C’è un altro luogo, in questa variegata Italia, in cui, come a L’Aquila, una festa religiosa e poi popolare e secolare si incentrata sul perdono. E’ Melegnano, in provincia di Trento, dove una Fiera, evento strettamente pagano, è scaturita dalla celebrazione annuale della sacra ricorrenza dell’indulgenza plenaria concessa il 20 gennaio del 1563 da Papa Pio IV attraverso l’emissione di un’apposita Bolla, le cui radici sono un intrecciano fra storia e la leggenda.
Ma a Melegnano, anche se il giovedì santo, la festa è oggi solo laica e commerciale; a L’Aquila resta l’intreccio fra pagano e spirituale, come mostrano la più parte degli eventi, spettacolari o meno esposti, che ne compongono la tramatura.
C’è un filo conduttore nei film di Clint Eastwood, a partire da “Gli spietati” ed è quello del l perdono. All’uscita nelle sale cinematografiche statunitensi, nel mese di agosto del 1992, del suo Unforgiven, il cui titolo al momento della distribuzione della pellicola in Italia è stato poi tradotto con un decisamente meno significativo Gli spietati (si ricordi che to forgive -pass. forgave; p.p. sorgive- : perdonare, rimettere un peccato. Da cui il participio passato con valore negativo unforgiven: non perdonato/i, non rimesso/i.), molti si chiesero (e Eastwood no l’ha mai voluto spiegare), se il titolo facesse riferimento al famigerato ex pistolero William Munny (da lui interpretato) e ai suoi soci, l’ex collega Ned Logan (Morgan Freeman) e il giovane Schofield Kid (Jaimz Woolvett), o alle loro vittime o a quell’alone oscuro che pare anche fisicamente pesare sui volti di tutti i personaggi.
Ed ancora di perdono e non perdono Eastwood ci ha parlato sia in “Mystic river” che in “Million dollar baby”, un perdono individuale ed esistenziale, necessario per placarsi in una vita che ringhia e ferisce.
Il tema è ancora più esplicito in “Gran Torino”, dove lui, come Walt Kowalski) dice: “La cosa che tormenta di più un uomo è quella che non gli hanno ordinato di fare”, mostrando di aver compreso il valore del cinema come veicolo anche spettacolare per profonde riflessioni e di aver davvero interiorizzato la lezione appresa, nella sua carriera di attore, sotto la guida dei due mèntori: Leone (1929-1989) e Siegel (1912-1991), a cui si è sempre ispirato.
Impressiona ancora oggi pensare al fatto che Eastwood – la cui prima prova dietro la macchina da presa risale al 1971 – aveva acquistato già a metà degli anni Settanta i diritti per la sceneggiatura dal titolo The William Munny Killings di David Webb Peoples – poi noto come lo screenwriter di Blade Runner (1982, Ridley Scott) e de L’esercito delle 12 scimmie (12 Monkeys, 1995, Terry Gilliam), per tenerla poi in un cassetto fino a quando non avrebbe sentito di avere l’età giusta per interpretare il ruolo del protagonisti.
Ed anche in questo caso, fra le pieghe dei due racconti, c’è la coscienza che dona il perdono, la consapevolezza che è solo la pietà e rendere la vita sopportabile.
Come inoltre colpisce che, già da “Gli spietati”, sa usare le inquadrature in modo classico, epico ed emotivo, con una apertura di film una sequenza, poi ripresa alla sua maniera anche da Quentin Tarantino nell’incipit di Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds, 2009), che sembra uscire direttamente dalle opere più mature di John Ford, accompagnata da un tema eseguito alla chitarra dedicato alla moglie di Munny e composto direttamente dallo lui stesso.
Sì perché Eastwood conosce bene la musica (come pochi altri nel cinema) e sa usare in modo non sprovveduto l’impatto emotivo ed educativo delle note e dei suoni.
