Alcuni istituti di ricerca hanno calcolato che ieri, sulle reti nazionali, lo spazio riservato alla notizia della morte del Nobel Rita Levi Montalcini, donna caparbia e geniale che in 103 anni di vita si è occupata non solo di scienza, ma anche di diritti femminili e di sostegno per i giovani, è stato di un quinto rispetto a quello dato a Silvio Berlusconi, imprenditore e uomo politico tornato in campo dopo aver detto che mai più lo avrebbe fatto, che ci ha reso ridicoli agli occhi del mondo con le sue battute e l’enorme numero di gaffe e che, con i suoi governi, è responsabile, almeno per gli otto decimi, dello stato attuale della Nazione.
La cosa non è edificante e la dice lunga sullo stato della informazione (e non solo) nel Nostro Paese.
La camera ardente per l’ultimo saluto a Rita Levi Montalcini, la ”Signora della Scienza”, insignita del premio Nobel per la medicina nel 1986, nominata senatore a vita dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2001, sarà aperta oggi al Senato dalle 15,30, mentre i funerali, in forma strettamente privata, si terranno, il 2, a Torino, sua città natale.
Ci sembra un’amara metonimia la scomparsa della Montalcini a chiusura di un anno difficile ed oscuro, un anno, come ha scritto su Il Giornale Maurizio Ferraris, in cui si è affermato il cosiddetto nuovo realismo, con tanto di placet anche da sinistra, con sponsor come Eco e sostenitori di peso come Vattimo e l’affermazione che la realtà esiste e ci resiste, non dipende da noi e non si risolve nelle nostre interpretazioni.
Una convinzione pericolosa e cinica, funzionale ad un modello in cui l’uomo è solo una pedina o una formica in un gioco gigantesco, che sfugge, comunque, al suo controllo, al suo arbitrio, alla sua possibilità di scelta e di intervento.
Sicché, nel post-moderno e nella attualità anche vulgata e mediatica, ciò che collassa è l’impalcatura storico-dialettica del pensiero: finiscono le divinità storiche e ideologiche e la loro drammaturgia; mentre trionfa il singolo, il frammento, il momento.
E nessuno che ricordi Florenskij e Valéry, Simone Weil e Gentile, Guénon e Gustave Thibon, che ci hanno invece insegnato, in forme e misure diverse, che la realtà svanisce se perde il fondamento metafisico e il suo legame d’origine che la collega al mondo, ossia se cede al soggettivismo e si dimentica della società.
Diceva Evola che realismo è scoprire che la realtà è viva, animata e collegata, è il fenomeno visibile di un’origine invisibile, come il frutto deriva da una radice e che soltanto condividendo valori comuni si possono realizzare cose utili e probe per i singoli e la collettività.
Ma nessuno vuole ragionare su questo e sul fatto che se il futuro ha radici nel presente, sghembe ed avvelenate sono le radici del nostro futuro: economico, politico, umano e sociale.
Meglio parlare di Berlusconi e degli altri politici in campo, con Battista che nel suo editoriale sul Corriere della Sera si dilunga a dire che: “la coalizione che si ispira all’Agenda di Mario Monti può essere tante cose, e raccogliere molte anime. Può essere il punto di riferimento né centrista né moderato di una borghesia moderna che, assieme al rigore finanziario che ha caratterizzato oltre un anno di governo tecnico, esige più liberalizzazioni, meno bardature burocratiche, uno Stato più snello, un mercato del lavoro meno punitivo con i giovani, la promozione della meritocrazia, un fisco meno opprimente. Oppure può annacquare la sua novità imbarcando nelle sue scialuppe un personale politico logorato. O addirittura facendo il verso, stavolta con una massa elettorale meno cospicua ma con una spinta molto accentuata del mondo cattolico e financo dei vertici vaticani, ai fasti di ciò che fu la Democrazia Cristiana”.
E, sullo stesso giornale, Maria Teresa Meli che scrive delle preoccupazioni di Bersani, non nel redigere un programma alternativo sul piano umano, culturale e sociale, ma del fatto che Monti potrebbe togliere voti al Pd, escogitando come soluzione il mantra ripetitivo che è esecrabile l’incoerenza del professore che, da tecnico super partes, si è trasformato in protagonista della politica.
Poco spazio è dato agli interrogativi veri ed impellenti che aprono il nuovo anno, che si trascinano dal vecchio e che stanno ad indicare che viviamo un tempo di passaggi epocali (più che annuali) in un mondo dove se l’economia ristagna il resto va velocissimo e magari si vive al quarto d’ora più che alla giornata, mentre l’orizzonte si allunga e tutto è più collegato, anche se non sempre illuminato e coeso.
Sembrano riguardarci solo lo spread e la mancata unità politica nazionale e continentale, il debito pubblico o l’America in versione superpotenza soft di Obama ed ignoriamo che ci riguardano, come singoli e come collettività, le scelte che si compiono a livello globale sui valori primari e le stragi in Siria o quelle di cristiani nel Nord-Est della Nigeria.
E più che parlare per pagine intere dell’incontro andato male fra Berlusconi e i Leghisti sulla Lombardia o di cosa deciderà Ichino o faranno, da posizioni diverse, Grasso, De Magistris ed Ingroia nei loro nuovi ruoli politici, sarebbe meglio chiedersi cosa vi sia dietro il massacro programmatico di cristiani da parte delle milizie islamiste Boko Haram, che anche due giorni fa hanno tagliato la gola a 15 fedeli nel villaggio di Masuri in Nigeria o dietro l’esplosione che ha devastato una chiesta cristiano-copta a Misurata, in Libia, uccidendo una persona e ferendone altre tre.
