“Ogni mattina il malato di Sla si sveglia e scopre che ha una nuova disabilità. Ma non sa a chi rivolgersi e chi possa aiutarlo”. Per Christian Lunetta, neurologo del centro clinico Nemo di Milano, la sofferenza dei malati di Sla è accentuata dalla mancanza di un coordinamento tra chi lo può curare o assistere. Ed è quanto emerge dal VI Congresso nazionale dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla), in corso a Milano a Palazzo Lombardia. “È una malattia degenerativa che procede inesorabile -aggiunge-, e richiederebbe una risposta immediata ad ogni nuova complicazione. Faccio l’esempio degli ausili: le Asl ci impiegano circa un mese a fornirli, ma spesso poi quando arrivano il paziente ne ha bisogno uno diverso da quello richiesto, perché la sua disabilità nel frattempo si è aggravata”.
Per cercare di venire incontro alle esigenze dei malati di Sla, ogni distretto sanitario dovrebbe istituire la figura del case manager: un operatore che faccia da regista tra le diverse competenze di volta in volta necessarie, dall’assistente sociale al pneumologo, dall’otorino al cardiologo. “Solo in Lombardia, Sardegna, Piemonte, Veneto e Toscana è previsto il case manager -sottolinea Lunetta-. Altrove sono ancora le famiglie a doversi far carico di organizzare l’assistenza, ma non sempre ne hanno la competenza, con grave sofferenza per loro e per il paziente”. La cura e l’assistenza di un malato di Sla “costa” dai 15mila ai 30mila euro all’anno. “È chiaro che bisogna ottimizzare le risorse che abbiamo già e anche per questo la figura del case manager è indispensabile”.
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