Corea sempre più isolata nel culto della personalità e dello sterminio

Stavolta neanche la Cina, di solito pronta a difenderla, ha deprecato il lancio effettuato dalla Corea del Nord, di un razzo a lunga gettata, che ha destato viva preoccupazione in Giappone, che ha richiesta la convocazione urgente del consiglio di sicurezza de l’ONU e negli Stati Uniti, con la Casa Bianca che ha assicurato che […]

Stavolta neanche la Cina, di solito pronta a difenderla, ha deprecato il lancio effettuato dalla Corea del Nord, di un razzo a lunga gettata, che ha destato viva preoccupazione in Giappone, che ha richiesta la convocazione urgente del consiglio di sicurezza de l’ONU e negli Stati Uniti, con la Casa Bianca che ha assicurato che “resterà vigile”, definendo l’operazione “un atto altamente provocatorio” da parte di Pyongyang. Il missile a tre stadi Unha-3 è precipitato in mare dopo aver sorvolato il Giappone in un percorso di 2.500 chilometri. La Corea del Sud ha condannato “con decisione” il lancio del razzo effettuato in violazione delle risoluzioni dell’Onu e il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha detto che tale lancio ha “violato la risoluzione 1874” che, anche secondo la Cina, la Corea del Nord è tenuta a rispettare. Anche l’Iran si è dissociato dalla Corea del Nord e già ieri il portavoce del Ministero degli Esteri Ramin Mehmanparast, ha affermato che il governo di Tehran non ha svolto nessuna cooperazione con la Corea del Nord riguardo a tecnologia missilistica e nucleare. Lo stesso giorno, durante una conferenza stampa di routine, lo stesso Mehmanparast ha affermato che durante la guerra Iran-Iraq, l’Iran ha avuto una cooperazione militare con la Corea del Nord, ma al termine del conflitto, la collaborazione si è limitata ai settori politico, economico e sociale.

E’ sempre più evidente che la Corea del Nord è la nazione più isolata del mondo, più della stessa Cuba, un paese pressoché inaccessibile e che ormai non può contare su nessun partner internazionale.

La separazione fra le due Coree ha radici molto più profonde rispetto alla separazione dei due paesi datata 1945; storicamente il Sud ha tradito molte volte le regioni settentrionali con alleanze, cessioni e conquiste, e nei quasi seicento anni di dominazione Joseon (terminata nel 1910) le popolazioni meridionali hanno goduto di cariche e prestigio sociale maggiori dei connazionali del Nord.

Con l’occupazione giapponese (1910-1945) l’intera penisola conobbe uno dei periodi peggiori della propria storia, e nuovamente il sentimento principale degli abitanti del Nord fu quello di risentimento nei confronti del Sud reo di aver svenduto la sovranità nazionale; la resistenza contro gli oppressori nipponici venne combattuta infatti principalmente dai nordcoreani soprattutto sul proprio territorio.

Uno degli artefici della vittoria della resistenza fu Kim Il-Sung, grazie anche all’intervento sovietico che risultò decisivo; ciò destò preoccupazioni al governo statunitense che, conscio dell’importanza strategica della penisola, capì di non potersi lasciare sfuggire l’intero territorio. Le attese elezioni democratiche post-belliche in tutto il paese non si tennero perché il Nord rifiutò gli osservatori internazionali dell’ONU e così il 15 agosto 1948 il Sud proclamò la Repubblica di Corea, mentre alcune più settimane più tardi fu la volta della proclamazione della Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord.

Oggi i due paesi sono separati da una riserva naturale – una zona franca – creata a seguito della guerra del 1950-53 lungo il 38° parallelo. Kim Il-Sung mantenne il potere dal 1948 fino alla sua morte, avvenuta nel 1994; a lui ci si riferisce ancora oggi nelle conversazioni quotidiane con l’appellativo di Grande Leader.

Il culto della personalità fu infatti una delle principali caratteristiche del dittatore nord-coreano, la cui immagine tuttora riempie le strade della nazione; la sua figura, talmente pura e prestigiosa, non conosce declino ed ancora oggi, a distanza di quasi vent’anni dalla sua morte, Kim Il-Sung risulta incredibilmente essere il Capo dello Stato. Anche suo figlio e successore Kim Jong-il ha mantenuto tale impostazione; al pari del padre – che era dotato a quanto sembra di un’aura divina – il recentemente scomparso Caro Leader (deceduto nel dicembre 2011) pare avesse anche la facoltà di condizionare il tempo.

Culto della personalità abbonda natio in Russia e in fase di revisione in Cina, ma che regge ancora, ad esempio, in altri paesi comunisti come il Venezuela di Chavez e la Cuba di Fidel Castro.

