Si fanno chiamare “camicie multicolori” (ma dietro vi sarebbero le “camice gialle” monarchiche e filo-governative) e vogliono che le attività economiche danneggiate tornino alla normalità. In migliaia hanno manifestato ieri a Bangkok contro la protesta che da settimane paralizza la capitale thailandese e il giorno dopo un sanguinoso attacco che ha lasciato sul terreno tre morti (fra cui una donna di 26 anni) e provocato un centinaio di feriti, con il lancio di granate in un centro commerciale di Silom, il principale distretto finanziario a Bangkok. Le granate sono state lanciate da un M-79, lo stesso tipo di arma usato contro i soldati nella manifestazione antigovernativa delle camicie rosse, il 10 aprile scorso. Dopo l’escalation di violenze che sta interessando la capitale thailandese dal 12 marzo, innestate dalle cosiddette “camicie rosse” che chiedono le dimissioni del primo ministro Abhisit Vejjajiva, lo scioglimento del parlamento e nuove elezioni; ieri il governo ha annunciato la “pena di morte per i terroristi”. La protesta è costata la vita a 26 persone in un solo mese e il numero maggior di vittime si è registrato negli scontri del 10 aprile, tra manifestanti ed esercito. Temendo una repressione dell’esercito, le “camicie rosse” hanno presentato oggi una petizione all’ufficio dell’Onu a Bangkok, chiedendo all’organizzazione di inviare un contingente di peacekeeper per frapporsi tra le forze di sicurezza e i sostenitori dell’ex premier deposto Thaksin Shinawatra, che occupano il centro del capitale dal 12 marzo. In una nota del 23 aprile, La Farnesina sconsiglia soggiorni non necessari a Bangkok (salvo il transito per altre destinazioni del Paese), fino a quando la situazione non sia tornata alla normalità”. Ai connazionali comunque presenti nel Paese, il sito del ministero consiglia di adottare la massima prudenza e di evitare le zone dove siano in corso assembramenti o manifestazioni, sia nella capitale che nel resto del Paese. In particolare a Bangkok, consiglia di evitare le zone del Palazzo Reale, la Khao San Road, il quartiere Dusit (ove hanno sede il Parlamento e il Palazzo dell’esecutivo), la zona di Ratchaprasong, Silom (in particolare l’incrocio tra Silom e Rama IV) nonché tutte le aree prospicienti uffici di governo. Dalla metà di marzo le “camicie rosse”, fedeli all’ex premier Thaksin Shinawatra, manifestano per le strade di Bangkok chiedendo le dimissioni del capo del governo Abhisit Vejjajiva e la convocazione di nuove elezioni. Dal 15 aprile i manifestanti si sono concentrati nel distretto di Ratchaprasong, nel centro della capitale thailandese, dove sorgono gli hotel di lusso e i più grandi centri commerciali della città. Il Il “Bangkok Post”, uno dei maggiori quotidiani della Tailandia, si chiedeva, nell’edizione del 22 aprile “quante vittime ancora?” e ricordava il sequestro, il 21 sera, da parte delle “camicie rosse”, di un treno carico di armi e mezzi militari che avrebbe dovuto raggiungere la capitale dalla provincia nord-orientale di Khon Kaen. Oggi il quotidiano Matichon scrive che una spinta alla trattativa può arrivare dai dirigenti del partito anti-governativo “Pheua Thai Party”, che avrebbero chiesto la mediazione del re Bhumibol Adulyadej. Le “camicie rosse” sono per lo più contadini ed esponenti delle classi medio-basse che beneficiarono di alcuni interventi pubblici durante i governi di Thaksin Shinawatra, uomo d’affari controverso, deposto da un colpo di stato militare nel 2006 e poi condannato per corruzione. Nel frattempo, la sicurezza nazionale è stata affidata all’esercito, oggi costretto a gestire una nuova emergenza oltre a quella di Bangkok. Nella cittadina di Pattani, nel sud, questa mattina un agente di polizia è rimasto ucciso e altri 43 sono rimasti feriti da una granata lanciata, presumibilmente, da separatisti. A due ore dalla prima esplosione, una seconda bomba ha ferito altre dieci persone nei pressi di un parcheggio. Gli attentati del sud sono di matrice separatista, le proteste di Bangkok antigovernative e la Thailandia, bisognosa di pace, rischia invece di finire nel caos.
Carlo Di Stanislao
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