo Savio e Pino Pascali. Una ricerca astratta derivata dalla geometria viene condivisa da Agostino Bonalumi, con tele estroflesse e al loro interno sagome di legno, così da creare particolari effetti di luce, e da Enrico Castellani, con tele modulate per mezzo di chiodi collocati in spazi ritmati. Joannis Kounellis introduce nelle sue opere elementi normalmente utilizzati nella realtà circostante; Michelangelo Pistoletto adopera specchi e superfici d’acciaio, con immagini incollate.
Viene poi ad affermarsi l’Arte Concettuale, secondo cui l’opera d’arte è ritenuta visione di un’idea, anziché dell’oggetto in sé. Giulio Paolini si attesta sulla ricerca dell’atto creativo, in base alla percezione fondante dell’arte.
Nel frattempo a Torino il critico Germano Celant dà il nome di Arte Povera a un gruppo di artisti, che trovano nei materiali di scarto la materia e l’anima per le loro opere: Mario e Marisa Merz, Giovanni Anselmo, Luciano Fabro, Giuseppe Penone, Gilberto Zorio, Pier Paolo Calzolari e Alighiero Boetti.
Bruno Munari si dedica all’Arte Cinetica; Salvatore Emblema e Giorgio Griffa all’Astrazione Analitica. Altri artisti di analoga ma varia tendenza furono: Claudio Verna, Niele Toroni, Marco Gastini, Elio Marchigiani e Claudio Olivieri.
Negli anni Novanta la pittura assorbì tutte le conoscenze figurative ed astratte, attraverso metodi multimediali, che manifestano una realtà contraddittoria, non di rado e sempre più violenta. Uno degli artisti che attua queste commistioni è Francesco Guadagnuolo, ritenuto il rappresentante italiano del Transrealismo internazionale. Egli lo fa uniformando nelle sue opere poesia, prosa, musica, scienza, teatro, cinema, fotografia, ottenendo una fusione di linguaggi e di arti. L’artista siciliano propone una fenomenologia culturale complessa, tale da investire l’arte, la letteratura e la musica, il pensiero filosofico. Insomma, un sincretismo sorretto da un instancabile spirito di ricerca. L’obiettivo principale resta tuttavia quello di valorizzare e aggiornare l’urgenza realista. Da ciò scaturisce un segno capace di rappresentare le realtà umane con tutte le loro antinomie, attraverso modularità astratto-informali, concettuali o “povere” che siano. L’intuizione di fondere pittura e poesia si concretizza sin dal 1991, con le opere “Luoghi del Tempo”, tramite l’innesto di poesie autografe dei più illustri poeti internazionali. Questa collezione-museo, inoltre, ha permesso a studiosi, critici e letterati di rapportarsi alla pittura e alla poesia con significati e considerazioni nuovi. Da uomo del suo tempo, Guadagnuolo ha captato la valenza dei simboli rappresentati dal mondo computerizzato, attraverso ogni varietà di telecomunicazioni e delle nuove tecnologie, ed ha ravvisato la loro finalità sintomatica, in parte ormai inerente agli avvenimenti storici, pronto a tratteggiare il corpo sociale contemporaneo così come viene mostrato in tutto il suo carattere drammatico e spesso purtroppo anche crudele. Da quest’indagine nasce la mostra “New York – New York 11.9.2001: Before and Afterwards” di Guadagnuolo, una vicenda che ha scalfito la storia di inizio del nuovo millennio. L’opera così intesa e compresa, viene assorbita dallo spazio urbano, esplodendo in una forza contraddistinta dal segno e dal colore, che concorre a smembrare gli aspetti formali, siano essi figurativi che non figurativi. Disporre la rappresentazione secondo un tale criterio, che esalti i contrasti, rende infine l’artista consapevole di mettersi a confronto con un mondo e una realtà scientifica e tecnologica, sempre più ampia e multiforme (“Il Nuovo Grande Vetro”, 1993; “Segno Suono Luce”, 1996/’97; “Gli iperspazi e l’energia del segno”, 1997/’98; “Cosmografie”, 1998, e l’istallazione a n stadi ‘in progress’ “Metamorfosi immaginifiche della condizione umana”, 2001).
Vinicio Saviantoni
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