Anche se Mitt Romney riesce nel finale ad essere più efficace facendo leva sui temi economici, il terzo confronto teletrasmesso fra lui e Obama, è stato chiaramente vinto da quest’ultimo, grazie alla sua particolare incisività sulla politica estera.
Così, ora, il punteggio finale delle sfide dirette, si chiude sul 2 a 1 per il presidente in carica; anche se ma la vittoria finale è ancora molto incerta.
Cosa importante capita ieri notte è che, oltre ai temi economici, per l’America è vitale l’estero: un brand che non si può mettere nel cassetto, altrimenti la super potenza non ha più ragione di essere.
Obama e Romeny hanno cominciato il terzo ed ultimo dibattito prima del voto (6 novembre) in modo molto cauto, col primo che si dichiara d’accordo con Obama in più occasione ed il secondo che ha accuratamente evitato di menare fendenti mortali.
L’unico affondo di Obama è arrivato quando ha detto di non essere d’accordo su quello che fu il pilastro della politica repubblicana di George W. Bush, ovvero che le azioni all’estro degli Stati Uniti erano dirette al “building a nation”, ma costruire una nazione diversa da quella che c’era. Esperimento fallito in toto, perchè non si può costruire una nazione che non sia desiderata dai cittadini che hanno chiesto l’aiuto della comunità internazionale, e dell’America in primo luogo, ma si può solo aiutarli a trovare la strada che essi desiderano nel rispetto di alcune regole fondamentali: la legge, il rispetto delle donne, lo sviluppo, la difesa dalle interferenze esterne, l’educazioni per tutti.
E non è certo una cosa di poco conto.
Anche lo spinoso e non di poco conto problema del nucleare dell’Iran è stato trattato in modo molto diplomatico, con Obama che ha dichiarato che sarà accanto a Israele se sarà soggetto ad un attacco e Romney che ha ripetuto sostanzialmente la stessa cosa, lasciando da parte le suggestioni dell’attacco preventivo.
Secondo gli osservatori, comunque, il dibattito artatamente si è svincolato dai problemi interni, con un paese con 12 milioni di disoccupati ed un futuro non certo roseo e con 82 minuti e 48 secondi tutti a parlare di politica estera per favorire Obama, che di questo argomento conosce ogni singola sfumatura.
Sicché, secondo molti, un dibattito inutile, perché meglio sarebbe stato fare una discussione sui dati economici e sui problemi di Main Street.
Ad un certo punto Romney ha attaccato i tagli di Obama sulle forze armate, osservando che la Marina
americana, oggi, ha meno navi del 1916; ma proprio così offrendo un assist all’avversario che ha potuto replicare che l’America ha oggi “meno cavalli e baionette, ma più sommergibili”, una frase tanto azzeccata che dal momento in cui è stata pronunciata è stata accolta favorevolmente da 6,5 milioni persone su Twitter, con una media di 105mila messaggi al minuto ed una diffusione che l’ha resa già epica e popolarissima.
Non meno della affermazione, pochi giorni fa, di Michelle, che spiazzando i conduttori della trasmissione tv “Live with Kelly and Michael”, in onda sulla Abc, che gli hanno chiesto se è meglio “Barack con i boxer o con gli slip”, ha risposto “meglio nudo”, ostentando un bel sorriso da moglie completamente soddisfatta.
Ora va ricordato che, molti esperti di fatti statunitensi ci ricordano che il voto delle donne sarà l’ago della bilancia delle elezioni statunitensi, perché esse rappresentano il 52% della popolazione: una vera e propria miniera di consensi in grado di orientare in maniera determinante la scelta del prossimo presidente degli Stati Uniti.
E le elettrici, secondo i sondaggi, confermeranno la fiducia a Barack Obama, ritenuto più vicino al tema della parità tra i sessi.
Comunque ciò che preoccupa Obama ed il suo staff, è il gran numero di promesse mancate nel corso della sua presidenza, soprattutto la disoccupazione che è ancora sopra l’8% e lo è da 43 mesi.
olitico.com ha fatto una breve lista degli impegni obamiani che saltano piu’ agli occhi per essere rimasti sulla carta. L’11 settembre del 2008, in piena campagna elettorale, Obama promise che avrebbe ”radicalmente trasformato il modo di lavorare di Washington”. Ma, complice l’ostruzionismo della destra, Capitol Hill e’ tuttora completamente bloccato dai veti incrociati. Appena arrivato alla Casa Bianca, nel febbraio 2009, disse che se non avesse rilanciato l’economia in tre anni, allora non avrebbe meritato la rielezione.
Era l’epoca dello ‘stimulus’, un imponente pacchetto di interventi pubblici nell’economia di 787 miliardi di dollari, che secondo le stime della Casa Bianca avrebbe dovuto portare la disoccupazione al 5,6%. Sfortunatamente per Barack, oggi siamo all’8,1%, a fronte di un enorme debito pubblico. E’ questo, senza dubbio, il tallone d’Achille di Obama. Non a caso, proprio questi numeri fallimentari sono al centro dell’ultimo spot dal titolo ‘Actually Happened’, cioe’ com’e’ andata veramente, che Crossroads – il SuperPac repubblicano di Karl Rove – sta mandando in 8 Stati in bilico.
La campagna e’ costata 16 milioni di dollari: la spesa piu’ imponente dall’inizio della sfida elettorale. Ma la destra ha altre frecce nel suo arco: nel gennaio 2008, all’inizio della sfida Obama-Hillary, Barack attaccò Bill Clinton, oggi il suo maggiore sponsor. ”Ronald Reagan – disse all’epoca – ha cambiato la storia d’America, una cosa che non e’ riuscita’ ne’ a Nixon ne’ a Clinton”.
Ma anche a sinistra, c’e’ qualche malumore: il terzo giorno della sua presidenza, Obama disse ufficialmente: ”Guantanamo sarà chiusa entro l’anno”. Era il gennaio 2009. Siamo nel 2012 e il carcere simbolo di George W. Bush ospita ancora oltre 80 sospetti terroristi. Improvvido anche sulla riforma sanitaria: era il settembre del 2010, quando si disse sicuro che la sua Obamacare ”giorno dopo giorno sarebbe diventata sempre più popolare”. Cosa che non e’ mai accaduta.
Assicurò che le compagnie come la Solyndra, che si occupano di energia verde, ”avrebbero guidato il mercato e avrebbero assicurato un futuro di prosperità”. Ma proprio la Solyndra, malgrado ingenti aiuti di Stato, e’ fallita miseramente. Infine, una promessa non mantenuta che tanti ‘latinos’ ancora gli rinfacciano: non essere riuscito a portare a casa una riforma migratoria. Ma su questo punto, lo stesso Obama, poche settimane fa, ha chiesto perdono: ”Senza dubbio e’ stato il maggiore fallimento del mio primo mandato”.
Carlo Di Stanislao
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