Avrà anche ragione Thomas Mann quando scrive che: “le avversità possono essere magnifiche occasioni”, ma, certamente, trasformare le avversità in occasioni e le incertezze in propulsioni, è difficile per la più parte di noi.
Non ha caso Henri-Frédéric Amiel affermava: “fare facilmente ciò che per gli altri è difficile è talento. Fare ciò che è impossibile è genio” e, notoriamente, talento e genio sono beni rari, se non rarissimi, soprattutto al giorno d’oggi.
Viviamo, di fatto, fra paure ed incertezze di ogni genere, in uno stato che non decolla, con un debito pubblico che cresce a dismisura nonostante le manovre (ben dieci dal 2008 che hanno fruttato 320 miliardi, di cui il 55% attraverso tasse) e se, come si dice, il futuro ha radici nel presente, si scorgono all’orizzonte giorni bui e difficili, sotto il profilo sia economico, che sociale e lavorativo e senza grandi prospettive di rientrare in situazioni più quiete e tranquillizzanti.
Le incertezze sono crescenti, drammatiche e si inseguono giornalmente, sicché, questa, rischia di essere un’estate davvero calda, con la nostra Italia esposta a mille incertezze ed a un forte rischio speculazione.
Perché lo scudo europeo anti-spread di fatto esiste, ma finché il nostro paese e soprattutto la Germania, non avranno ratificato il trattato per il fondo salvastati permanente Esm, le risorse saranno limitate al centinaio di miliardi rimasti in dotazione allo Efsf.
In più la Cancelliera Merkel è tornata a martellare sul rigore: “non avranno chance” ha detto alla tv tedesca “tutti i tentativi di chiedere solidarietà senza alcuna contropartita”.
E se il presidente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker, parlando con lo Spiegel, ha affermato che “nessuno” dei 17 leader di Eurolandia “si aspetta che l’Italia possa aver bisogno di aiuti”, ha anche ricordato che “se richiedesse un salvataggio dovrebbe sottoporsi alle regole di supervisione esistenti”.
Un’idea, quella di non ammorbidire i controlli congiunti sulle politiche dell’Eurozona, che la Merkel ha legato anche al salvataggio delle banche spagnole “garantito dal governo”.
Unica apertura all’ ottimismo, quando ha concesso che “si è sulla buona strada” e “si è fatto più negli ultimi mesi che negli anni precedenti” per risolvere la crisi.
Un altro passo nella lunga marcia sarà fatto venerdì prossimo quando i ministri delle finanze dell’ Eurogruppo, probabilmente in videoconferenza, daranno l’approvazione formale al ‘memorandum d’intesa con le condizioni per la ricapitalizzazione delle banche e la ristrutturazione – con un programma che si concluderà in 12 mesi – delle banche spagnole.
Inoltre, anche se la nostra borsa ha retto ed abbiamo venduto titoli di stato al 4,5%, il declassamento di Moody’s ha fatto suonare i campanelli d’allarme per l’Italia e per le “tensioni” che in agosto potrebbero far scattare la necessità di calmierare lo spread perché, come segnalato ieri da Leonardo Domenici, relatore del Parlamento Ue per la riforma del rating, “hedge fund e banche azioniste delle agenzie hanno mire ribassiste”.
Nei palazzi delle istituzioni europee negano la nascita di una “task force” anti-spread, ma si dà per scontato il contatto tra le cancellerie per reagire alle possibili emergenze estive.
E’ in questo scenario che potrebbe essere usato lo scudo, che comunque non scatterebbe automaticamente (lo stato deve richiedere l’intervento e dimostrare di essere adempiente, dopo una valutazione della Bce e l’approvazione dell’Eurogruppo, scatterebbe il “monitoraggio” Bce-Commissione), né gratuito.
Certo nessuno si fida della bontà assoluta o della indipendenza delle agenzie di rating, che curano gli interessi solo di una parte della economia.
