Fra i due spettacoli andati in scena ieri, uno a Roma, quarta giornata del Cinefestival mulleriano e l’altro al Teatro Luna di Assago, confronto fra i cinque candidati alle primarie del centro-sinistra, forse quest’ultimo è stato il più interessante, anche sotto il profilo dello spettacolo.
Sul palco di X Factor, organizzato da Sky TG24, si sono confrontati Pierluigi Bersani, Matteo Renzi, Nichi Vendola, Laura Puppato e Bruno Tabacci e lo hanno fatto scegliendo toni pacati per rimarcare, comunque, caratteristiche e differenze, fra la moderazione di Bersani, il liberismo di Renzi, il respiro di sinistra di Vendola e gli altri due ad inseguire e delineare i loro ruoli, ma senza animosità né affanno.
Insomma, dal confronto, la sinistra è uscita bene, con i cinque contendenti alle elezioni del 25 novembre che non si sono combattuti aspramente, né hanno cercato a tutti costi i voti degli indecisi, sicché alla fine del dibattito, il direttore di Pubblico Luca Telese e quello del Foglio Giuliano Ferrara, hanno potuto ben dire che si è trattato dello spettacolo di una compagnia di giro, abituata ad andare in scena tutte le sere sul proscenio della tv italiana.
Tutti i contendenti si sono impegnati, ma in modo civile ed evitando scontri e polemiche, di dimostrare di essere fedelissimi agli elettori di centrosinistra e lo stesso Renzi era più preoccupato di mostrare che lui è di sinistra (lampante nel caso del giudizio sull’Ad della Fiat Sergio Marchionne) e difendersi dall’accusa di essere più vicino al centro, tanto da essere il più netto nel divieto di aprire a Casini e company, ancor più dello stesso Vendola.
Insomma tutti hanno recitato bene la loro parte, in un film che si è svolto senza intoppi e che, alla fine, ha permesso a Bersani di mostrarsi figura di coordinamento più efficace e capace degli altri, ma con i rimanenti, credibilissimi in ruoli da comprimario o da guest star.
Nel film visto ieri sera tutti sono stati ben illuminati da una tv attenta allo spettacolo ed anche l’unica incorsa in uno scivolone, Laura Puppato, che ha confuso riforma delle pensioni e quella del lavoro, ha avuto i sui assist di gloria.
Come gloriosa è stata la chiusa (certamente la migliore) di Tabagi, che si è giocato con successo la carta della moderazione e della serietà e, nei sondaggi, non è arrivato ultimo, anche se staccato da Renzi, Bersani e Vendola, nell’ordine.
Vedere il tv l’incontro è stato, dicevo, molto più divertente che guardare i resoconti filmati della quarta giornata del Festival del Cinema di Roma, che continua il suo incedere solenne e noioso, che non è cambiato neanche ieri , con di scena due film in qualche modo nostrani.
In verità uno dei due è misto (coproduzione fra Francia, Belgio e Italia) e si intitola “Le Guetteur”, diretto da Michele Placido, che usando gli stessi mezzi di Vallanzasca e Romanzo criminale, con un cast di bravissimi attori, una splendida fotografia rugginosa, non muove però neanche un sussulto di autentico pathos o di vera novità.
Ancora più brutto, un cinepanettone riveduto e corretto, Il volto di un’altra, film in concorso diretto dal beniamino di Marco Muller Pappi Corsicato, accusato dai cinefili di uccidere il cinema italiano già molto mal ridotto, sia sul piano degli incassi che su quello della qualità.
Se il film di Placido non decolla, ma è tecnicamente perfetto, quello di Corsicato, con la Chiatti che addirittura imbarazza, è la solita zuppa grottesca, con personaggi bizzarri, un spruzzata di kitsch e una pioggia di liquami castigatori nel finale.
Per nulla turbato dai fischi, il 52enne regista ha spiegato: “Il film nasce da una giocosa riflessione sul contemporaneo, mescolando vari generi che vanno dalla commedia romantica americana al cinema di costume italiano”. Ed aggiunto che è un film alla Almodovar, che è stato il maestro di Corsicato e sul tema, ha già girato La pelle che abito.
Il fatto è che anche Almodovar sul quel tema incorse in un ruzzolone; figuriamoci un imitatore minore che da sempre ripete le stesse storie e replica le medesime sequenze.
Tornando al Cecchino di Placido, dopo una frenetica sparatoria iniziale girata all’americana, si continua annoiati a guardare l’orologio, con solo una imitazione dei polar di Melville ed una parvenza molto mal riuscita dei Senza Nome del grande autore francese.
Pur usufruendo di un cast all-star, con Daniel Auteuil e Mathieu Kassovitz, rispettivamente nei ruoli di un poliziotto segnato dalla morte del figlio e di un ex cecchino dell’esercito specializzatosi in rapine, il film resta alla superficie del genere, senza coglierne lo spirito epico, fors’anche a causa di un copione che fa acqua da tutte le parti e tira perfino in ballo un sadico serial-killer di donne.
Insomma, nonostante il notevole budget da 14 milioni di euro, Il cecchino, anzi Le guetteur, che in Francia è andato maluccio, con solo 400 mila spettatori, per un incasso di 4 milioni di euro, non potrà andare meglio né nei altri paesi né da noi.
Sicché a Roma, una qualche speranza per l’Italia ci viene da Gianfranco Giagni e Fabio Ferzetti con il loro documentario “Carlo” (su Carlo Verdone) e dall’esordiente Claudio Giovannesi, autore di un più che dignitoso Alì dagli occhi azzurri.
Ma anche in questo caso mancano idee e sviluppi. Guardavo sere fa su Iris “Disatro a Hollywwod”, graffiante e brillante commedia sul mondo del cinema, in cui Barry Levinson, usando con perizia Robert De Niro Sean Penn, Catherine Keener, John Turturro, Robin Wright Penn, Bruce Willis ed altri, ripresenta e rivede in modo originale il meccanismo del cinema nel cinema, spiando con intelligenza narrativa e visiva dal buco della serratura del ‘dorato’ mondo di Hollywood, per spiegare che ogni film (in quella macchina tritasassi che è la Mecca del Cinema) è il frutto di una molteplicità di dinamiche che non sempre agiscono in favore della sua riuscita.
Però, in qual caso, il prodotto resta almeno dignitoso e non ha la prevedibilità o la noia di ripetizioni vuote, come accade invece in molte opere italiane di questi ultimi anni.
Molto meglio allora lo speciale che Rai3 ha deciso di dedicare a Beppe Viola, in onda ieri sera alle 22.40 dopo la puntata di Che tempo che fa, e al posto di Sfide, con un buon testo, efficaci immagini ed interviste autentiche ed azzeccate, per un esito che, per una volta, è davvero autenticamente italiano.
Carlo Di Stanislao
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