Domani sera, con inizio alle 21,30, in Piazza Palazzo a L’Aquila, l’Istituto Cinematografico Lanterna Magica, curerà, per la Perdonanza Celestiniana, la proiezione di “Invictus”, altro film di Eastwood sul tema, stavolta portato in una dimensione più ampia, applicato sulla più larga scala di una nazione e del suo popolo, proteso nello sforzo di una riappacificazione dopo decenni di atrocità e di ingiustizie di una parte sull’altra.
Artefice di questa operazione è la figura di Nelson Mandela, il presidente nero eletto dal popolo che consegna nelle sue mani di ex carcerato politico un Paese lacerato e sull’orlo di una guerra civile, il Sudafrica.
Tratto dal libro “Playing The Enemy” di John Carlin e sceneggiato da Anthony Peckham (già sceneggiatore di “Sherlock Holmes” e del film in lavorazione “Jack Ryan” di Kenneth Branagh ) racconta dei mesi che precedettero la Coppa del mondo di rugby svoltasi in Sudafrica nel 1995 e del rapporto instauratosi tra il Presidente Mandela ed il capitano della squadra Francois Pienaar per far diventare l’auspicata vittoria in quella manifestazione un’occasione di unione per il popolo sudafricano.
Operazione difficilissima quanto coraggiosa considerando che la squadra di rugby, gli “Springbocks”, erano odiati dalla popolazione di colore che li considerava uno dei simboli del potere oppressivo dei bianchi. Nel procedere della narrazione il film analizza anche le figure private dei due protagonisti ed in particolare del Presidente Mandela di cui la profondità della regia di Eastwood riesce a restituirci un ritratto di commovente umanità venato da quell’ombra di amara malinconia così tipica, ed amata, del regista americano.
E sarà ancora il perdono il filo conduttore dei concerti che animeranno, dal 1° settembre, sempre a L’Aquila, la XVIII edizione del Festival Internazionale della Chitarra, curata dal Presidente della Accademia Chitarristica Aquilana Agostino Valente, che ha scelto concertisti e programmi basati sulle del filosofo e musicologo Vladimir Jankélévitch (Bourges 1903 – Parigi 1985), in cui non è presente solo una pars destrunes, ma anzi si cerca di costruire una filosofia fondativa nella quale senso e non-senso si fondono insieme, con un rifiuto dell’ordine esistente e un anelito verso un ordine “altro”, che è un ordine basato o che aspira al perdono e alla rconcigliazione; un ordine “altro” ed “ineffabile”, che, pertanto, solo la musica riesce a cogliere e rappresentare.
Jankélévitch si concentrò molto sul tema del perdono, sviluppando soprattutto due testi Il perdono e Perdonare, tesi che, paradossalmente, approdano a esiti opposti, ma che, infine, configura il perdono come musica o canto, come una sorta di eccezione assoluta in cui la cancellazione del passato si fa lucido oblio e rinascita assieme.
Attraverso la progressione dei programmi, dei brani e degli artistici scelti, con un excursus sonoro capace di incidere sulle emozioni, in un’area ancora mortalmente ferita da un evento tragico recente ed irrisolto, la rassegna si propone si far comprendere che il perdono dev’essere inteso come un andare oltre il fatto, ma senza però azzerarne la memoria, anzi mantenendola sempre vivissima, ma superando il risentimento che crea dissonanze al’interno di ogni singola armonia.
Sia nel caso di Eastwood (anche nei due splenditi “Flags of Our Fathers” e Lettere da Iwo Jima”), che per quanto riguarda il programma del Festival curato dal Maestro Valente, il perdono non annulla il male, ma supera il risentimento che, come per Nietzsche, è ancora più del rancore, ci costringe a ri-sentire sempre la stessa lugubre nota, relegandoci in una sorta di con radiano, insuperabile orrore.
Come ha scritto di recente Gherardo Colombo, unico superstite apparente di “Mani Pulite”, citando Ricoeur, poiché l’autentico perdono, può avere dimora solo nell’imperdonabile, ovvero nell’oltraggio più terribile e nell’offesa più grave, saranno le immagini di Eastwood e le note selezionate da Agostino Valente a farci volare verso questo dono per-dono) di noi stessi agli altri.
Carlo Di Stanislao
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