Inoltre, dopo Standard&Poor’s, lo scorso 13 luglio è stata la volta di Moody’s e questa settimana toccherà a Fitch ad essere accusata dal Pm Michele Ruggiero, di aggiotaggio, a proposito del report del 6 maggio 2010, concernente la valutazione del rischio di contagio sovrano a specifici sistemi bancari, report poi lanciato dai analisti con funzioni “apicali” con un annuncio “in piena mattinata a mercati aperti”, che, secondo la nostra magistratura, ci è costato una perdita netta di 120 miliardi di euro.
Alla data del report, secondo l’accusa, il pericolo di contagio e la sua relazione con la rischiosità per il sistema bancario italiano non c’erano. Anzi. A quella data le banche italiane erano le meno esposte nei confronti della Grecia, l’1,2% sul totale delle attività nei confronti dei soggetti esteri, contro il 6% del Portogallo, il 2,9% della Francia, l’1,4% della Germania. Eppure la relazione viene percepita come “realmente esistente”, se di questo tenore è il commento dei mass media, se le autorità pubbliche italiane sono critiche sul giudizio espresso da Moody’s e se, soprattutto, i titoli bancari italiani subiscono contraccolpi negativi nei rendimenti.
Di qui allora l’accusa di aver violato le norme Ue sull’attività di rating (trasparenza,correttezza, completezza e qualità adeguata) attraverso artifici informativi illeciti, consistiti nella scelta «mirata» dei tempi (a mercati aperti) e nell’impiego di tecniche argomentative suggestive e allarmistiche. Per questo i due top manager vengono accusati di aver dato informazioni tendenziose e distorte, e come tali falsate, ai mercati, sull’affidabilità delle banche italiane disincentivando l’acquisto dei loro titoli e abbassandone il valore.
Le prove raccolte sembrano molte e schiaccianti, ma proprio questo ci dice che l’Italia è esposta e da tempo, a manovre speculative che la voglio usare come leva per scardinare l’Euro.
Forse, scrivono in molti, è pensando ha questo che Monti, lo scorso 12 luglio, ha detto: “L’Italia ha davanti a sé un “percorso di guerra durissimo”.
Né ci rende tranquilli la instabilità dei vari partiti: La Nuova Lega di Maroni che vuole tornare “dura e pura”, il Pd di Bersani che, come commentano da vari giornali, sembra rottamarsi da sé, il grillismo che è sempre più farneticante e il dipietrismo sempre più isolato.
Quando al Pdl è ormai chiaro il ritorno di Berlusconi (definito “agghiacciante da Bersani e non accolto in modo lusinghiero da Casini), che, oltre a rimettersi in forma con diete e jogging, continua a mantenere alta la curiosità sulle sue intenzioni, ma sul nome del partito scioglie la riserva: il ‘Popolo della libertà’ tornerà a chiamarsi come all’origine ‘Forza Italia’.
Con una intervista al quotidiano tedesco Bild, risponde alla domanda che tutti si fanno in Italia e all’estero: parteciperà alle elezioni del 2013 come candidato del Pdl a palazzo Chigi?
“Mi chiedono spesso e con insistenza di farlo. L’unica cosa che posso dire e che non abbandonerò mai il mio Partito della libertà. Tra l’altro, torneremo presto al vecchio nome, Forza Italia”, ha detto Berlusconi, secondo l’intervista pubblicata oggi sul sito del giornale.
La settimana scorsa importanti esponenti del Pdl hanno riferito che Berlusconi parteciperà alla prossime elezioni come candidato alla presidenza del Consiglio.
Alcuni osservatori politici ritengono che il primo obiettivo di Berlusconi in questa fase sia, in realtà, quello di tutelare il partito dalle divisioni interne che sono emerse da quando è stato costretto a lasciare il posto a Mario Monti, lo scorso novembre, e dal netto calo di consensi registrato nelle elezioni amministrative di maggio.
