“Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore, uniche coloro che le usano entrambe”(Rita Levi Montalcini). L’Italia si inchina alla persona ed al genio della professoressa Rita Levi Montalcini, la più grande scienziata italiana del Novecento (classe 1909), l’unica donna ad aver vinto un Premio Nobel per la Medicina per una scoperta scientifica straordinaria (Ngf), la prima donna nella Pontificia Accademia delle Scienze in Vaticano, la donna ebrea italiana della scienza al servizio dell’umanità. Più grande di Leonardo da Vinci e Galileo Galilei, la Montalcini ci ha lasciato, all’età di 103 anni, un’eredità e un testamento di capitale importanza: la Scienza e il suo sistema di valori praticati da ogni scienziato che si rispetti. L’Italia, l’Europa e il Mondo le saranno eternamente grati. Scoprì la proteina del fattore di crescita nervoso (Ngf) e per tutta la vita si spese a favore della libertà della ricerca nelle neuroscienze al servizio dell’umanità intera. La scoperta di Ngf e degli altri fattori di crescita hanno ispirato film di fantascienza come “L’Alba del Pianeta delle Scimmie”(Rise of the Planet of the Apes, Usa 2011) di Rupert Wyatt e molti episodi della fortunata serie televisiva e cinematografica di Star Trek. Centoventicinque miliardi, o forse più, sono le galassie nell’Universo visibile. Ed altrettante sono le cellule nervose che albergano nei nostri cervelli. Ma tra l’Universo cosmico e quello celebrale, a cui si riferisce il titolo di un libro della Montalcini (La Galassia Mente) non esiste solo una coincidenza di numeri. Il concetto di infinito è nel caso dell’Universo riferito allo spazio interstellare pieno di “vuoti” e di “energia”, in quello celebrale all’elaborazione sconfinata del pensiero. Questa incredibile facoltà “divina”, nel corso dei millenni, ha spinto l’umanità a salire, uno per uno, i gradini più alti dello sviluppo culturale. Oggi gli offre la possibilità di indagare i più intimi segreti della mente. Ma da dove nasce il pensiero? Da quali cellule e quali circuiti? Rita Levi Montalcini, famosa per i suoi studi pioneristici fondamentali nello sviluppo della neurobiologia, ha edificato un Himalaya intellettuale di insuperata grandezza, mettendo ordine al caos, ricostruendo tappa dopo tappa l’evoluzione del sistema nervoso per capire come, dalle prime cellule comparse sulla Terra, si sia arrivati a quella formidabile struttura che è il cervello dell’Homo Sapiens Sapiens. I suoi studi sono un meraviglioso monumento, al tempo stesso un viaggio affascinante alla scoperta dei segreti della mente umana, all’intelligenza che nel tempo si avvicina a quella di Dio, passando attraverso le ere geologiche e le epoche della storia dove si incontrano ominidi e celenterati, scimmie e batteri, alghe unicellulari e polipi scaltri: attori diversi, ma ugualmente importanti di un’unica, spettacolare produzione teatrale in 4D il cui gran finale (l’Uomo) è ancora tutto da scoprire.
“Tutti dicono che il cervello sia l’organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire – dichiara la Montalcini, profonda conoscitrice delle neuroscienze, in un’intervista in occasione del suo centesimo compleanno – ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore, ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi. Nei ragionamenti del cervello c’è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni”. Profondo è il cordoglio nel mondo ebraico per la sua scomparsa. Senatore a vita dal 2001, la signora della scienza si è spenta serenamente ma il suo spirito vivrà per sempre insieme alla sua magnifica eredità intellettuale. “Il corpo faccia quello che vuole – fa notare la Montalcini – io non sono il corpo: io sono la mente”. Nel pomeriggio del 1° Gennaio 2013, in forma privata, l’ultimo commosso saluto della Comunità ebraica di Torino a Rita Levi Montalcini. È il giorno dell’ultimo saluto. Dopo la sobria cerimonia privata del 31 Dicembre 2012, i funerali aperti al pubblico con la partecipazione di centinaia di persone a Torino, la città che le diede i natali nel 1909 e le ha reso l’ultimo omaggio. La salma, in una semplice bara in rovere chiaro coperta da un cuscino di rose rosse con ai piedi un mazzo di crochi violetti inviati dal Sinodo di Firenze, è stata trasferita da Roma al cimitero monumentale del capoluogo piemontese.
Nella “Sala commiato” dell’ottocentesco Tempio Crematorio (la scienziata premio Nobel viene cremata) le ceneri vengono racchiuse in un’urna per poi trovare posto nella tomba di famiglia. Alla cerimonia privata hanno partecipato Piera Levi Montalcini, la nipote, i familiari più stretti e gli esponenti della comunità ebraica cittadina. A cominciare dal presidente, Beppe Segre. Il vice rabbino capo Avraam De Wolf ha letto i Salmi di Re Davide e, come vuole la tradizione, ha pronunciato una breve orazione in memoria della scienziata, mettendone in risalto le qualità e sottolineando la gravità della perdita per l’Italia e il mondo. Il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, ha dichiarato che “tra le tante personalità illustri che hanno fatto grande questo paese la figura di Rita Levi Montalcini spicca non solo per gli innumerevoli successi ottenuti in campo scientifico tra i quali, il più prestigioso, il premio Nobel per la Medicina conferitole nel 1986, ma anche per la vicenda umana che l’ha vista protagonista. Perseguitata dalla legislazione antiebraica del regime fascista, Levi Montalcini – anche nei giorni drammatici della persecuzione – non ha mai rinunciato a portare avanti le sue ricerche e i suoi esperimenti.
Ci lascia in eredità un insegnamento prezioso: la centralità dello studio e dell’istruzione come fondamentale motore della crescita di ciascun individuo, il coraggio e la portata rivoluzionaria delle idee, la tenacia nel portarle avanti nel tempo con immutata determinazione. La sua lunga vita, interamente consacrata alla scienza e al bene comune, ci racconta di una persona dal cuore grande e dalla straordinaria longevità fisica e intellettuale. Di una donna, orgogliosamente italiana e orgogliosamente ebrea, che alla ricerca scientifica affiancava – con medesima passione – l’impegno per la cultura, la democrazia, i diritti civili. Significativa e lungimirante appare, tra le altre, l’iniziativa intrapresa per dare un futuro migliore alle donne del continente africano. Iniziativa che le aveva permesso di conquistare la loro amicizia e la loro ammirazione. Amava i giovani e i giovani amavano lei. È stata e continuerà ad essere un punto di riferimento per quanti, ogni giorno, si battono per costruire società sempre più libere e consapevoli. Che il suo ricordo sia di benedizione”. Le cerimonie pubbliche in sua memoria, tuttavia, sono appena cominciate: molte scuole, università e progetti porteranno il nome di Rita Levi Montalcini. “Il funerale – spiega Piera Levi Montalcini, consigliere comunale a Torino nel gruppo di maggioranza dei Moderati – è un momento di saluto e noi abbiamo voluto permettere a chiunque lo desideri di salutare la zia. In tanti le hanno voluto bene. È importante che venga ricordata e che vengano ricordati i suoi insegnamenti. Ma sarebbe bene anche cercare di applicare i suoi insegnamenti. Noi, in futuro, ci impegneremo per favorire tutto questo”. La cremazione non è contemplata dalle tradizioni ebraiche “ma questa – spiegano alla Comunità – è stata la precisa volontà dei Levi Montalcini e noi la rispettiamo”. Di famiglia ebrea sefardita, la scienziata non era osservante. Si professava agnostica e il suo “credo” era la scienza.
“Nei momenti di cordoglio noi lodiamo il giudice della verità, l’unico Dio, che dona lo spirito della vita al genere umano e che in seguito lo trae per porlo altrove – dichiara il vice rabbino capo Avraham De Wolff nell’orazione – negli anni in cui questo spirito di vita è qui, in noi, ringraziamo Dio e godiamo della possibilità di impiegare i suoi doni per migliorare questo mondo. Tramite la bontà, per mezzo della scienza e della produzione. Per le migliorie che apportiamo i nostri simili ci sono grati. Questa gratitudine, e la soave memoria che ne consegue, sono una santificazione del nome del vero Dio. Ringraziamo la famiglia di Rita per essere qui con noi, a Torino, a concedere alla Comunità ebraica della sua città natale di porle commiato recitando i Salmi di Re Davide. Ringraziamo Rita per aver santificato il nome di Dio nei suoi anni trascorsi con noi. Possa il suo nome essere annoverato tra coloro che appartengono alla Vita”.Nella tradizione ebraica vi è una cura particolare nel disegnare e coltivare l’esempio della “donna di valore”. Rita Levi Montalcini ne incarna certamente gli aspetti più spirituali e intellettuali uniti a dolcezza di temperamento. Ed essi resteranno per sempre nel ricordo con l’ammirazione per le sue conquiste scientifiche, la costanza, l’altruismo insieme al profondissimo rimpianto per la sua scomparsa. Nata a Torino il 22 Aprile del 1909, nel 1936 si laureò in medicina contro la volontà del padre. Nel 1938 la pubblicazione delle famigerate leggi razziali fasciste la costrinse a lasciare l’Italia insieme a tanti altri intellettuali che avrebbero fatto grande l’Italia in altri scenari storici. Si rifugiò a Bruxelles, dove continuò gli studi fino al 1940, quando il paese venne invaso dalle truppe naziste. Rientrata a Torino Rita Levi Montalcini non poté più frequentare l’Università in quanto ebrea e così allestì un piccolo laboratorio casalingo dove proseguì le proprie ricerche sul ruolo dei fattori genetici ed ambientali nella differenziazione dei centri nervosi. Fu proprio in questo laboratorio sui generis che Rita Levi scoprì l’apoptosi: il meccanismo che porta alla morte delle cellule nervose nella fase iniziale del loro sviluppo. Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale la scienziata ebrea italiana visse nascosta per paura dei rastrellamenti, prima nell’astigiano e poi in Toscana, portando avanti le proprie ricerche in laboratori di fortuna improvvisati grazie alla collaborazione di colleghi e amici. Nel 1947 si trasferì alla Washington University di St.Louis dove nel 1954 scoprì l’Ngf, la proteina del fattore di crescita nervoso, che nel 1986 le valse il Nobel per la medicina e la fisiologia. Nella motivazione del premio, condiviso con il suo studente Stanley Cohen, si legge:“La scoperta dell’NGF all’inizio degli anni Cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo”.
Il ruolo dell’Ngf nella vita delle cellule nervose è fondamentale. L’Ngf è una proteina che regola la crescita dei neuroni lungo i quali si trasmette l’impulso nervoso. Questa trasmissione del segnale elettrico avviene grazie ad alcuni ioni che stimolano il rilascio di un neurotrasmettitore.
La sua scoperta fu di capitale importanza perché per la prima volta, grazie alla Montalcini, chiarì i meccanismi di accrescimento delle cellule e degli organi ed ebbe un ruolo determinante nella comprensione dei meccanismi di evoluzione del cancro e delle malattie neurologiche come l’Alzheimer e il Parkinson. Non solo. I farmaci del presente e del futuro nella Medicina Rigenerativa, sarebbero praticamente inconcepibili senza la scoperta del fattore Ngf.
