Alla bellezza non si perdona nulla e spiace di leggere le cattiverie (da raccomandata di Berlusconi a molto peggio), sulla stampa on-line, di area aquilana e non, circa la vittoria di Alessia Reato, 22 magnifici anni, viso perfetto e corpo mozza-fiato, divenuta, con una ex finalista di miss Italia 2011, nuova componente del duo veline di “Striscia la Notizia”.
Si badi bene: non amo particolarmente né la trasmissione di Ricci né tanto meno l’idea di fanciulle sgambettanti esposte alla pubblica bramosia, ma ancor meno amo l’insinuazione e la gratuita calunnia, che non è innocua come il pettegolezzo, ma distruttiva, come e più della menzogna.
Oltre che peccato capitale fra i più stupidi, l’invidia è spesso legata a bassa stima di sé o, al contrario, alla superbia più cieca ed assoluta e nasce, per lo più, in individui con scarso equilibrio e del tutto insoddisfatti, come congiunzione di opposti, sicchè è invidiato chi si ritiene migliore e, per tanto, sempre in grado di superarci.
Ci insegnano gli antichi (e lo fa in modo ispirato Botticelli) che l’Invidia è pallida, magra, brutta a vedersi, sicché disprezza il bello ed il realizzato, in ogni sua manifestazione.
Scrive ne “il Grillo Parlante” Roberto Gervaso che l’invidioso è individuo impotente, ma anche incapace di rassegnarsi, attraversato ed anzi corroso, da sentimenti negativi, che sfiorano il rancore, l’odio, l’ostilità.
Ma per buona pace dei miei concittadini (storicamente percorsi dall’invidia), dirò che essa, combinata con la maldicenza, è molto diffusa nell’umanità e fin dalla sua prima generazione.
Adamo ed Eva mangiarono la mela perché volevano essere come Dio; Caino uccise il fratello perché era invidioso.
L’invidia è desiderio di voler assomigliare a qualcos’altro, nella consapevolezza che tale desiderio è solo utopia.
Ebbe ha dire un noto psicoanalista, anni fa, che poiché invidia deriva dal latino “invides”, l’invidioso è colui che o non vede o vede distorto.
Ha scritto Edward Bach, l’ideatore della celebre cura con i fiori, il grande esploratore dell’animo umano, che si riconoscono tre tipi di invidia: quella ostile, di chi cioè vorrebbe distruggere il vantaggio – reale o immaginario – che l’altro avrebbe su noi stessi (maggiore quantità di beni, di felicità, di affetti, di prestigio); quella depressiva (“non sarò mai bravo/bello/ricco/fortunato quanto lui”); e quella ammirativa, l’unica vantaggiosa e positiva, capace di spingere, chi la prova, ad essere migliore.
E scrisse, il geniale scozzese, che Elm e Rock Water sono rimedi capaci di trasformare in ammirativa le altre due invidie, estremamente distruttive e negative, usando una tale convinzione che adesso, leggendo i commenti su Alessia, credo che sarebbe il caso di versare ettolitri di tali rimedi, sui tetti e nei vicoli della mia invidiosa città, incapace di riconoscere la bellezza e, anche per questo, di risorgere (rigenerarsi ha detto meglio Errico Centofanti), dopo il tradimento della natura, che l’ha resa irta di sterpaglie e macerie.
Nel richiamato quadro di Botticelli, antagonista del Re saggio è il Livore, uomo magro e vestito di stracci, col volto livido di chi è tormentato dalla rabbia, che si allea a due fanciulle che poco conservano di femminile: l’Invidia e la Frode, che intrecciano i capelli alla Calunnia con nastri e fiori.
E mi vengono in mente i versi di Fabrizio De Andè, quelli che dicono: “E fu così che da un giorno all’altro bocca di rosa si tir addosso l’ira funesta delle cagnette a cui aveva sottratto l’osso. Ma le comari di un paesino non brillano certo in iniziativa le contromisure fino a quel punto si limitavano all’invettiva”.
Vorrei qui puntualizzare, profittando della brutta vicenda attorno alla bella Alessia, che non bisogna confondere pettegolezzo e maldicenza, perché quest’ultima, infinitamente più grave, è strettamente imparentata con la menzogna e la calunnia.
Don Marzio, malalingua viperigna della “Bottega del caffè” di Carlo Goldoni, ci ricorda che la maldicenza, è un resoconto distorto o del tutto falso, escogitato ad arte per infangare ingiustamente il buon nome di un’altra persona, quella che, non potendo raggiungere, si deve diminuire e sminuire.
Giunto a chiusura, resto convinto del mio incipit: la principale causa di maldicenze è l’invidia e l’invidioso, come uno sceriffo delle virtù sociali, passa il suo tempo a rovistare nella vita dell’invidiato, in cerca debolezze e difetti, per ingigantirli e diffonderli ai quattro venti, cercando di dimostrare che l’altro non merita nulla di ciò che ha, ma che lui,
Carlo Di Stanislao
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