Ed anche Alfano, all’inizio miolto ritroso, anche se, contrariamente alla Gelmini, tiene il punto sulle necessarie dimissioni della Minetti, torna a più pacati consiglia e, di fatto, oggi lancia, da Skytg24, la corsa di Berlusconi, la cui candidatura, dice, “sarà impiantata su qualcosa di molto solido”.
“Gli italiani -aggiunge- devono pronunciarsi su un pezzo di storia italiana e sulle modalità oscure con cui il nostro governo e’ caduto”. Modalità oscure, argomenta il segretario del Pdl, “perché in fondo noi ci siamo dimessi perché i numeri in Parlamento erano stati debilitati dal comportamento di Fini alla Camera, ma anche per una fortissima aggressione nei nostri confronti”.
E Fini anticipa i giochi e, esponendosi di nuovo come non dovrebbe fare la terza carica dello stato, già il 13 luglio dichiarava che, se Berlusconi tornasse in campo “gli italiani lo bocceranno”.
Roberto Maroni, neo segretario federale della Lega Nord, oggi impegnato nel primo direttivo politico del nuovo corso, non sembra affatto sorpreso del ritorno in campo di Silvio Berlusconi, “ma ho altre questioni di cui occuparmi ora”, puntualizza, intercettato dai microfoni di Radio 24 alla Camera.
“Prima del prossimo anno – ribadisce – ci sono tante cose di cui mi devo occupare” e le possibili alleanze “sono l’ultimo punto dell’agenda, per quel che mi riguarda”.
Chi si smarca da possibili alleanze è invece il leader dell’UDC Pier Ferdinando Casini, che risponde ai giornalisti che gli domandano un commento sull’intenzione del Cavaliere di tornare in campo e dice “È un problema del Pdl, non mio”.
Inoltre, a leggere Repubblica di oggi, si sfila anche dalla trappola che nel Pdl stavano organizzando per mettere nel sacco Bersani, con un piano, discusso a palazzo Grazioli durante l’ultima riunione con Berlusconi, che prevedeva una imboscata parlamentare con i voti di Pdl, Udc, Lega e (nei desiderata del quartier generale azzurro), con la complicità dei democratici vicini a Fioroni e Letta.
Un agguato per far passare una legge proporzionale con premio (piccolo) assegnato soltanto al partito più grande e non alla coalizione. Ma ora, saltata l’operazione a causa di Casini, il Cavaliere dovrà rivedere i suoi piani.
Casini ha infatti scelto per sé il ruolo di mediatore, senza prestarsi a fare da sponda a interessi altrui. “La legge elettorale – spiega il leader dell’Udc – io la voglio fare solo con un accordo tra le forze di maggioranza”.
Il perimetro è quello e include naturalmente il Pd. “Una riforma del genere – osserva infatti Casini – non si può approvare con il 51%”. Quindi la Lega, se ci vorrà stare, bene. Ma “non potrà che essere aggiuntiva”, senza sostituirsi alla maggioranza Monti.
Secondo Sandro Rogari,al Pd, Bersani ha assegnato un compito: “Delineare il campo dei democratici e progressisti”, che è cosa ben diversa dal patto di legislatura offerto a Casini. Pone il Pd al centro dell’alleanza, ne fa il cardine, ma senza confusione di ruoli.
Il ‘centro’ del futuro centrosinistra resta totale appannaggio dell’Udc.
Questa, per Casini, è una sfida, ma anche una opportunità. I sospetti che corrono nella base del Pd verso i moderati sono riflessi in modo speculare nell’Udc verso la sinistra.
La sfida per Casini è convincere il suo elettorato che questa è la via giusta. Forse l’unica possibile, dopo il fallimento, alle ultime elezioni ,delle alleanze con FLI ed API.
L’opportunità viene dalla centralità che Casini può dare al suo partito che diviene magnete per i moderati che si riconoscono nel’metodo’ Monti. Se Casini avrà successo, il’montismo’ l’avrà premiato.
Come si vede tutti fatti interni alla politica con, al massimo, i problemi del Paese presi come pretesto e lasciati sullo sfondo.
