Chiunque abbia visitato L’Aquila del dopo terremoto non può non essere rimasto profondamente colpito dalla stridente contraddizione fra lo squallore impressionante dei luoghi, i cani randagi e le erbacce sui muri, e l’imperversare multicolore altrettanto impressionante delle innumerevoli locandine che annunciano i più impensabili avvenimenti culturali o pseudotali che giornalmente allietano la città.
Riservando ad altra occasione il chiarimento sullo pseudo, è evidente che tutte queste manifestazioni abbiano la possibilità di realizzarsi in luoghi determinati, la cui frequenza è anch’essa singolare, dalla Guardia di Finanza a Collemaggio, dal Ridotto del Teatro al casino seicentesco dei Quinzi e dei Cappa a Coppito oggi volgarmente chiamato murata Gigotti, e chi più ne ha più ne metta.
Non sembrava dunque propriamente indispensabile una sala da concerto che si aggiungesse a quella del Conservatorio e ad altre più o meno specifiche, o polifunzionali, come oggi si …, meno che mai in sostituzione di quella del Castello, della cui assenza nessuno si accorge.
La munificenza più o meno esibizionistica di un grand’uomo come l’architetto Piano e la carità pelosa della Regione Trentino Alto Adige che nel cantiere Aquila ha individuato fin dall’inizio un pozzo senza fondo per il suo legname, i suoi imprenditori, professionisti, tecnici, operai e così via, hanno condotto alla costruzione di una “cosa” che a rigore sarebbe potuta rimanere allo stato di progetto, ovviamente geniale, da realizzare quando e dove fosse stato possibile ed opportuno, se non ci fossero stati gli accennati interessi trentini e, da parte del Comune dell’Aquila, quella cupidigia di servilismo di cui Vittorio Emanuele Orlando parlò a tutt’altro proposito ma che dal sindaco Cialente è stata condotta ai limite dell’indecoroso.
Mentre infatti Piano parla tenacissimamente di provvisorio e di effimero per la sua “cosa”, ribadendone quindi l’origine squisitamente ed esclusivamente progettuale, Cialente ne profetizza non solo la durata più perenne del bronzo ma la localizzazione intoccabile al parco del castello come perno di un quadrilatero che la sua fantasia eccitata già scorge a risolvere i problemi cittadini ben al di là delle erbacce e dei cani randagi.
Il Sindaco dell’Aquila, ed in genere i governanti di questa sventurata città, hanno il vizio di coniugare i verbi esclusivamente al futuro, il campus universitario più grande d’Europa tra vent’anni (quando saremo tutti morti, come ammoniva realisticamente Keynes) mentre oggi Ottobre 2012 gli studenti non dispongono di servizi pubblici adeguati ed hanno ripreso ad essere strangolati dall’affitto di camere e di letti nelle seconde case, che rappresentava nell’Aquila del presisma il più caratteristico problema di spregevole costume sociale, e che sta tornando a rappresentarlo.
E lasci il buon Cialente ai bambini e a quella porzione infantile dell’umanità costituita dai turisti americani e giapponesi l’ammirazione per la Torre Eiffel , affiancata alla “cosa” di Piano, torre che rimane una mostruosità del falso efficientismo positivistico del 1889 così come mostruosi sono il Vittoriano a Roma e la mole Antonelliana a Torino, ma bisogna tenerseli come testimonianza storica di un’ età determinata.
Questa testimonianza, in un Aquila “diffusa” su una trentina di chilometri, e tale destinata a rimanere nel persistente sfaccio della convivenza comunitaria quotidiana (che è la sola che conti) è stata fatta localizzare (da chi? perché non altrove?) in vista di quel castello che solo da pochi decenni era stato acquisito definitivamente alla coscienza civica aquilana, dopo che per secoli aveva rappresentato una realtà estranea e ostile.
Quest’acquisizione assumeva la più grande rilevanza culturale nell’atto in cui gli aquilani cominciavano a rendersi conto di possedere nel castello, ben al di là della Rivera o di San Bernardino circoscritti a spazi e tempi ben determinati, l’unico aggancio ad una realtà obiettivamente imperiale, internazionale e plurisecolare come quella spagnola, realtà al cui interno il manufatto aquilano (ricorriamo alla miserabile terminologia dei capomastri) si collocava con prestigiosa dignità.
Questa dignità è oggi di fatto, visivamente, tangibilmente, compromessa dalla “cosa” piantatagli là in faccia: non è il caso di aggiungere parole: basta guardare.
Raffaele Colapietra
per invito del Movimento Cinque Stelle L’Aquila
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