Il processo di espansione urbana ha considerevolmente modificato il rapporto che l’Aquila ha intessuto col sito geografico nel corso della tradizione, facendo assumere una valenza territoriale alle relazioni tra città e corsi d’acqua. A seconda delle capacità ricettive della governance e della società civile, la rete fluviale può conferire alla città un singolare valore aggiunto, che dà vita ad una visione sistemica ispirata alla connessione delle polarità distribuite lungo l’asse, e ad una prospettiva architettonica volta a conseguire una attrattività dei suoi spazi pubblici, anche di quelli situati nei contesti più degradati della periferia.
Molte città, che vivono in stretto contatto con l’acqua, oggi sono diventate dei laboratori di stimolanti esperimenti e di innovative soluzioni, volti a recuperare una più alta qualità della vita urbana: una specie di riscoperta dell’acqua o di ‘water renaissance’ che sta caratterizzando svariati interventi in varie parti del mondo. Che ciò rappresenti un’occasione anche per l’Aquila?
La nascita della città pre-angioina fu ispirata alla natura del sito, un’area contrassegnata dalla presenza di abbondanti acque sorgive – Acquilis o Acculi o anche Acculae – situata su una collina a controllo dell’unica strettoia naturale dell’Aterno. In effetti, più che di una fondazione vera e propria, l’impianto organico della città trasse origine da aggiustamenti successivi di capisaldi esistenti (poli di attrazione), congiunti fra loro secondo esigenze di correlazione reciproca. L’asse strutturante che dette origine a questa città fu il tracciato che connetteva il Convento di Santa Maria Acquili, con il Borgo di Acculi, l’Ospedale di Santo Spirito, la piazza del Mercato, Santa Giusta, porta Bazzano. Una metodologia piuttosto elementare, alla quale far ritorno, a scala territoriale, nell’indicare la fascia fluviale dell’Aterno quale corridoio di connessione dei diversi poli di attrazione distribuiti all’interno della città – territorio.
Nel dopoguerra, anche la localizzazione dei nuclei di sviluppo industriale di Bazzano e Pile, ebbe un’origine strategica collegata all’acqua. Oggi, il rapporto che la città intesse col fiume si è sensibilmente esteso dal punto di vista territoriale, venendo ad interessare comparti produttivi dislocati a nord-ovest e a sud-est del centro storico. Ciononostante, finora non sono state prospettate visioni ispirate ad una riscoperta dell’acqua, che invece sta caratterizzando la riqualificazione di molte città del mondo. Ciò è dovuto probabilmente, anche alla natura torrentizia del reticolo fluviale dell’Aterno che – pur costituendo l’asse principale lungo cui si è gran parte attestata la città diffusa e i suoi insediamenti produttivi, sanitari e ricreativi – non è riuscito a diventare il soggetto centrale di attrazione e di strutturazione della concrezione urbano-territoriale aquilana.
La tematica oggi viene riproposta sotto una rinnovata veste strategica, in quanto viene a collocarsi all’interno della questione nevralgica della rigenerazione di una città post terremoto che – nonostante la sensibile estensione territoriale e le nuove prospettive governative orientate all’affermazione del modello metropolitano di città e alla riduzione del numero delle province – soffre ancora fortemente dell’assenza di una visione sistemica e della mancanza di attrattività del suo spazio urbano, attrattività che, in una prospettiva di qualità metropolitana, non le potrà essere restituita unicamente dalla microscopica ricostruzione del suo centro storico. D’altro canto si vanno concludendo i tempi di approdo dell’azione condotta tra la Regione Abruzzo e l’Enel, per l’immissione di 500 litri di acqua al secondo nell’Aterno; un prelievo effettuato dal bacino lacustre di Campotosto, che potrebbe delineare l’alba di una nuova visione di città.
In quanto capace di stabilire un rinnovato rapporto tra natura, città e paesaggio, la “fascia fluviale dell’Aterno” si profila come asse strutturante di una “città eco-centrica” dalla nuova forma urbana, prossimo capoluogo di una più estesa provincia. Il delicato sistema ambientale aquilano, in cui la città di pietra si incontra con la città d’acqua, durante la tradizione aveva trovato, nel complesso della “fontana delle 99 Cannelle”, una delle più monumentali espressioni di waterfront urbano. Durante il dopoguerra, pur essendosi palesato nella capacità di produrre sinapsi creative e opportunità di sviluppo, tale sistema non è riuscito a promuovere scenari urbani ispirati alla attrattività architettonica dei suoi spazi pubblici. E’ quanto si chiede oggi all’Amministrazione comunale, in una prospettiva di “paesaggio culturale” e di “corridoio ecologico” di ampio respiro territoriale.
Il progetto del waterfront urbano, anziché interpretarlo come acritica riqualificazione di aree affacciate sul fiume, va immaginato come nuovo atteggiamento nei confronti della città che, entrando in contatto con la liquidità, mette in essere un imponente cantiere volto a creare la “grande infrastruttura verde multifunzionale dell’Aterno”, posta alla base di una rete di luoghi, funzioni, innesti e ricuciture tra il fiume e la città, che incoraggia la creatività dei residenti, favorisce lo scambio e la collaborazione tra operatori, artisti, giovani e anziani di ogni parte del mondo e incontra, secondo nuovi modelli produttivi, anche le imprese ed il mercato.
Giancarlo De Amicis
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