Una volta in pensione, la Montalcini rientrò in Italia nel 1977 e collaborò con il Centro Nazionale delle Ricerche (Cnr) in numerosi progetti e studi. Nel 2001 Rita Levi Montalcini venne nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. “La vita non finisce con la morte. Quello che resta di te – dichiara la scienziata – è quello che trasmetti ad altre persone. L’immortalità non è il tuo corpo, che un giorno morirà. Non mi importa di morire. La cosa importante è il messaggio che lasci agli altri. Questa è l’immortalità”. Un pensiero illuminante se a proferirlo è l’unica donna italiana ad aver ricevuto il Premio Nobel per una scoperta scientifica di straordinaria importanza per la vita umana. Il suo messaggio ai giovani è forte e chiaro. L’invito alla coerenza, alla costanza ed al rispetto dell’etica nel mondo della ricerca, la necessità di aiutare le donne meno fortunate a realizzare le proprie aspirazioni, l’orgoglio di essere italiani e l’affermazione fiera della propria libertà sono un esempio per chiunque si occupi di scienza, di ricerca, di verità. Scientific American ha scelto di ripubblicare online un suo articolo del 1993. In quanto femminista in una famiglia dai costumi vittoriani e in quanto ebrea e libera pensatrice nell’Italia di Mussolini, Rita Levi Montalcini ha dovuto affrontare nel corso della sua vita diverse forme di oppressione. Eppure la neurobiologa, la cui tenacia e precisione traspaiono immediatamente dai suoi occhi azzurri e dalla tenuta elegante bianca e nera, accoglie le forze che l’hanno formata:“Se non avessi subito discriminazioni e non avessi sofferto le persecuzioni, non avrei mai ricevuto il Premio Nobel”. Riguardo la sua infanzia la scienziata racconta:“Nacqui in una società molto patriarcale e sentivo già da molto piccola che le donne erano così poco considerate che ogni decisione veniva presa dagli uomini”. Quando la sua governante, cui era molto affezionata, morì di cancro, decise di diventare medico. Doveva però risolvere un piccolo problema: ottenere il permesso da suo padre e recuperare il tempo perso al liceo femminile, che dopo il diploma prevedeva il matrimonio, non l’Università. “Mi infastidiva così tanto che decisi che non avrei mai fatto come mia madre. Non avrei mai combinato nulla se mi fossi sposata”. Nature, la prestigiosa rivista scientifica britannica, scrive del Nobel italiano:“Piccola e minuta, ma con una personalità straordinaria, Rita Levi Montalcini è sopravvissuta all’Italia fascista, quando agli ebrei era vietato lavorare nelle università, trasformando la sua camera da letto in un laboratorio di fortuna per poter continuare i suoi studi sul sistema nervoso. Terribilmente ossessionata dall’argomento, scoprì la molecola del fattore di crescita nervoso (Ngf) che le valse il Nobel per la medicina nel 1986”. L’Italia dei politicanti, la cultura umanistica e gli scienziati non sono mai andati d’amore e d’accordo.
Nature scrive:“In Parlamento fece scintille bloccando una legge che avrebbe potuto ostacolare la ricerca scientifica. Creò anche una fondazione per incoraggiare l’educazione scientifica per le donne in Africa e un istituto di ricerca a Roma chiamato European Brain Research Institute”. L’Huffington Post si sofferma sulla sua vita in Italia:“La sua famiglia decise di rimanere in Italia e mentre la Seconda Guerra Mondiale si avvicinava, Rita Levi Montalcini improvvisò un laboratorio nella sua camera da letto dove cominciò a studiare lo sviluppo degli embrioni di gallina, cosa che l’avrebbe portata a scoprire i meccanismi che regolano la crescita di cellule e organi. Ma le uova diventavano merce sempre più rara e la giovane scienziata girava in bici per la campagna per comprarle dai contadini. Nella sua ricerca segreta si unì presto Levi, il suo mentore all’Università, anche lui ebreo, che diventò suo assistente”. Il suo genio non la mollerà mai. “Lavorava con strumenti spartani – racconta di lei l’astrofisica Margherita Hack, donna altrettanto eccezionale in un paese oggi pericolosamente alla deriva come l’Italia – è una persona ammirevole”.
Il New York Times si sofferma sul contributo scientifico che la Montalcini ha dato durante gli anni di ricerca negli Stati Uniti:“Nei primi anni ‘50 Rita Levi Montalcini e il dott. Stanley Cohen, biochimico all’Università di Washington, isolarono e descrissero il Nerve Growth Factor. Gli scienziati capirono che questa proteina avrebbe potuto dare loro un modo di studiare e comprendere malattie della crescita o della degenerazione neurale, come il cancro o l’Alzheimer, e di sviluppare eventuali terapie. Anni dopo la scoperta, la dottoressa Levi Montalcini, il professor Cohen ed altri descrissero un’ampia famiglia di agenti promotori della crescita, ognuno dei quali lavorava per regolare la crescita di cellule specifiche. Uno di questi, chiamato fattore di crescita dell’epidermide, scoperto dal dottor Cohen, gioca un ruolo centrale nel cancro al seno e studiando il suo comportamento gli scienziati hanno sviluppato medicinali per combattere la sua crescita anormale”. Il Washington Post descrive il trasferimento della Montalcini dall’Italia agli Stati Uniti:“Quando i bombardamenti di Torino divennero violenti, lei e la sua famiglia trovarono rifugio fuori dalla città, poi a Firenze, sotto false identità. Alla fine della guerra la dottoressa Levi Montalcini si occupò delle cure mediche dei rifugiati. Nel 1947 ricevette un invito da Viktor Hamburger, un embriologo di origini tedesche che le chiese di raggiungerlo all’Università di Washington offrendole una borsa di studio. Qui diventò professore di ruolo e rimase per trent’anni, ottenendo la cittadinanza americana”, senza rinunciare a quella italiana. Il Premier Mario Monti la descrive come “una persona carismatica e tenace che si batteva per difendere ciò in cui credeva”. Un esempio per l’Italia e il mondo intero, una persona umile senza le tronfie arie che spesso caratterizzano gli accademici italiani. Il quotidiano francese Le Figaro ricostruisce la sua vita dalla nascita, al periodo fascista, alla carriera tra Stati Uniti e Italia. I francesi dell’Express riassumono il percorso della scienziata, ricordando gli ultimi anni della sua vita:“Nell’agosto 2001 il Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi l’aveva nominata senatrice a vita per i grandi meriti nel campo scientifico e sociale. Era inoltre presidente di una fondazione a lei intitolata, creata nel 1992 e destinata a finanziare gli studi delle donne africane in Etiopia, Congo e Somalia”. Il Sunday Times la ricorda con il soprannome diffuso in Italia:“La signora delle cellule”. Il Guardian, ripercorrendone i tratti salienti della vita, scrive:“Non aveva figli e non si è mai sposata, temendo che tali legami potessero limitare la sua indipendenza:”Non ho mai avuto esitazioni o rimpianti a questo riguardo, la mia vita è stata arricchita da relazioni umane straordinarie, lavoro e interessi. Non mi sono mai sentita sola””. Il Guardian ricorda, tra le altre cose, un suo episodio di qualche anno fa:“Ottenne grande rispetto in Italia come simbolo del progresso scientifico, di integrità e coscienza sociale. Il Paese rimase scioccato quando, nel 1994, l’ex ministro della salute Duilio Poggiolini, insinuò che il Nobel alla Montalcini le fosse stato comprato dalla compagnia farmaceutica italiana Fidia. La scienziata rispose con distacco e sdegno:”Il processo di assegnazione dei Nobel è così complesso da non poter essere corrotto””. La BBC News del Regno Unito così la ricorda:“La sua ricerca è conosciuta per aver contribuito allo sviluppo della comprensione di tumori, malformazioni e demenza senile”. L’Irish Independent parla di “una perdita per l’Umanità”. Sulla Pravda i Russi ricordano la vita di Rita Levi Montalcini: la nascita nel 1909, il periodo mussoliniano, il trasferimento negli Stati Uniti e il ritorno in patria. L’articolo si conclude con una citazione della scienziata:”Ora che ho 100 anni, il mio cervello funziona meglio di quando ne avevo 20″. El Mundo (Spagna) la descrive come una donna “laica e femminista a oltranza. Nell’istituto di ricerca che fondò nel 2001, l’European Brain Research Institute, lavorano soltanto donne. Ha sempre sostenuto:”L’umanità è fatta di tanti uomini quante donne, perciò deve essere rappresentata da entrambi i sessi””. El Pais (Spagna) ricorda Rita Levi Montalcini come “neurologa impegnata e perseverante”. Anche dall’altro capo del mondo, in Australia, ricordano la scienziata, enfatizzando il suo impegno sociale. Il “The Sidney Morning Herald” parla del “premio Nobel che sfidò il fascismo italiano”: di sé diceva, nel giorno del suo 100esimo compleanno:«Sono stata, in tutto, una donna fortunata. Non ho rimpianti». Più che una scienziata, amava definirsi un’artista. Alla scienza ed alla ricerca ha dedicato l’intera esistenza. In un’epoca in cui alle donne veniva chiesto prima di tutto di diventare mogli e madri, la Montalcini aveva coraggiosamente affermato (come la filosofa Ipazia nel V Secolo dopo Cristo in Alessandria d’Egitto) con forza la propria libertà, ottenendo dal padre di iscriversi alla Facoltà di Medicina all’Università di Torino e rinunciando a formare una famiglia in nome della scienza:«Quando avevo tre anni decisi che non mi sarei mai sposata» raccontava in una famosa intervista nel 2008. Ogni suo intervento o contatto con la stampa contiene una frase su cui meditare molto attentamente. Celebre quella che suggellava la serena accettazione della vecchiaia e del decadimento fisico nei giorni in cui spegneva le sue 100 candeline:“Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”. Parlando della plasticità neuronale, la capacità del sistema nervoso di modificare la sua funzionalità in risposta agli eventi che lo interessano, Rita Levi Montalcini afferma:“Il cervello non ha rughe: se continua a lavorare sodo, si rinnova continuamente, anche dopo gli 80 anni e, a differenza di altri organi, può perfino migliorare”. Così fino all’ultimo giorno della sua vita terrena, nonostante la patologia che l’aveva resa quasi cieca, la Montalcini non ha mai smesso di lavorare, continuando a curare i lavori alla Fondazione EBRI (European Brain Research Institute). “Nel momento in cui smetti di lavorare, sei morto” – sostiene la Montalcini, invitando chi già fosse in pensione a coltivare una seconda passione per tenere la mente allenata. Nel tempo libero, si teneva occupata con Bach e Schubert. “Quand’ero ragazza li ascoltavo alle cinque del mattino: i miei vicini mi dicevano: almeno appendi alla porta il programma del giorno. Oggi? Oggi mi manca il tempo”.Quando qualcuno le chiedeva il segreto del suo ingegno la scienziata rispondeva con semplicità, come nel 2008, durante il conferimento della laurea honoris causa all’Università di Milano-Bicocca:“La mia intelligenza? Più che mediocre. I miei unici meriti sono stati impegno e ottimismo. L’assenza di complessi psicologici, la tenacia nel seguire la strada che ritenevo giusta, l’abitudine a sottovalutare gli ostacoli – un tratto che ho ereditato da mio padre – mi hanno aiutato enormemente ad affrontare le difficoltà della vita. Ai miei genitori devo anche la tendenza a guardare gli altri con simpatia e senza diffidenza”. Proprio l’ottimismo era il dono che si sentiva di fare alle giovani generazioni:“Bisogna dire ai giovani quanto sono stati fortunati a nascere in questo splendido Paese che è l’Italia”. Ai giovani ricercatori la Montalcini consiglia un’esperienza all’estero per poi rientrare in Italia e contribuire, con il proprio lavoro, all’innovazione del