Il culto della personalità è un problema annoso ed irrisolto per molti regimi comunisti e l’esempio più lampante, oltre che in Corea, lo si vede nel Venezuela di Chavez, accompagnato da una gran folla di chavisti osannanti alla sua partenza, venerdì scorso, alla volta di Cuba dove, per la seconda volta, sarà operato per un “cancro nella regione pelvica, con una coreografia della partenza (ricca di elementi religiosi, a cominciare da un’immagine di Cristo in bella mostra sul parabrezza dell’auto presidenziale) e, soprattutto, il discorso , da lui stesso concluso con un “Viva Chávez!”, che a prima vista sembra soltanto uno dei suoi molti e non di rado grotteschi momenti d’auto-incensamento – ma che inequivocabilmente testimoniano l’inizio (o, per meglio dire la furiosa accelerazione) d’un ormai non più dissimulato processo di beatificazione. Il culto della personalità fu introdotto, pare controvoglia da Lenin che, nel 1918, contribuì a trasformare il bolscevismo in una religione politica, divenendo il primo di una ancora lista di dittatori sacralizzati ancora troppo diffusi nel mondo.

Nel 1848 Marx ed Engels, pubblicando il “manifesto comunista” avevano introdotto una svolta ideologica. Per loro la pace non rappresentava più un valore in sé, ma era subordinata ad un concetto di progresso che ammetteva e anzi sanzionava la violenza come strumento: la dittatura del proletariato. Prima di loro avevano sostenuto più o meno confusamente questa dottrina dai tratti totalitari e antireligiosi, Babeuf (la terra non è di nessuno, i frutti sono di tutti) e rappresentanti del socialismo utopistico, anarchici quali Owen, Fourier, Louis Blanc, Proudhon, Bakunin, Cabet e pochi altri. Ma Aleksandr Solgenitzin, liberato negli anni 50, ci parlerà dell’inferno dei gulag: un immenso sistema di sfruttamento del lavoro di milioni di persone, una vera orgia di schiavismo.

La Repubblica Popolare Cinese nascerà nell’ottobre del ’49, sul culto di Mao, con circa 2 milioni di persone uccise in soli tre anni, soprattutto fra gli oppositori politici considerati nemici del governo popolare. Un sistema di controllo con 550.000 indiziati, 3.800.000 attivisti, 75.000 informatori, 1.200.000 uomini assoldati come polizia politica. Inizierà il genocidio del popolo spirituale del Tibet, con 1.200.000 morti (un tibetano su quattro).

Molti saranno internati nei campi di concentramento cinesi (laogai), impiccati, torturati, mutilati, addirittura seppelliti vivi, in acqua bollente, decapitati o crocefissi e i lasciati sbranare dai cani randagi.

Quanto ai mercenari cubani in Angola, Mozambico, in mezza Africa, scatenati quando Castro, esaurite con le sue allucinazioni economiche a base di patè di marxismo i fondi dello stato, non trovò altro mezzo che vendere il sangue dei suoi sudditi a Mosca per destabilizzare il continente africano e sostenere i regimi “amici” contro la popolazione, sono l’allucinante risultato di una atra rivoluzione-regime basata sul detestabile “culto della personalità”, che poi, finite le guerre, si serve invece del “turismo sessuale”, spesso pedofilo, per importare valuta estera.

” Un morto è un caso umano, ma un milione di morti è un caso statistico., diceva Stalin e la regola è stata applicata fino a ieri in Russia, Estonia, Lettonia,Lituania, Ucraina, Polonia, Cecoslovacchia, Germania orientale, Bulgaria, Romania, Ungheria, Jugoslavia, Romania, Albania, Istria e Dalmazia, Cambogia, Nicaragua, Laos, Etiopia, Afghanistan, America Latina, Grenada, Siria, Mongolia, Argentina, Laos ed ancora si applica in Corea certamente e forse in altri non insignificanti (per l’equilibrio mondiale), paesi.

In corea, il nuovo dittatore al potere Kim Jong-un, non ha cambiato di una virgola la politica del padre, con una politica basata sulla dottrina militarista ideata da Kim Il-sung, come fondamento del Paese.

Le poche notizie pubbliche indicano un reddito procapite per la popolazione di 100 dollari all’anno, con una industria di vecchio stampo stalinista, cioè appoggiata all’industria pesante (militare) con la produzione agroalimentare basata su realtà di piccolissime imprese familiari.

L’industria pesante, carbone, acciaio e prodotti chimici,  è l’unica che riesce a dare un minimo di sostentamento al paese, anche grazie alle commesse cinesi di cui la Nord Corea è fornitore.  Tutti gli altri settori economici della regione sono pressoché pari a zero.

La Nord Corea, in realtà, ancora non si è ripresa dalla cessazione improvvisa degli aiuti sovietici, avvenuta circa vent’anni fa. 

Per questo motivo il governo di Pyongyang, ormai nella black list mondiale e quindi estromesso dalla Banca Mondiale e dall’FMI, ha spinto l’acceleratore sui test nucleari e missilistici, unico mezzo per poter di fatto ricattare l’occidente, anche grazie all’unico alleato, la Cina, che ha sempre fatto buon viso a cattivo gioco, più per interessi economici che di reale interesse umanitario.

Questi nuovi test hanno riportato all’ordine del giorno la situazione disastrosa di  un paese che cerca di barcamenarsi tra la fame della sua popolazione ed un governo scellerato, schiavo della propria ideologia,  che investe tutto il suo poco know-how in armi nucleari. Un vulcano assopito che rischia di esplodere da un momento all’altro.

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