Due giorni fa, la procura della Repubblica di Roma ha iscritto nel registro degli indagati il senatore Luigi Lusi per il reato di calunnia.
La decisione del procuratore Giuseppe Pignatone e del procuratore aggiunto Alberto Caperna è stata presa al termine di accertamenti relativi ai fatti che caratterizzano la vicenda della sottrazione di denaro dalle casse della Margherita. Nei giorni scorsi sulla vicenda sono stati ascoltati gli ex vertici della compagine politica oggi disciolta e tra questi Francesco Rutelli e Enzo Bianco.
Sui fatti si erano diffuse notizie che ora trovano completa smentita, con il provvedimento della Procura di Roma. I pm quindi sembrano non credere alle accuse che l’ex tesoriere ha rivolto ai vertici del partito, verso cui non c’è alcuna indagine: Rutelli e Bianco, conferma la procura, non saranno indagati.
Quindi Rutelli è innocente e non è un ladro ma, certamente, per lo meno un ingenuo che si è fatto sfilare da sotto il naso qualcosa come un quarto di miliardo in pochissimi anni.
Ha raccolto sin’ora, in quattro giorni, 250.000 firma, contro le 500.000 necessarie, il Comitato per il Referendun a favore della riduzione degli stipendi dei parlamentari, secondo cui la società italiana sta vivendo una crisi economica tra le più drammatiche della sua storia, ed è quindi giusto e necessario un risanamento che per essere credibile, deve essere accompagnato da concreti provvedimenti che pongano fine a sprechi e privilegi che, oltre ad essere ingiusti in sé, sono intollerabili in un momento in cui alle italiane e agli italiani sono imposti grandi sacrifici.
L’iniziativa nata in modo trasversale ai partiti e promossa dal gruppo FaceBook “Nun Te Regghe Più”, dal titolo della famosa canzone di Rino Gaetano, (http://www.leggentrp.it) ha come obiettivo la promulgazione di una legge di iniziativa popolare formata da un solo articolo, ART.1: “i parlamentari italiani eletti al senato della repubblica, alla camera dei deputati, il presidente del consiglio, i ministri, i consiglieri e gli assessori regionali, provinciali e comunali, i governatori delle regioni, i presidenti delle province, i sindaci eletti dai cittadini, i funzionari nominati nelle aziende a partecipazione pubblica, ed equiparati non debbono percepire, a titolo di emolumenti, stipendi, indennità, tenuto conto del costo della vita e del potere reale di acquisto nell’unione europea, più della media aritmetica europea degli eletti negli altri paesi dell’unione per incarichi equivalenti”.
Si tratta di una questione morale, in quanto la classe politica può risultare credibile quando chiede alla società italiana rigore e austerità, se si dimostra capace di ridurre costi, sprechi e sfarzi ritenuti intollerabili dai cittadini.
Purtroppo, nonostante le numerose dichiarazioni e gli impegni assunti, nessuna misura concreta è stata fino ad ora adottata dal Parlamento, i cui componenti continuano a percepire compensi smisuratamente superiori rispetto a qualsiasi Paese europeo (vedi prospetto su: http://www.petizionionline.it/petizione/un-milione-di-firme-per-ridurre-gli-stipendi-ai-politici-italia ni/4474).
I banchetti per la raccolta delle firme si organizzeranno nelle piazze dei diversi comuni; ed i cittadini potranno anche apporre la loro firma recandosi presso le segreterie dei comuni muniti di un documento di riconoscimento.
Vediamo se anche in questo la paura e l’accidia prevarranno sulle giuste, propositive ragioni.
Tengano conto, gli incerti, che, non solo i parlamentari ma tutto lo stato nei suoi apparati ci costa una enormità, se è vera (ma nessuno la smentita), la notizia data dal Corriere, che mentre la Merkel guadagna 17 milioni al mese, il nostro ambasciatore in Germania la supera di 3.000 euro di stipendio.
Carlo Di Stanislao
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