Paese. Per questo era incessante il suo appello alle istituzioni:“Non cancellate il futuro di tanti giovani ricercatori che coltivano la speranza di lavorare in Italia”. La sua vita è degna di un kolossal hollywoodiano. Rita Levi Montalcini è stata la più grande scienziata italiana a sfidare il suo tempo. Unica italiana insignita di un premio Nobel scientifico per la Medicina e la Fisiologia, è stata anche la prima donna (ebrea) ad essere ammessa all’Accademia Pontificia delle Scienze in Vaticano. Dal 1° Agosto 2001 era senatrice a vita della Repubblica italiana. Il padre Adamo Levi era un ingegnere. La madre Adele Montalcini era una pittrice, e con la gemella Paola (deceduta nel 2000) si divise i “tesori” genetici dei genitori: a Rita andò l’amore per la scienza del padre, a Paola le qualità di artista della madre. Contrariamente ai voleri del padre, proseguì negli studi e si iscrisse a Medicina all’Università di Torino, dove si laureò nel 1936 con 110 e lode. Negli anni Trenta l’Università del capoluogo piemontese era una culla di talenti straordinari: uno dei suoi maestri fu Giuseppe Levi, padre della scrittrice Natalia Ginzburg, e tra i suoi compagni di studi figurano altri due futuri premi Nobel, Salvador Luria e Renato Dulbecco. A causa delle spietate leggi razziali di Mussolini, si rifugiò a Bruxelles. Ritornò a Torino poco prima dell’invasione nazista del Belgio. Non potendo più frequentare l’Università in quanto ebrea, riuscì ad allestire un piccolo laboratorio di ricerca nella sua camera da letto. Dopo i bombardamenti alleati si rifugiò in campagna, ma in seguito all’8 Settembre 1943, per evitare i rastrellamenti, andò a Firenze dove visse in clandestinità, nascondendosi per non essere arrestata e deportata in Germania. Dopo la Liberazione, nel 1947 le venne offerta una cattedra alla Washington University di St.Louis dove, all’inizio degli anni Cinquanta, fece la sua scoperta più importante: la proteina del fattore di crescita del sistema nervoso (Ngf), studio che trent’anni dopo le valse il Nobel, una ricerca fondamentale per la comprensione dei tumori e con ricadute importantissime nella Medicina Rigenerativa. Una volta in pensione, nel 1977 ritornò in Italia, con la quale non aveva mai interrotto i rapporti: negli anni Sessanta e Settanta del XX Secolo collaborò in numerose occasioni con il Cnr e conservò la cittadinanza italiana. Nel 1987 ricevette dal presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, la Medal of Science, il più alto riconoscimento scientifico americano. Sebbene dichiaratamente atea, la Montalcini donò una parte del premio in denaro del Nobel per la costruzione di una sinagoga a Roma. Innumerevoli i suoi riconoscimenti nazionali e internazionali ai quali vanno sommate oltre venti lauree honoris causa. Membro delle più prestigiose accademie scientifiche mondiali, tra le quali la Royal Society britannica e la National Academy of Sciences americana. La sua autobiografia “Elogio dell’imperfezione” pubblicata nel 1987 ed ampliata nel libro “Cantico di una vita”(2000), contiene alcune delle numerose lettere che la Montalcini scambiò negli anni con la sua famiglia e in particolare con l’amata gemella Paola. Ma continuò la sua opera instancabile a favore della ricerca, per le pari opportunità e per la diffusione della cultura scientifica in Italia intesa come base per costruire una società migliore. “La rivelazione di quel giorno lasciò una traccia incancellabile nella mia memoria e segnò non soltanto la fine di un lungo periodo di perplessità sul significato delle ricerche che perseguivo da tanti anni, ma sigillò un patto di alleanza a vita tra me e il sistema nervoso”. In queste parole di Rita Levi-Montalcini, tratte dal suo libro “Elogio dell’imperfezione”, è contenuto il significato della parola “ricerca” del futuro premio Nobel e di una vita intera spesa in nome della scienza, tralasciando volutamente la possibilità di costruirsi una famiglia per non essere neanche per un istante distolta da quella che considerava non semplice sperimentazione, ma una vera e propria missione-vocazione a favore dell’umanità sofferente e per spingere un passo più avanti le conoscenze umane. “Non le fibre nervose, ma le idee germogliavano nel mio cervello, e in modo così tumultuoso da non lasciarmi il tempo di seguire altri pensieri” – sottolinea nel suo libro la Montalcini. Il fattore di crescita nervoso (Ngf) è una proteina che regola la crescita degli assoni, cioè la struttura dei neuroni, le cellule nervose, lungo le quali viene trasmesso l’impulso elettrico nervoso. “L’intera storia dell’Ngf è paragonabile alla scoperta di un continente sommerso rivelato dalla sua sommità emergente” – rivela la scienziata nel suo libro. La scoperta dell’Ngf segna infatti l’inizio di una serie di studi per la cura di malattie degenerative come l’Alzheimer e la Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), e permette di individuare altri fattori di crescita che influenzano lo sviluppo di cellule tumorali. L’Ngf svolge anche un ruolo nelle malattie cardiovascolari, nell’aterosclerosi coronarica, nell’obesità e nel diabete di tipo 2. La scienziata Montalcini, pur non essendo mai stata una femminista come da lei stessa ammesso (“Credo nelle donne, ma non credo nei movimenti femministi”) si è sempre battuta per la parità tra i generi in tutti i campi. Quando iniziò le sue ricerche negli anni Trenta, sfidò apertamente il fascismo di Mussolini e la retrograda ideologia che riteneva “innaturali” le donne scienziato! All’epoca, peraltro, rarissime in Italia. Ma “una volta inserita nel mondo accademico, non ho mai avuto problemi con i colleghi maschi”. E per raggiungere la parità, la Montalcini ha sempre ritenuto che la cultura e l’accesso agli studi ne costituiscono i pilastri su cui costruire tutto il futuro. Una delle battaglie della Fondazione Rita Levi Montalcini è proprio a favore della diffusione della cultura tra le donne africane:“Si tratta di una goccia nel mare, al confronto delle altre grandi sofferenze del continente africano, ma sono convinta che aiutando le donne nel raggiungimento di questo diritto, si possa guardare alla libertà di crescita e di sviluppo degli individui della propria società di appartenenza e di quella globale” amava annunciare con il suo sorriso lieve e lo sguardo intenso una delle donne che, per rigore d’impegno civile e di dedizione alla ricerca ed allo studio, hanno reso grande il nostro Paese. Dal 1961 al 1969 dirige il Centro di ricerche di Neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma in collaborazione con l’Istituto di Biologia della Washington University, e dal 1969 al 1979 il laboratorio di Biologia cellulare. Dopo essersi ritirata da questo incarico “per raggiunti limiti d’eta” continua le sue ricerche come scienziato e “guest professor” dal 1979 al 1989, e dal 1989 al 1995 lavora presso l’Istituto di neurobiologia del Cnr con la qualifica di superesperto. Le sue indagini si concentrano sullo spettro di azione del Ngf, utilizzando tecniche sempre più sofisticate. Studi recenti hanno infatti dimostrato che esso ha un’attività ben più ampia di quanto si pensasse: l’Ngf non si limita ai neuroni sensori e simpatici, ma si estende anche alle cellule del sistema nervoso centrale, del sistema immunitario ematopoietico ed alle cellule coinvolte nelle funzioni neuroendocrine. Il segreto della lucidità, della giovinezza e della vitalità si cela proprio nel Ngf. Dal 1993 al 1998 presiede l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. È membro delle più prestigiose accademie scientifiche internazionali, quali l’Accademia Nazionale dei Lincei, l’Accademia Pontificia, l’Accademia nazionale delle scienze detta dei “XL”, la National Academy of Sciences statunitense e la Royal Society. Riceve numerosi altri riconoscimenti: tre lauree ad honorem dalle Università di Uppsala (Svezia), Weizmann-Rehovot (Israele) e St. Mary (Usa). Vince il Premio internazionale Saint-Vincent, il Feltrinelli e il premio “Albert Lasker” per la ricerca medica. È stata sempre molto attiva in campagne di interesse sociale, anche contro le mine anti-uomo, e per la responsabilità degli scienziati nei confronti della società. Ha istituito, insieme alla sorella gemella Paola, la Fondazione Levi Montalcini, in memoria del padre, rivolta alla formazione e all’educazione dei giovani, nonché al conferimento di borse di studio a giovani studentesse africane a livello universitario, con l’obiettivo di creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo di leadership nella vita scientifica e sociale del loro paese. Sempre a favore dei giovani scienziati, nel marzo 2012 rivolge un appello al Governo Monti “affinché non cancelli il futuro di tanti giovani ricercatori, che coltivano la speranza di poter fare ricerca in Italia. Il decreto legge sulle semplificazioni cancella i principi di trasparenza e merito alla base delle norme che dal 2006 hanno consentito di finanziare i progetti di ricerca dei giovani scienziati under 40 attraverso il meccanismo della peer review, la valutazione tra pari” – evidenzia la scienziata. Rita Levi Montalcini è stata particolarmente sensibile nei confronti dei temi della difesa della Biosfera Terra, dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. Nel 1998 fonda la sezione italiana di Green Cross International, organizzazione non governativa riconosciuta dalle Nazioni Unite e presieduta da Mikhail Gorbaciov, di cui è consigliere. Significativo è l’impegno della scienziata italiana nella prevenzione delle conseguenze ambientali e sociali delle guerre e dei conflitti legati allo sfruttamento delle risorse naturali, con particolare riferimento alla protezione ed all’accesso alle risorse idriche. Fragile e sottile, con il suo corpo esile e gli occhi mare limpido, la Montalcini è riuscita a convincere un mondo scientifico assai scettico dell’importanza di quel “Nerve Growth Factor” da lei osservato nell’oculare di un microscopio. In un articolo su Science nel 2000, Rita Levi Montalcini descrive il suo carattere con poche splendide pennellate. Quando il regime fascista la espulse dall’ateneo torinese, lei nel 1939 si costruì un laboratorio nella sua casa di corso Re Umberto. Nell’autunno 1947 dall’Università di Washington a Saint Louis il professor Viktor Hamburger la invitò a trascorrere un semestre negli Usa. I risultati sempre più interessanti le impedirono di tornare in Italia alla fine del semestre ed anche negli oltre vent’anni successivi. E fu proprio nel laboratorio di Saint Louis che Rita Levi Montalcini scoprì quel potente “elisir” di crescita e lunga vita che è l’Ngf. “Bastava iniettarne una quantità infinitesima in una provetta con dentro alcune cellule nervose ed attendere un giorno. Dalle cellule, in sole 24 ore, iniziava a svilupparsi un alone talmente ricco di filamenti da renderle simile a un Sole pieno di raggi”. Il fattore di crescita delle cellule nervose era solo il primo di tanti ingredienti che gli organismi viventi usano per trasmettere informazioni al loro interno. Altre centinaia di molecole simili sarebbero state scoperte in seguito. Ma in quel laboratorio di Saint Louis negli anni ’50 si iniziò a capire come mai un essere vivente nasca da una singola cellula ma riesca a diventare col tempo un’architettura composta da decine di tessuti diversi. “Sono i fattori di crescita a indicare la strada a ciascun segmento di un organismo”. Bastano poche molecole di Ngf in una zona del corpo per farvi crescere le cellule del sistema nervoso necessarie al suo perfetto funzionamento.