Invece continuiamo, senza cambiamenti neanche embrionali, a parlare di politica e a dire, ma senza alcuna convinzione e capacità propositiva di analisi, che tra sprechi, corruzione, finanziamenti scandalosi, pure la politica è necessaria e, si spera, sia fatta meglio in futuro.
Come ha scritto sul Corriere del Veneto Renzo Noto, i partiti e i movimenti politici di tutta Italia si stanno applicando per fare ancora di peggio, per dimostrare che tra loro e la democrazia non c’è molto da spartire. Vogliono riuscire nel compito – arduo – di sconfessare il loro fine principale, appunto quello di contribuire ad ampliare la rappresentanza dei cittadini nella vita politica e amministrativa. Con le loro liti, le loro faide interne sembrano voler confermare che la politica non consente alle persone e alle loro istanze di essere rappresentate là dove si decide.
E anche il cosiddetto “nuovo che avanza”, cioè il M5S, è pieno di rozzo populismo e preoccupanti insipienze, fatte di espulsioni, ukase del Capo Supremo da Genova, con procedure pseudo-rappresentative incapaci di selezionare una classe dirigente adeguata per costruire il futuro del nostro Paese e di vederlo inquadrato in proiezioni a carattere globale.
Ma, nonostante tutto, occorre, a fine anno, essere ottimisti e sperare in una ribellione (certamente ferma ma non violenta) della gente perbene, che è molta, che aiuti la politica a non distruggere definitivamente quel poco che resta della nostra democrazia e del nostro senso di collettività, ma sia rappresentativa delle singole istanze, dei singoli propositi e dei desideri delle diverse comunità.
Il mio augurio per il nuovo anno, è avviare una vera discussione sui valori morali e su cosa essi siano, perché considerare “valori” tutte quelle regole, quei principi e quelle linee di condotta che permettono alle persone di costruire la loro esistenza, di stabilire le proprie priorità e di compiere delle scelte e il primo passo per una civile convivenza non fatta di rabbia e di paura, ma con carattere prospettico e propulsivo.
Sin da quando esiste la civiltà ci si è resi conto che la nostra vita non può essere considerata un mero insieme di bisogni biologici.
E poiché è dalla famiglia che vengono le informazioni più importanti e dalla scuola che possiamo imparare a scindere ciò che è buono da ciò che è cattivo ed è dalla società che veniamo contaminati da idee, ideologie e modelli di vita e, ancora, è dall’appartenenza a confessioni religiose che nascono convinzioni e obblighi morali e su questi cardini che incentrato ogni riflessione ed ogni accorto cambiamento.
John Rawls, nel saggio “Liberalismo politico”, pubblicato nel 1993, ci dice che il dilemma del pluralismo è superato solo grazie al principio di tolleranza e riesce solo se viene guadagnato uno stabile consenso per intersezione su un grappolo di valori fondamentali. Persone che abbiano concezioni morali comprensive divergenti devono poter trovare, entro le proprie prospettive di valore, le ragioni convergenti dell’adesione a una idea politica di società giusta. Ciò che dobbiamo politicamente condividere è un sottoinsieme di valori, così la stabilità della lealtà civile diverrà davvero coerente con il pluralismo e potrà cambiare l’idea di singoli, in idea di collettività.
Auguro per me stesso e per gli altri un 2013 in cui i valori non siano strumenti non individuali, ma collettivi e in cui il relativismo, come dice Claudio Magris, non sia più parola malleabile e adattabile a piacere come un chewing gum, ma sinonimo di libertà, tolleranza, civiltà; un distintivo che ogni benpensante deve portare all’occhiello, come non negazione della verità e men che meno del suo significato, ma della necessità costante e dinamica, mediata fra opposti, quindi dialettica, di una sua costante ricerca.
E non mi si dica che la mia è una visione vetero-comunista, sia perché comunista non sono mai stato, sia perché il comunismo è ormai un concetto che solo qualche imbroglione tenta di estrarre dal ripostiglio del passato e agita come uno spauracchio per i bambini: un fantasma che salta fuori dal tunnel dell’orrore dei luna park che certi imbonitori politici costruiscono per ipnotizzare la comunità.
Tito Perlini, figura di rilievo della sinistra minoritaria e critica italiana, che cito come primo ho fatto per pensatori decisamente conservatori e di destra, una delle teste pensanti della nostra cultura che hanno capito più a fondo le trasformazioni epocali degli ultimi decenni; afferma che ogni pensiero, religioso o no, che pretenda di essersi impossessato della verità come ci si impossessa di un oggetto o della formula di un esperimento è una retorica menzognera che facilmente degenera in dogmatismo persecutorio, come l’Inquisizione e tutti i fondamentalismi d’ogni genere.
Ma ogni filosofia che rinuncia a essere ricerca della verità e del significato della vita si riduce a un mero protocollo di un bilancio societario, magari – in nome del rifiuto della verità – truffaldinamente falsificato.
E siccome la filosofia è alla base di ogni vera trasformazione del pensiero, singolo e collettivo, mi auguro che la crescente mescolanza di culture, costumi, religioni e civiltà, con i loro valori diversi, ci inducano (ed inducano i nostri politici) a fare il massimo sforzo per mettere in discussione noi stessi e i nostri valori, pronti ad abbandonarli se altri si rivelano più credibili; pronti a considerare relativo ciò che eravamo abituati a considerare e a sentire come immutabile, pronti ad immaginare società basate su valori che non siano solo economici, ma possano recuperare la dimensione umana delle cose.
Carlo Di Stanislao
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