Rita Levi Montalcini è stata una delle 10 donne (contro 189 uomini) a ricevere il premio scientifico più prestigioso. Ma forse l’unica ad accompagnare i suoi articoli scientifici con illustrazioni tanto eleganti quanti i magnifici vestiti che amava disegnare per sé stessa. Sull’origine della sua capacità di osservazione, Rita Levi Montalcini ha sempre sostenuto che parte del suo successo lo deve al maestro Giuseppe Levi, il professore di istologia di Torino le cui lezioni formarono altri due Nobel per la medicina: Salvador Luria e Renato Dulbecco, anche lui scomparso recentemente. Era lui uno degli amici più cari della scienziata che di complessi non soffriva: non si è mai lamentata degli occhi che non vedevano quasi più e delle protesi acustiche che la mantenevano in contatto con gli altri. Il fattore di crescita nervoso indirizza e regola la crescita degli assoni, tramite meccanismi di segnalazione cellulare: è prodotto nei momenti rigenerativi. È un meraviglioso tuttofare. La molecola Ngf è una proteina che entra in gioco anche nel controllare fenomeni finora sfuggiti a ogni formula biochimica, come l’innamoramento. È una molecola vitale che Rita Levi Montalcini ha sempre considerato importante tanto nello sviluppo dell’individuo quanto in quello della specie umana. Quando l’Ngf venne scoperto l’11 Giugno 1951, come ricorda Rita Levi Montalcini, la sua importanza sembrava legata unicamente al sistema nervoso. Oggi le applicazioni più promettenti sono quelle legate ad una possibile terapia dell’Alzheimer: promettenti sono i primi test condotti negli Stati Uniti dove l’Ngf è stato “confezionato” in un retrovirus innocuo iniettato nel cervello per stimolare la formazione dei neuroni nelle aree lesionate. In Italia la molecola è sperimentata sotto forma di collirio per curare le ulcere della cornea. Sperimentare l’Ngf contro la sclerosi multipla, è fondamentale. Molte delle ricerche che stanno lentamente avvicinando l’Ngf ai pazienti sono condotte nell’Istituto Europeo per le Ricerche sul Cervello fondato da Rita Levi Montalcini. Uno dei suoi più stretti collaboratori, Pietro Calissano, qui ha messo a punto un metodo di coltura delle cellule nervose nel quale è possibile riprodurre gli stessi danni prodotti dalla malattia di Alzheimer. Sembrano promettenti le prospettive per utilizzare altri fattori di crescita come l’Ngf per combattere forme di depressione particolarmente difficili da trattare con i farmaci tradizionali. Sembra anche forte anche il legame fra l’Ngf e lo stress: nel 2005 il fattore di crescita è stato sperimentato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, sull’astronauta europeo Roberto Vittori. L’Ngf è sicuramente la “prima” molecola degli innamorati. Una ricerca condotta nell’Università di Pavia ha dimostrato che il livello di questa proteina è considerevolmente più alto all’inizio dell’innamoramento e molto più presente che in coppie consolidate o nei single. Sono tante le vie che si stanno esplorando per confezionare farmaci basati sull’Ngf: dalle arvicole, minuscoli roditori sia monogami sia poligami usati come “’modello dell’innamorato”’ da utilizzare in laboratorio, fino agli studi che cercano le basi genetiche dei diversi stili amorosi: da chi si lascia travolgere dalla passione a chi vive l’innamoramento come una profonda amicizia, a chi lo vive solo superficialmente. Come fu scoperto l’Ngf ? Nell’estate 1940, la Levi Montalcini legge un lavoro di Viktor Hamburger, eminente embriologo della Wahington University di St Louis. Hamburger era lo studioso leader nell’uso degli embrioni di pollo per lo studio dell’embriologia del sistema nervoso. Nel 1927, ancora studente, Hamburger aveva utilizzato l’embrione di pollo per studiare lo sviluppo del midollo spinale. Le evidenze ottenute in quella ricerca e poi nello studio pubblicato nel 1934, indicavano che lo sviluppo del sistema nervoso fosse in qualche modo influenzato da segnali provenienti dai tessuti circostanti in grado di indirizzare la differenziazione dei neuroni, la crescita delle fibre nervose e l’innervazione degli organi. La Levi Montalcini si convinse del fatto che gli esperimenti di Hamburger costituissero la base ideale per le possibilità di indagine offerte dal suo laboratorio domestico. L’esperimento prevedeva l’amputazione degli abbozzi di ala nell’embrione di tre giorni. Dopo 17 giorni, la Levi Montalcini e Levi sacrificavano un embrione al giorno per fissare e studiare al microscopio il midollo spinale. L’osservazione del preparato al microscopio dimostrava l’assenza dei neuroni motori preposti all’innervazione delle ali. Hamburger aveva interpretato questa evidenza come incapacità dei neuroni di svilupparli in assenza dell’abbozzo delle ali. La Levi Montalcini e Giuseppe Levi, invece, conclusero che questi stessi neuroni si erano divisi, avevano iniziato il processo di crescita e migrazione delle fibre e che poi erano morti. Così, nel laboratorio domestico, i due stabilirono il principio della morte neuronale quale elemento normale dello sviluppo nervoso. I risultati di questo lavoro vennero pubblicati in Belgio nel 1943 sulla rivista “Archives de Biologie”. Dopo la guerra la Montalcini e Levi ripresero il lavoro all’Istituto di anatomia di Torino. Nel 1946, dopo aver letto il lavoro pubblicato con Levi, Hamburger scrisse alla Montalcini invitandola negli Stati Uniti. Lo stesso anno la scienziata raggiunse la Washington University a St Louis. Per la scoperta dell’Ngf, come universalmente riconosciuto, fu cruciale l’incontro dei due studiosi per mettere assieme ed integrare le rispettive competenze diverse, che erano proprie e che mancavo ad ognuno dei due. Hamburger veniva dall’embriologia analitica e sperimentale, dalla ricerca biologica di base, ed aveva soltanto una nebulosa idea del sistema nervoso. La Levi Montalcini, al contrario, era di formazione medica ed aveva poca dimestichezza con le nozioni e i metodi della ricerca embriologica. Nell’autunno 1947, la Levi Montalcini dimostrò conclusivamente il fenomeno, già osservato con Giuseppe Levi, della morte cellulare nei neuroni programmati per afferire ad un territorio embriologico in corso di sviluppo ma asportato sperimentalmente. Bingo! Ciò era l’indicazione fortemente ricercata e poi effettivamente osservata che la regione amputata regolasse in un modo ancora sconosciuto la proliferazione e lo sviluppo cellulare del tessuto nervoso destinato ad innervarla. In quello stesso periodo, Elmer Bueker, un dottorando di Hamburger, iniziò esperimenti di innesto del sarcoma 180 (S 180), un tumore maligno del topo, in embrioni di pollo. Nel 1948, queste indagini portarono alla scoperta che l’S 180 veniva raggiunto da un’intensa proliferazione di fibre nervose emergenti dai gangli vicini. Il fenomeno ancora più interessante era che questi stessi gangli apparissero più grandi rispetto a quelli controlaterali dell’arto non innestato con S 180. Bueker riteneva che quest’effetto non fosse diverso da quello prodotto dal trapianto di un arto supplementare negli embrioni allo stesso stadio di sviluppo e dovuto in entrambi i casi alla possibilità delle fibre nervose di espandersi in un territorio più esteso. Nel 1950 Hamburger descrisse le indagini del suo allievo alla Levi Montalcini, che decise immediatamente di riprodurle su scala più vasta e con tecniche istologiche più sofisticate. Le ricerche della Levi Montalcini confermarono le evidenze ottenute da Bueker e misero in luce ulteriori aspetti del fenomeno che peraltro non si accordavano all’ipotesi esplicativa formulata dall’allievo di Hamburger. La Levi Montalcini rilevò che l’aumento del volume dei gangli nervosi situati in prossimità dell’innesto di S 180 era sei volte maggiore di quello tipico legato al trapianto di un arto soprannumerario e perciò non assimilabile a quest’ultimo. La Levi Montalcini inoltre osservò che la distribuzione e la diffusione delle fibre nervose nel sarcoma innestato era casuale e non portava alla effettiva connessione con le cellule tumorali, come al contrario avviene tra fibre nervose e tessuti in sviluppo embrionale. Inoltre, la scienziata italiana accertò che l’aumento del volume dei gangli non era limitato soltanto a quelli situati in prossimità del sarcoma 180 ma interessava i gangli dell’intera catena simpatica, dai quali partivano estensioni di fibre in eccesso che invadevano in modo caotico i territori circostanti. L’analisi degli embrioni innestati con S 180 rivelava un’altra importante infrazione delle normali traiettorie embriologiche. Le fibre del sistema nervoso simpatico penetravano nella cavità delle vene ostruendo la circolazione. Fu soprattutto quest’ultima evidenza a suggerire alla Levi Montalcini l’idea che l’effetto del sarcoma 180 fosse dovuto al fatto che le cellule tumorali rilasciassero una qualche sostanza diffusibile in grado di stimolare la differenziazione e la crescita delle cellule nervose recettive alla sua azione. Per valutare quest’ultima ipotesi, la Levi Montalcini trapiantò frammenti di S 180 sulla membrana corio-allantoidea di embrioni tra il quarto e il sesto giorno d’incubazione, posizionadoli in modo tale da eludere qualunque contatto diretto tra i tessuti tumorali e quelli dell’embrione. I risultati coincidevano con quelli ottenuti precedentemente con gli innesti intraembrionari ed in sostanza corroboravano l’ipotesi che le cellule tumorali rilasciassero una sostanza stimolante la crescita nervosa. La spiegazione infrangeva i principi fondanti dell’embriologia del tempo, secondo i quali la differenziazione delle cellule era guidata esclusivamente dal programma genetico. Allo stesso tempo, l’ipotesi della Levi Montalcini prefigurò per la prima volta l’esistenza di fattori secreti da cellule in grado di stimolare ed indirizzare la crescita delle cellule nervose. La freddezza e la perplessità con cui fu accolta la comunicazione fatta dalla Levi Montalcini su queste scoperte nel Dicembre 1951 alla New York Academy of Science, fu imputabile al carattere rivoluzionario delle evidenze accertate. A riprova del fatto che le più incredibili scoperte giungono dal totalmente inatteso. La Levi Montalcini si orientò così verso un protocollo sperimentale più rapido e riproducibile, passando dalle ricerche sull’embrione a quelle in vitro. La Montalcini decollò così per Rio de Janeiro, dove all’Istituto di Biofisica sotto la guida di Hertha Meyer e Carlo Chagas, iniziò ad utilizzare la coltura in vitro. L’uso dell’incubazione dei tessuti in vitro confermò i risultati delle ricerche condotte sull’embrione. I tessuti coltivati in un mezzo semi-solido ed in prossimità di frammenti di sarcoma 180, ma non di altri espianti neoplastici o normali, andavano incontro ad un’intensa proliferazione di fibre che si estendevano in una densa raggiera. Ora il problema era quello di isolare ed identificare questo fattore di crescita. Quando nell’inverno 1953 la Levi Montalcini tornò a St Louis, Hamburger le affiancò Stanley Cohen, un giovane biochimico, la figura essenziale per risolvere l’ultimo tassello della scoperta che era ormai diventata una “questione biochimica”. Nel 1954 Cohen riuscì ad isolare ed identificare una frazione nucleo-proteica tumorale in grado di stimolare la crescita nervosa, che veniva chiamata Nerve Growth Factor, cioè NGF. Si doveva accertare quale delle due frazioni era l’elemento neurotrofico attivo. A questo proposito Cohen chiese un parere ad Arthr Kornberg, un biochimico esperto di enzimi. Kornberg suggerì a Cohen di usare veleno di serpenti, in quanto in grado di degradare gli acidi nucleici. Quando la Levi Montalcini provò il veleno di serpente su una frazione di tessuto nervosa si determinò un risultato inatteso. Bingo! La sostanza produceva una stupefacente crescita nervosa, equiparabile a quella del sarcoma 180. Ma dato che il fattore neurotonico era considerevolmente maggiore nel veleno rispetto al tumore, in proporzione circa di 1 a 1000, divenne possibile identificare l’Ngf in una molecola proteica della quale si determinarono sia il peso molecolare sia le proprietà fisico-chimiche. Nel 1958 venne scoperta un’altra “miniera” ricca di sorgenti Ngf nelle ghiandole sottomandibolari del topo. Cohen estrasse la molecola attiva dell’Ngf e la Levi Montalcini riprodusse “galileianamente” tutti gli esperimenti sino ad allora condotti ottenendo di nuovo gli stessi risultati. La questione aperta era quella del chiarimento dell’eventuale ruolo di questa molecola nel normale sviluppo embriologico del sistema nervoso. Nel 1959, un esperimento condotto con un antisiero specifico contro l’NGF iniettato in cavie ai primi giorni di vita provòa che l’inattivazione dell’Ngf endogeno determinava una marcata atrofia dei gangli simpatici. Era la dimostrazione che l’Ngf costituisce un fattore fondamentale nel normale sviluppo del sistema nervoso. Dal 1960 vennero determinati i meccanismi d’azione dell’Ngf, le relazioni con i recettori, i vari ruoli funzionali, l’identità chimica, la dimensione genetica, l’interazione col sistema nervoso centrale, con quello immunitario e con il sistema endocrino, l’influenza sul comportamento. La ricerca sull’Ngf ha aperto inoltre il filone d’oro di studio degli altri fattori di crescita ed è così diventata un Programma di indagine a carattere paradigmatico che ha rivoluzionato, mutato il volto ed indicato nuove frontiere della ricerca nelle neuroscienze per la Medicina Rigenerativa. La storia della scoperta del Nerve growth factor è semplicemente incredibile ma scientificamente doverosa, eccezionale e magnifica. Sicuramente paradigmatica di cos’è la Scienza al servizio dell’umanità. La sua geniale interprete, è Rita Levi Montalcini. “Non è azzardato affermare – scrive Rita Levi-Montalcini nella “Enciclopedia della Scienza e della Tecnica”(Treccani, vol. II, 2007, pp. 177-188) – che la scoperta del Nerve growth factgeor (NGF), presto seguita dall’identificazione dell’Epidermal growth factor (EGF), costituisce un avanzamento delle nostre conoscenze nel campo biologico paragonabile a quello che si è verificato con l’identificazione del primo ormone o del primo neurotrasmettitore. Il ruolo biologico di molti fattori di crescita, inoltre, è fortemente interconnesso con l’insorgenza di vari tipi di tumori; una mutazione nel gene che codifica la sintesi del fattore di crescita o del recettore corrispettivo può indurre una proliferazione incontrollata della cellula bersaglio con conseguente trasformazione da normale a neoplastica. La scoperta del NGF ha suggerito l’ipotesi, in seguito confermata, che esistano proteine analoghe al NGF ma dotate di azione su altre popolazioni nervose che sono collettivamente denominate ‘neurotrofine’. La funzione del NGF e di altre neurotrofine consiste principalmente nel promuovere il differenziamento delle cellule bersaglio e nel garantirne la sopravvivenza una volta che abbiano raggiunto la piena maturazione strutturale e funzionale. Nell’ultimo decennio del Novecento è emerso in modo inequivocabile che quest’azione trofica o vitale non sempre si esplica in modo, per così dire, ‘attivo’ ma, al contrario, consiste in un’azione inibitoria, nel tenere cioè sotto controllo un programma di morte che è presente nel DNA di ogni cellula e denominato ‘apoptosi’. Nel sistema nervoso il programma di morte per apoptosi svolge un ruolo fondamentale sia nello sviluppo sia nell’adulto. Nei primi anni di vita postnatale il cervello è costituito da un numero circa doppio di neuroni rispetto a quelli presenti al termine dell’adolescenza: quelli che falliscono nella costituzione delle reti nervose debbono essere eliminati tramite l’apoptosi per evitare l’eccedenza numerica. Tra i fattori modulatori della fomazione dei circuiti vi è anche il NGF e vi sono evidenze sperimentali che numerose malattie degenerative, fra le quali si annoverano anche le demenze senili, siano provocate dalla carenza, per motivi vari, di una o più neurotrofine come il NGF. Le indagini condotte nell’ultimo decennio hanno messo sempre più in evidenza il ruolo ‘organismico’ del NGF, con la dimostrazione di un suo coinvolgimento non solo nel sistema nervoso centrale e periferico ma anche nel sistema endocrino e in quello che presiede alla difesa dell’organismo. Queste scoperte, a loro volta, si inseriscono nella necessità di valutare le singole azioni del NGF in un contesto che analizza e valuta una determinata risposta tramite un approccio globale, olistico. Non a caso è nata e si va sempre più affermando una nuova disciplina denominata con la locuzione anglosassone system biology. Disciplina che non sarebbe potuta nascere un decennio fa poiché richiede un duplice intervento ‒ multi- e interdisciplinare ‒ i cui risultati possono solo oggi essere valutati grazie all’impiego di tecnologie sofisticate e all’analisi dei dati raccolti tramite potenti elaboratori elettronici”. La Montalcini analizza l’ipotesi del fattore umorale. “Negli anni Quaranta del secolo scorso, un problema a lungo dibattuto fra gli embriologi dell’epoca era centrato sul ruolo del territorio periferico e sull’entità dell’innervazione dello stesso territorio. Poiché si osservava una stretta relazione fra questi due parametri ‒ quanto maggiore era il territorio tanto superiore era l’innervazione, quanto minore il territorio altrettanto ridotta l’innervazione ‒ due erano le ipotesi funzionali al riguardo. Una, sostenuta fra gli altri da un allievo di Hans Speeman, Victor Hamburger, attribuiva al territorio stesso da innervare un ruolo ‘attivo’. Secondo questa ipotesi le fibre nervose in crescita ed espansione ‘sentivano’ la dimensione e si comportavano di conseguenza. A dimostrazione di questa conclusione si adduceva un esperimento effettuato da Helmer D. Bueker nel quale anche un territorio ‘amorfo’, come quello costituito da un tumore, induceva un’abnorme crescita di fibre nervose. Secondo un’altra ipotesi sostenuta da Rita Levi-Montalcini, nel frattempo invitata da Hamburger alla Washington University di Saint Louis a studiare questo problema, il territorio periferico o il tumore impiantato nell’embrione rilasciava un fattore diffusibile che induceva la crescita delle fibre nervose. La ripetizione degli esperimenti di Bueker rivelò un fatto nuovo e stupefacente: gangli simpatici, a notevole distanza dal tumore e nell’impossibilità di stabilire un contatto con il tessuto neoplastico, andavano incontro a uno straordinario aumento di volume, simile a quello dei gangli che innervavano il tumore stesso. Le fibre soprannumerarie prodotte dai gangli simpatici invadevano in modo caotico e anomalo gli organi che, in condizioni normali, a questo stadio dello sviluppo embrionale non erano ancora innervati e non stabilivano rapporti sinaptici con le cellule degli organi, infrangendo il principio basilare che stabilisce di norma un contatto diretto tra fibre nervose e cellule innervate. L’atipicità dell’effetto provocato dall’innesto del tumore denominato Sarcoma 37 (S37) era messa in evidenza dal fatto che le fibre simpatiche non solo invadevano i visceri, ma perforavano la tunica dei vasi sanguigni penetrando all’interno di piccole e grandi vene. Superata la parete vascolare essi protrudevano come grossi gomitoli fibrosi (definiti, in termini neuropatologici, ‘neuromi’) che fluttuavano all’interno dei vasi.
Questo effetto era una prova irrefutabile che le cellule neoplastiche rilasciavano un fattore umorale che alterava i normali processi differenziativi delle cellule nervose simpatiche recettive alla sua azione. Allo stesso tempo il reperto di fibre simpatiche entro il lume delle vene dell’embrione parve indicativo di un’azione neurotropica esercitata dalla sostanza rilasciata dalle cellule neoplastiche nel circolo. Al fine di ottenere una definitiva conferma dell’ipotesi che i tumori producessero e rilasciassero una sostanza umorale responsabile degli effetti descritti, venne innestato il tumore non nel tessuto embrionale, ma sulla membrana corio-allantoidea. Come noto, le sostanze nutritive del tuorlo d’uovo pervengono all’organismo in via di sviluppo tramite il circolo sanguigno, che decorre nella membrana extraembrionale (corio-allantoidea) e, attraverso i vasi convergenti verso l’embrione a livello ombelicale, porta ai tessuti il sangue ricco degli elementi nutritivi. In questa serie di esperimenti il tessuto neoplastico e quelli embrionali condividevano la circolazione, ma non avevano alcun rapporto diretto con l’uno e con l’altro. Questi esperimenti dimostrarono in modo inequivocabile che il tumore trapiantato liberava una sostanza di natura diffusibile che promuoveva la crescita abnorme di fibre nervose. Dopo aver scoperto che i tumori maligni S180 e S37 rilasciavano questo fattore umorale, si trattava di identificare il fattore stesso. Presa la decisione di ricorrere al metodo di coltura dei tessuti in vitro appreso a Torino dal grande istologo Giuseppe Levi, fu necessario trasferire le ricerche a Rio de Janeiro, all’Istituto di Biofisica diretto da Carlo Chagas. Gli esperimenti condotti nel reparto di colture in quella sede diedero risultati di eccezionale interesse”””. La Montalcini descrive l’effetto alone. “Frammenti dei tumori S37 e S180, previo il loro innesto in embrioni di pollo, venivano trapiantati in mezzi di coltura semisolidi in prossimità di gangli sensitivi e simpatici di embrioni di otto giorni. Dalle cellule di questi gangli, coltivati per ventiquattro ore in vitro, in prossimità, ma non a diretto contatto dei tumori, si diramava un fittissimo alone di fibre nervose a forma di raggiera. Al contrario, gangli coltivati soli o in presenza di altri tessuti normali o neoplastici davano origine in questo breve periodo a un alone di cellule fibroblastiche con pochissime fibre nervose. Inoltre, nei gangli coltivati per un periodo più lungo, due o tre giorni anziché ventiquattro ore, le fibre dal lato prospiciente il frammento di tumore non soltanto erano molto più dense che dal lato opposto, ma era ben evidente il loro orientamento verso il tessuto neoplastico. Gli esperimenti condotti in quei mesi dimostrarono che gli effetti indotti dai due tumori in vitro erano provocati dallo stesso fattore umorale descritto negli embrioni di pollo in via di sviluppo. Nel 1953, la collaborazione con il biochimico Stanley Cohen consentì la parziale identificazione chimica della frazione tumorale attiva estratta dai tumori in una molecola nucleoproteica. Questa frazione nel 1954 fu denominata Nerve growth promoting factor e in seguito, con la forma tuttora in uso, Nerve growth factor per via delle sue proprietà di stimolare la crescita di due stipiti di cellule nervose embrionali. Rimaneva da accertare se l’attività fosse esplicata dall’intera frazione nucleoproteica o da una delle due componenti: nucleica o proteica. Cohen utilizzò il veleno di serpente che contiene grandi quantità di enzimi che distruggono gli acidi nucleici. Se essi fossero stati una componente essenziale di NGF, la loro degradazione enzimatica avrebbe dovuto annullare l’attività biologica del fattore neoplastico. Se, al contrario, l’attività fosse persistita, avrebbe significato che responsabile dell’effetto sulla crescita doveva essere la componente proteica e non quella nucleica. L’esame delle colture di gangli coltivati in un mezzo contenente sia l’estratto tumorale ad azione NGF sia il veleno di serpente svelò un effetto del tutto imprevedibile. L’alone di fibre nervose che irradiava dai gangli era centuplicato a paragone di quelli coltivati in presenza del solo fattore tumorale. Da questa insperata e imprevedibile nuova sorgente di NGF Cohen isolò parzialmente il fattore NGF, che risultò presente in misura di gran lunga maggiore che nell’estratto dei due tumori di topo. Iniezioni di NGF, estratto dal veleno di serpenti, in embrioni di pollo tra il quarto e l’ottavo giorno di vita provocavano un effetto identico a quello ottenuto innestando frammenti di S180 e S37 in embrioni di pollo al terzo giorno di incubazione. L’identità degli effetti provocati dal sarcoma e dal veleno di serpente sia in esperimenti in vitro che in vivo dimostrava che il fattore estratto dal veleno e dal tumore era della stessa natura. La scoperta tanto fortunata quanto accidentale che due tumori maligni di topo e il veleno di serpente fossero dotati della proprietà così singolare di stimolare il differenziamento di cellule nervose provenienti da una comune matrice, la cresta neurale, e di promuovere la crescita delle loro fibre, faceva ritenere del tutto improbabile che questa proprietà fosse limitata a tessuti e fluidi così distanti l’uno dall’altro quali quelli citati. Le ghiandole salivari sottomascellari dei topi maschi furono le prime a essere saggiate come sorgenti alternative del fattore NGF. Queste ghiandole, infatti, sono le sole tra quelle dei Mammiferi a esercitare un’azione tossica paragonabile a quella del veleno di serpente e inoltre presentano una somiglianza istologica con le ghiandole che producono il veleno dei serpenti. Al di là di ogni aspettativa, le ghiandole salivari di topo maschio dimostrarono di essere la terza e di gran lunga la più cospicua sorgente di NGF. L’alta quantità di NGF estratto dalle ghiandole salivari murine rese possibile saggiare l’effetto non soltanto nell’embrione di pollo, ma in animali neonati e adulti. Il topo per le sue minute dimensioni e la facilità di allevamento in laboratorio divenne l’oggetto favorito di questi esperimenti”. La Montalcini analizza l’attività neurotrofica, l’immunosimpatectomia e la scoperta di un nuovo fattore di crescita. “Sin dalla sua scoperta la molecola NGF, estratta e purificata dalla ghiandola salivare di topo maschio adulto, fu a disposizione dei biochimici e dei biologi in quantità dell’ordine di milligrammi, e cioè migliaia di volte maggiore rispetto a quella presente nei tumori S180 e S37 . Divenne quindi possibile estendere le ricerche sull’attività neurotrofica di questo fattore non soltanto agli embrioni di pollo, ma anche ai Mammiferi, in prevalenza neonati e adulti. L’iniezione sottocutanea di NGF purificato (dosi da 15 a 20 μg) per un periodo di 10 giorni provocava un aumento dei gangli simpatici delle catene para- e prevertebrali anche più imponente di quello che avveniva negli embrioni di pollo. I gangli raggiungevano un volume pari a 10÷12 volte quello dei gangli di controllo in animali neonati (Roditori). L’ipertrofia e l’iperplasia delle cellule simpatiche in Roditori neonati e in altre specie trattati con NGF causano un’imponente iperinnervazione degli organi e dei tessuti periferici. Sembrava, tuttavia, che gli animali trattati non traessero alcun vantaggio da questo eccezionale aumento del sistema di controllo della vita vegetativa anzi, i risultati conseguiti nella prima serie di esperimenti nel 1958 fecero sospettare un effetto nocivo.
Si notò, infatti, una forte riduzione nella crescita degli animali da esperimento, concomitante con curiose aberrazioni somatiche, quali per esempio l’apertura precoce della rima palpebrale e l’eruzione precoce degli incisivi. L’osservazione di questi effetti a livello epidermico condusse all’identificazione di un altro fattore presente nelle preparazioni solo parzialmente purificate di NGF. Il fattore fu denominato a causa delle sue proprietà Epidermal growth factor o EGF. NGF ed EGF si sarebbero in seguito rivelati costituire la parte emergente di un iceberg formato da un grande numero di fattori di natura proteica (IGF-1, IGF-2, le famiglie delle neurotrofine, TNF ecc.), dotati di azioni specifiche su tutti gli organi e tessuti di un organismo. La prova del ruolo chiave svolto dalla molecola NGF nel corso dello sviluppo fu ottenuta nel 1959, in base a esperimenti finalizzati a saggiare l’azione di anticorpi diretti contro NGF sulle cellule nervose che formano i gangli simpatici. L’antisiero preparato da Cohen con le consuete tecniche immunologiche fu iniettato in topi tra il primo e il terzo giorno di vita. L’ispezione istologica condotta successivamente dimostrò che i gangli simpatici erano ridotti a noduli sclerotici consistenti di cellule gliali e di un numero esiguo di cellule nervose in avanzato stato atrofico. Il fenomeno, reso noto nel 1960 con il termine ‘immunosimpatectomia’, fu introdotto nella letteratura scientifica per designare l’effetto della distruzione delle cellule nervose simpatiche ottenuta con la somministrazione di un anticorpo specifico contro il NGF ad animali neonati. La rapidità del fenomeno e l’entità dei processi regressivi, che culminano nella morte delle cellule nervose, furono interpretate all’atto della scoperta di questo fenomeno come prova irrefutabile della proprietà del NGF di esplicare un ruolo trofico (vitale) essenziale per la vita delle cellule stesse. La carenza di questa molecola provocava un processo fatale nelle cellule bersaglio. Molti anni più tardi il fenomeno sarebbe stato interpretato in modo differente, e cioè non come l’azione di un fattore essenziale per la vita delle cellule, ma come effetto dell’inibizione del processo attivo di morte programmata, designato nel 1972 con il termine di ‘apoptosi’. La morte apoptotica delle cellule bersaglio del NGF si verifica anche per somministrazione di farmaci, quali la 6-idrossidopammina (6-OHDA) e la vinblastina che, con meccanismi differenti, bloccano la captazione e il trasporto retrogrado del fattore NGF, prodotto dalle cellule bersaglio, dalle fibre nervose al corpo cellulare. In tutti i casi descritti, e designati rispettivamente come immunosimpatectomia e simpatectomia chimica, benché i processi dell’apoptosi si verifichino in modo differente, il comune denominatore è lo stesso, e cioè il suicidio cellulare o morte programmata conseguente alla deprivazione del NGF. Esperimenti condotti in vivo e in vitro su colture di cellule di gangli sensitivi e simpatici hanno messo in evidenza una funzione non meno importante del NGF: la proprietà di guidare il percorso delle fibre nervose in via di accrescimento lungo il proprio gradiente di concentrazione. Quest’azione direttiva era stata denominata con il termine ‘tropismo’ o ‘chemiotassi’, prospettato per la prima volta da Santiago Ramón y Cajal, il quale riteneva che questo processo nella neurogenesi intervenisse nella formazione delle giunzioni tra i nervi e gli organi innervati con cui essi stabiliscono connessioni morfologiche e funzionali. Questa ipotesi era confutata dalla comunità scientifica per l’impossibilità di identificare il presunto fattore neurotropico. Spettava al NGF dare la prima prova dell’esistenza di questa azione in base ai risultati di esperimenti condotti sia in organismi viventi sia in sistemi isolati in vitro. NGF iniettato a mezzo di un microcapillare nel pavimento del quarto ventricolo in Roditori neonati provocava non solo la consueta ipertrofia de
i gangli simpatici, ma la formazione di un fascio di fibre nervose ectopiche che si dirigevano verso la fonte intracerebrale di NGF. La presenza di questo fascio di fibre ectopico e aberrante e la sua scomparsa a seguito della sospensione dell’iniezione del NGF fornivano la prima prova della proprietà del NGF di dirigere fibre nervose simpatiche lungo il suo gradiente di diffusione. Una prova anche più rigorosa della proprietà chemiotattica del NGF fu ottenuta da parte di altri sperimentatori. In esperimenti eseguiti in vitro questi dimostrarono che il cono di crescita di fibre nervose prodotto da cellule sensitive embrionali si orienta, come attratto da una calamita, nella direzione di un capillare che rilascia in continuo una soluzione contenente NGF. Una terza proprietà del NGF è quella di determinare la scelta nel programma differenziativo di cellule che hanno origine da un comune precursore. Tipico esempio è quello delle cellule nervose simpatiche e delle cellule ghiandolari cromaffiniche che derivano da una comune cellula progenitrice della cresta neurale. Gli esperimenti condotti nel nostro laboratorio, infatti, dimostrarono che l’iniezione di NGF in embrioni di pollo o in feti e neonati di Roditori determina la sequenza di processi differenziativi in direzione della cellula nervosa simpatica, anziché di quella cromaffinica, a partire da un comune precursore delle cellule ghiandolari adrenaliniche e di quelle di natura nervosa, sia simpatiche sia adrenergiche. La modificazione della componente corticale della ghiandola surrenale è provocata dall’ammasso di fibre nervose originate dalle cellule nervose della componente midollare. Sia in embrioni sia in Roditori neonati l’iniezione del NGF salivare provocava la deviazione fenotipica delle cellule della componente midollare, che assumevano tutte le proprietà morfologiche e funzionali delle cellule simpatiche. La stessa alterazione fenotipica era stata notata in piccoli raggruppamenti di tipo ghiandolare scaglionati nell’organismo”. La Montalcini analizza la struttura del NGF e il suo gene. “Nel 1971 Ruth Hogue Angeletti e Ralph Bradshaw, avvalendosi della molecola del NGF purificata dalla ghiandola salivare murina, ne elucidarono la struttura. La molecola NGF è costituita da due catene polipeptidiche: ciascuna ha peso molecolare di 13.250 kDa ed è formata da 118 amminoacidi.
Ciascuna catena o monomero possiede tre ponti disolfuro che formano legami covalenti tra due residui dell’amminoacido cisteina che conferiscono una forte stabilità alla struttura tridimensionale della proteina, proprietà strutturale comune alla maggior parte di ormoni e fattori di crescita. I due monomeri del NGF, uniti l’uno all’altro da legami deboli, formano un dimero di peso molecolare di 26.500 kDa. In base a questo peso molecolare il NGF fu denominato 2.5 S NGF per distinguerlo da una forma più grande (denominata 7S) contenente altre proteine ad attività enzimatica ma irrilevanti per quanto riguarda le proprietà biologiche del NGF. È stato dimostrato che il dimero è dotato dell’attività biologica NGF, mentre il monomero è privo di tale attività. Le tecniche dell’ingegneria genetica permisero negli anni Ottanta di identificare il gene umano che codificava la molecola NGF. Il gene NGF è localizzato nel braccio corto del cromosoma 1 e codifica per la sintesi di una molecola molto più grande di quella di peso molecolare di 26.500 kDa che costituisce il NGF circolante e biologicamente attivo. Il gene NGF infatti fornisce le istruzioni per la sintesi di un precursore NGF o pro-NGF di grandi dimensioni. È stato dimostrato che il gene NGF è altamente conservato in specie differenti, dagli Uccelli all’uomo. Un reperto che convalida l’ipotesi che questo gene svolga un ruolo essenziale nella vita e nello sviluppo delle cellule recettive alla sua azione. La scoperta del NGF, presto seguita da quella del EGF, ha portato alla luce l’esistenza di un’intera classe di nuove molecole proteiche (i fattori di crescita) e alla dimostrazione che oltre al NGF esistono altri fattori ad azione specifica nell’ambito del sistema nervoso. Questa famiglia di proteine è stata denominata con il termine collettivo di ‘neurotrofine’ e comprende, oltre al NGF, anche il BDNF (Brain derived growth factor), l’NT3 (Neurotrophin 3) e l’NT4. Considereremo insieme alcune delle loro proprietà, poiché sia il sistema di trasduzione dei loro segnali (recettori) all’interno delle cellule nervose, sia le numerose azioni che ne derivano hanno molte proprietà in comune. In senso lato il NGF e le neurotrofine non svolgono solo un ruolo nel corso dello sviluppo del sistema nervoso, ma essi sono anche coinvolti in numerose malattie neurodegenerative e in disordini di natura psichiatrica. Come affermato da Moses V. Chao, che contribuì in modo determinante agli studi sul recettore NGF:”La scoperta, per certi versi sorprendente, che le neurotrofine non sono presenti in organismi ‘semplici’ come Drosophila melanogaster o Caenorhabditis elegans ‒ due modelli animali di invertebrati ampiamente impiegati da genetisti e biologi molecolari ‒ ha rinforzato la nozione che NGF e neurotrofine in genere non sono necessari in via assoluta per lo sviluppo della circuiteria neuronale per sé, ma sono coinvolti in attività di ordine superiore. Per esempio, neurotrofine e recettori influenzano diversi aspetti dell’attività neuronale, come la generazione di nuovi collegamenti sinaptici di lunga durata collegati con i processi di apprendimento e memoria. Alterazioni nei livelli di neurotrofine hanno effetti profondi in una varietà di fenomeni come la morte programmata delle rispettive cellule bersaglio, la mielinizzazione, la rigenerazione nervosa, il dolore, il comportamento aggressivo, l’ansia, la depressione e l’abuso di sostanze stupefacenti“. L’azione del NGF e delle altre neurotrofine dipende da due tipi di sistemi di trasduzione del loro segnale tramite recettori transmembrana: i due recettori sono denominati, rispettivamente, Trk (Transmembrane tirosine kinase receptor) e p75. Topi privati tramite manipolazioni genetiche di una delle neurotrofine muoiono poche settimane dopo la nascita. Topi eterozigoti, i quali esprimono concentrazioni di NGF o di altre neurotrofine ridotti a metà del normale, sono vitali ma mostrano un insieme considerevole e inaspettato di deficit come, nel caso del NGF, una diminuzione dell’innervazione colinergica dell’ippocampo, una diminuita capacità di acquisizione di eventi mnemonici e, nella loro ritenzione per tempi lunghi, una perdita di intere popolazioni neuronali nel sistema nervoso sia centrale sia periferico. Quest’ultimo dato conferma quanto già ampiamente dimostrato con gli esperimenti di immunosimpatectomia eseguiti alcuni decenni prima. Le neurotrofine sono inizialmente sintetizzate, come già accennato per il NGF, sotto forma di precursori o proneurotrofine, che sono in seguito scisse a formare la proteina matura dotata di un peso molecolare di 12 kDa che forma dimeri di peso molecolare doppio. Le neurotrofine dimostrano specificità di legame per recettori differenti, denominati TrkA per il NGF, TrkB per il BDNF e l’NT4 e TrkC per l’NT3. Tali recettori sono dotati di elevata affinità per il loro rispettivo legando solo se la loro interazione coinvolge un secondo tipo di recettore, denominato p75 e comune a tutte le neurotrofine. Studi recenti hanno portato alla luce una proprietà peculiare di p75. Questo recettore, infatti, può andare incontro ad attacco proteolitico da parte di proteasi che generano un peptide intracellulare capace, tramite interazioni con altri elementi intracellulari, di modulare l’espressione genica di numerosi geni. Tra questi geni di primaria importanza vi sono quelli che fanno parte del programma di morte per apoptosi.
Questo evento svolge un ruolo determinante nel corso dello sviluppo, quando le singole fibre nervose debbono prendere contatto con le cellule bersaglio. Eventi apoptotici potrebbero costituire un mezzo per il refinement dell’innervazione corretta nel corso dello sviluppo, eliminando le cellule che non sono innervate dalle fibre nervose. È stato calcolato che circa il 50% dei neuroni presenti alla nascita viene eliminato tramite questo processo di ‘selezione sinaptica’. È interessante notare, inoltre, che gli enzimi devoluti a processare p75 hanno proprietà assimilabili a β- e γ- secretasi, due enzimi che generano un peptide altamente neurotossico il β-amiloide, ritenuto la causa primaria di malattie degenerative come il morbo di Alzheimer, evidenziando ulteriormente il legame stretto fra alterata concentrazione di NGF o del processamento di p75 e insorgenza di questa malattia. Lo stato attuale degli studi sul NGF, sulle neurotrofine e sui loro recettori dimostra che questo insieme di messaggeri extracellulari e dei loro recettori presiede principalmente a processi di funzionamento neuronale e in taluni casi organismico di tipo pleiotropico, ma può anche, in determinate condizioni funzionali nel corso dello sviluppo e anche nell’adulto, attivare programmi di autoeliminazione delle cellule bersaglio. Questa duplice, opposta proprietà funzionale di NGF e neurotrofine trova una spiegazione funzionale in relazione allo sviluppo dell’organismo. Le proforme delle neurotrofine sarebbero devolute ad attivare preferenzialmente p75 e inoltre a mediare eventi apoptotici nello sviluppo, mentre le forme mature sarebbero preposte ad attivare i recettori di tipo Trk per la sopravvivenza delle popolazioni nervose bersaglio. Gli effetti biologici delle neurotrofine richiedono che i loro segnali siano portati a lunghe distanze, spesso di diversi centimetri. La dimostrazione che il NGF può essere trasportato all’interno delle fibre nervose sia in direzione anterograda (dal corpo del neurone alle terminazioni sinaptiche) sia in senso retrogrado (dalle sinapsi al corpo dei neuroni) ha pertanto consentito di acquisire una nozione fondamentale per la comprensione del ruolo funzionale di questa molecola; proprietà che studi successivi hanno allargato a tutte le neurotrofine”. La Montalcini spiega il ruolo del NGF nella scacchiera delle neuroscienze. “La prima dimostrazione di un’attività pleiotropica del NGF si è avuta nel 1981, in esperimenti consistenti nell’iniezione intracerebrale di anticorpi diretti contro il NGF in singoli feti di ratti esposti, a seguito di taglio cesareo, nella settimana prenatale. Questo intervento intracerebrale non impediva che la gestazione venisse portata a termine. I neonati sottoposti a questo trattamento nei controlli non differivano dagli altri, tuttavia nella prima settimana di vita un numero rilevante moriva a causa di un progressivo decadimento di tutte le funzioni vitali. I sopravvissuti andavano incontro a un notevole arresto della crescita e a uno sviluppo fortemente deficitario del sistema neuro-endocrino, come dimostrato dall’imponente riduzione in volume dell’ipofisi, della tiroide e del surrene. L’ipotesi che l’inattivazione della molecola NGF da parte degli anticorpi si esercitasse a livello di determinati nuclei cerebrali (ipotalamici) preposti allo sviluppo dell’asse neuroendocrino è stata confermata ed estesa da studi condotti in collaborazione con altri istituti di ricerca. È stato infatti rilevato che in condizioni normali la molecola NGF viene sintetizzata e rilasciata nei nuclei suddetti. Inoltre, studi condotti in parallelo da altri ricercatori dimostravano che popolazioni endocrine, in condizioni fisiologiche normali, sono dotate della proprietà di sintetizzare e rilasciare la molecola NGF. I risultati di questi studi confermavano un’ulteriore estensione dell’attività svolta dalla molecola NGF non ristretta al sistema nervoso periferico e centrale, né ai centri nervosi preposti alle funzioni dell’asse neuroendocrino, ma comune anche alle cellule che fanno parte di questi organi indipendentemente dall’azione esplicata su di loro dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene”. Dunque, da fattore di crescita specifico a modulatore dei tre fondamentali sistemi omeodinamici. “I risultati sopra descritti hanno rivelato altre attività dello spettro d’azione del NGF, che suggeriscono un ruolo della massima importanza, consistente nel coinvolgimento operativo di tipo modulatorio nei sistemi nervoso, endocrino e immunitario. Nel 1975 gli studi condotti nel nostro laboratorio avevano evidenziato che iniezioni di NGF in Roditori neonati provocavano uno straordinario aumento numerico di cellule appartenenti al sistema immunitario, note come mastociti. L’iniziale denominazione di Mastzellen, coniata da Paul Erlich alla fine dell’Ottocento per denominare i mastociti, indica cellule ripiene di granuli a valenza nutritiva e viene attualmente decodificata da alcuni autori in termini di cellula ‘master’, cioè principale o importante, data la capacità del mastocita di sintetizzare e immagazzinare all’interno dei propri granuli una grande varietà di mediatori che, sotto le più svariate stimolazioni, vengono rilasciati per andare a influenzare un numero straordinario di processi biologici. L’importanza del reperto ottenuto nel nostro laboratorio non era stata immediatamente percepita da quanti ne erano venuti a conoscenza. Il ruolo assegnato alle cellule che rivelarono questa nuova attività del NGF era quello di difendere l’organismo da agenti nocivi quali vermi e parassiti di diversa natura. Ricerche condotte precedentemente nel nostro e in altri laboratori avevano evidenziato la presenza di mastociti in stretta vicinanza a terminazioni di fibre sensitive nocicettive e nella compagine di organi dei sistemi endocrino e immunitario. La loro associazione con il tessuto nervoso deponeva per un’interdipendenza morfofunzionale, ipotesi confermata da rilevamenti istologici ed elettrofisiologici. È oggi noto che i mastociti sono corredati di recettori a bassa e ad alta affinità per il NGF, che lo sintetizzano e che possono anche attivare meccanismi della sua captazione o del suo rilascio insieme ad altre sostanze ad attività biologica come l’istamina, la prostaglandina, il TNF (Tumor necrosis factor), che sono alla base dei fenomeni infiammatori di differente eziopatogenesi. In base all’attività esplicata dal NGF sulle componenti dei sistemi citati si svelava una proprietà di questa molecola che non rientrava in quella che gli era stata attribuita nei tre decenni successivi alla sua scoperta, designata con il termine di ‘neurotrofina’, ma si inseriva nella categoria più ampia di sostanze umorali, note con il termine generico di ‘citochine’, sintetizzate e rilasciate dalle cellule appartenenti ai sistemi della rete omeodinamica”. La Montalcini evidenzia l’aumento del NGF circolante in stato di stress e di ansia.
“Un aspetto del tutto nuovo dell’attività biologica del NGF è venuto alla ribalta nel 1986, quando è stata ripresa in esame una delle osservazioni più interessanti emerse dallo studio del NGF, e cioè che la sintesi di grandi quantità di questo polipeptide nei tubuli convoluti delle ghiandole salivari sottomascellari di topo maschio adulto è sotto controllo del testosterone. In condizioni naturali, infatti, i topi maschi mostrano un comportamento aggressivo nei riguardi dei maschi della loro stessa colonia, ingaggiando combattimenti intraspecifici che finiscono con gravi morsicature e talvolta con l’uccisione di uno dei due contendenti. Un comportamento aggressivo del tutto simile si osserva in topi maschi allevati in laboratorio, mantenuti in isolamento sociale per un periodo di 446 settimane e posti quindi con un altro maschio nella stessa gabbia. L’osservazione di elevati livelli di NGF nel sangue di entrambi i contendenti, immediatamente dopo ogni episodio di aggressione, suggeriva che questo rilascio di NGF dalle ghiandole salivari potesse avere un ben definito ruolo fisiologico, attivato e/o potenziato da specifiche condizioni di stress. Indagini precedenti, dalle quali risultava che il NGF esogeno induce ipertrofia del surrene e stimola l’attività funzionale sia della sezione midollare sia di quella corticale di questa ghiandola, suggerivano che quest’organo rappresentasse il bersaglio più probabile del polipeptide. Questa ipotesi ricevette una conferma dalla dimostrazione dell’esistenza di una correlazione fra prolungati episodi di combattimenti e un’ipertrofia sia della componente corticale sia di quella midollare del surrene. Un’ulteriore significativa osservazione riguardo al ruolo del NGF nell’interazione antagonista nel topo si riferisce al fatto che il suo livello nel sangue circolante raggiunge costantemente un valore più elevato nel partner subordinato che in quello dominante. In altri termini, il massiccio rilascio di NGF dalle ghiandole salivari nel sangue circolante è espressione non solo dell’attivazione di un comportamento aggressivo, ma anche dell’ansia, che è ovviamente più grave nel topo subordinato. Questi risultati hanno posto il problema se anche nella specie umana lo stato ansioso provochi un aumentato livello di NGF. A questo scopo sono stati analizzati i livelli ematici in giovani reclute che per la prima volta si lanciavano con il paracadute. I risultati hanno messo in evidenza un aumento di NGF nel sangue sia nel momento in cui veniva notificato alle reclute che si sarebbero dovute lanciare (ventiquattro ore prima del lancio) sia immediatamente dopo il lancio stesso (stress fisico ed emotivo). Prima del lancio il livello ematico del NGF era aumentato dell’84%; venti minuti dopo l’atterraggio il livello NGF era ulteriormente salito al 107% in un gruppo di ventisei individui. Due dati di notevole interesse emergono da questi reperti: lo stress di natura emotiva e/o fisico-emotiva provoca un aumentato rilascio in circolo di NGF da sorgenti attualmente non identificate, senza tuttavia alterare il livello di altre interleuchine intimamente associate al NGF, quali l’interleuchina IL-1 e il TNF; l’immediato aumento del NGF circolante e quello simultaneo dei recettori NGF sui linfociti nel sangue dei soggetti sottoposti al duplice stress emotivo e fisico prospettano l’ipotesi che la molecola NGF non soltanto agisca in modo sinergico sui tre sistemi (nervoso, endocrino e immunitario), ma svolga un ruolo di attivazione dei sistemi preposti a mettere in atto meccanismi di difesa”. La Montalcini descrive il ruolo del NGF nelle neuropatie periferiche e nelle lesioni corneali. “Nell’ambito del network neurocutaneo, il NGF non solo presiede allo sviluppo e al differenziamento dei neuroni sensoriali e simpatici, ma è anche in grado di modulare nell’adulto l’arborizzazione terminale delle fibre amieliniche, nonché la sensibilità termica e traumatica dei nocicettori afferenti, che nell’epidermide formano un complesso network tridimensionale. I suoi effetti cutanei sono stati recentemente messi in evidenza da studi effettuati su topi transgenici che sovraesprimono NGF nella pelle. In questi animali si è dimostrato un aumento del 100% del numero di neuroni sensoriali presenti nei gangli delle radici dorsali, nonché un forte incremento di fibre contenenti CGRP (Calcitonin gene related peptide) nel corno dorsale del midollo spinale. A livello cutaneo, inoltre, l’aumentata espressione locale di NGF sbilancia il rapporto tra fibre simpatiche colinergiche (innervazione ghiandole sudoripare), noradrenergiche (innervazione vascolare) e sensoriali (plesso nervoso dermo-epidermico). Tale squilibrio determina un netto prevalere delle terminazioni sensoriali e una localizzazione aberrante degli assoni simpatici che si concentrano a canestro intorno ai neuroni sensoriali, analogamente a quanto accade in condizioni di dolore cronico. Elemento cutaneo per eccellenza, il cheratinocita è la cellula maggiormente presente nella pelle, dove la sua organizzazione stratificata e il suo specifico turnover determinano le proprietà di rinnovamento e cheratinizzazione epidermica, nonché le fondamentali caratteristiche della barriera cutanea. È stato dimostrato che mediante modalità paracrine e autocrine il NGF regola la sopravvivenza, la proliferazione e il differenziamento dei cheratinociti. Anche i fibroblasti, particolarmente abbondanti a livello dermico, rappresentano fonti cutanee di NGF; sotto stimolo citochinico (TNF e IL-1 in particolare), essi producono e liberano quantità discrete di questo fattore, che andrà a esercitare i propri effetti a livello cheratinocitario, ovvero su quelle cellule dermoimmunitarie da molti definite ‘spazzini tessutali’ ‒ i macrofagi ‒ nei quali il NGF è in grado di stimolare la fagocitosi, l’espressione recettoriale, la produzione e il rilascio di citochine, come l’IL-1. È infine importante considerare anche quelle cellule immunitarie che, pur non essendo resistenti a livello cutaneo, vengono attivate in numerose condizioni fisiologiche o patologiche e particolarmente in quelle di tipo flogistico di varia natura. Monociti, linfociti T, linfociti B, neutrofili, eosinofili, basofili rappresentano le braccia mobili del sistema immunitario, capaci di migrare sotto stimolo chemiotattico dal letto circolatorio al tessuto cutaneo che ne richieda l’intervento. Tutte queste cellule rispondono in maniera attiva al NGF, ne esprimono il recettore e alcune sono in grado di sintetizzare e rilasciare questa neurochina. In base alle sue proprietà il NGF è coinvolto in meccanismi dermo-epidermici di difesa. Tra questi, uno dei principali sistemi difensivi è rappresentato dall’iperalgesia, cioè dalla percezione dolorifica di stimolazioni cutanee normalmente non risultanti in sensazioni dolorose. Si tratta di un meccanismo messo in atto dalla natura per proteggere tessuti lesi o in via di riparazione. Un esempio classico è l’iperalgesia della cute ferita e/o in via di cicatrizzazione, dove la sensibilità dolorifica a stimoli meccanici e termici è notevolmente amplificata. I meccanismi neurobiologici dell’iperalgesia vedono il NGF giocare un ruolo cruciale. È del 1960 la prima evidenza che l’infiammazione provoca aumenti dei livelli locali di NGF, ma ci sono voluti più di tre decenni per definire che tale aumento è responsabile dell’iperalgesia dei tessuti infiammati. Il NGF è in grado di aumentare la sintesi di neuropeptidi, come CGRP e SP (Substance P), con conseguente abbassamento della soglia nocicettiva.
Il NGF si delinea come iniziatore di due fasi cardinali della fisiopatologia cutanea: l’iperalgica e l’infiammatoria. Queste stesse fasi sono assolutamente cruciali in uno dei più noti fenomeni di riparazione cutanea: la cicatrizzazione delle ferite. Indipendentemente dall’origine cellulare, gli aumenti di NGF in sede di ferita possono stimolare la cicatrizzazione anche attraverso modalità diverse da quelle nervose. La sua capacità di influenzare le cellule cutanee rende, infatti, il NGF un ottimo candidato al ruolo di orchestratore delle fasi cicatriziali, prima fra tutte quella infiammatoria. L’induzione e il potenziamento della degranulazione mastocitaria costituiscono senza dubbio il meccanismo fondamentale tramite il quale il NGF attiva il processo infiammatorio. L’azione proliferativa sui cheratinociti rende conto del ruolo del NGF nella riepitelizzazione, evento chiave della cicatrizzazione cutanea, attraverso il quale i cheratinociti migrano dai margini della ferita e proliferano fino a ricoprire completamente la soluzione di continuo. Esami di laboratorio condotti su topi sia normali che diabetici hanno confermato che l’applicazione topica di NGF su ferite a tutto spessore accelera la velocità di cicatrizzazione. In particolare, il trattamento ha aumentato il grado di riepitelizzazione, lo spessore del tessuto di granulazione e la densità della matrice extracellulare. Alterazioni di natura neurologica sono provocate da compressione da trauma di nervi sensoriali o da neuropatie, quali per esempio il diabete, le complicazioni insorgenti durante la chemioterapia antitumorale (per es., da cisplatino o da taxolo), in seguito a terapie antivirali, come complicazioni dell’alcolismo o del fumo, o nel decorso dell’AIDS. La sofferenza dei nervi periferici rappresenta nei diabetici una complicazione relativamente frequente (10% ca.), che non appare sempre correlabile alla gravità e alla durata della malattia. La causa non è ancora stata chiarita, ma sono stati chiamati in causa fattori quali appunto un danno alle fibre nervose che innervano i vasi capillari degli stessi nervi. La perdita graduale della sensibilità cutanea provoca nel paziente ferite e lesioni, talvolta anche gravi, alle estremità, aumentando così il danno iniziale. Il peggioramento progressivo di ulcere e piaghe può portare talvolta alla necessità di ricorrere all’amputazione. La terapia delle neuropatie diabetiche si è indirizzata finora al controllo del diabete mediante mantenimento del tasso di glucosio del sangue a livelli accettabili: l’iniezione sottocutanea di NGF in microgrammi determina un significativo miglioramento della sensibilità al caldo e al freddo nel 75% dei pazienti e ha un effetto positivo anche a carico di altri tipi di sensibilità. Un’altra imprevedibile attività del NGF è stata recentemente evidenziata dall’azione svolta da questa molecola in ulcere corneali di qualunque natura, che provocano lesioni causando la perdita della vista per la mancata riparazione dei tessuti lesi con terapie farmacologiche. La scoperta di recettori ad alta affinità (TrkA) nelle cellule epiteliali della cornea, che è stata realizzata grazie a studi in vitro condotti in precedenza, ha suggerito la sperimentazione in vivo in modelli animali (conigli) ai quali era stata inflitta una lesione dell’epitelio corneale. I risultati conseguiti hanno dimostrato che l’aggiunta del NGF al mezzo di coltura portava al ripristino delle cellule lese e hanno incoraggiato lo studio dell’attività del NGF sulla cornea di pazienti affetti da lesioni di differente natura. Di queste, la più frequente è quella provocata dall’infezione del tessuto corneale da Herpes simplex, seguita, dal punto di vista numerico, dalle lesioni provocate da infezioni batteriche, virali o conseguenti ad alterazioni traumatiche (lenti a contatto, oggetti ecc.). Il NGF è stato somministrato per via topica (collirio) e nel 100% dei pazienti trattati (a tutt’oggi una cinquantina) si è verificata una completa riparazione del tessuto corneale, che si evidenzia poche settimane dopo i primi trattamenti e perdura nei periodi successivi. Ulcere corneali possono anche essere provocate da mancata innervazione per lesioni del nervo trigemino. Si tratta in questo caso di ulcere corneali di origine neurogena, come dimostrato dall’alterazione dell’epitelio corneale a seguito della sezione della componente oculare del nervo trigemino in modelli animali. Lesioni di questo nervo riducono il metabolismo e la vitalità del tessuto corneale, probabilmente a causa della mancata funzione di un non identificato fattore trofico. L’effetto riparativo, studiato a livello istologico nel modello animale, ha dimostrato che questo è dovuto sia al fatto che le cellule corneali possiedono i recettori ad alta affinità e sono quindi in grado di captare il fattore NGF, sia al fatto che il NGF determina la reinnervazione del tessuto leso. Le patologie alle quali si è accennato, pur essendo eterogenee tra di loro sia come eziologia sia come localizzazione, potendo interessare livelli distrettuali diversi, sono unificate nel segno dei processi infiammatori che ne sostengono il danno patologico. I risultati conseguiti in questi ultimi decenni hanno portato a enormi passi avanti nel cammino verso la comprensione dei meccanismi fisiopatologici preposti alla salute dell’uomo.
A questi si è pervenuti integrando il metodo riduzionistico con quello olistico, che si avvale dello studio delle singole parti per ottenere una visione globale. Non si contempla un mosaico concentrando l’attenzione sulle singole tessere: infatti, l’analisi più minuziosa delle parti non può fornire l’idea dell’insieme. Da questa filosofia di base nasce un nuovo approccio sperimentale, volto a collegare, integrare, associare, così come sono collegati, i sistemi che operano per mantenere l’equilibrio dell’organismo. Le fasi di sviluppo delineate per sommi capi non devono essere considerate ‘un inventario di fatti’, indipendenti l’uno dall’altro, ma una sequenza logica di fenomeni collegati tra loro da un filo conduttore. Questo approccio multi- e interdisciplinare, che ha caratterizzato l’ultimo decennio delle ricerche sul NGF, trova attualmente una realizzazione sistematica nel campo delle ricerche biologiche, tanto da aver dato luogo a una ricerca olistica denominata ‘biologia sistemica’. Gli studi che avrebbero portato alla scoperta del NGF si ponevano al loro inizio l’obiettivo di indagare quale ruolo giocassero i tessuti e gli organi periferici sui centri nervosi del midollo spinale da loro innervati. Era un problema che si apriva a quei tempi, nella vasta panoramica delle neuroscienze, come periferico nel doppio senso di questo termine: nel primo, perché le cellule attive avevano una locazione e una funzione periferica, nel secondo, perché queste cellule sono preposte a funzioni di scarsa rilevanza a paragone di quelle del sistema nervoso centrale, implicate nelle funzioni cognitive (elaborazione di pensiero, memoria, creatività e, nel complesso, delle funzioni psicoemotive). La scoperta del NGF ha portato alla luce l’esistenza di un’intera classe di nuove sostanze collettivamente denominate ‘fattori di crescita’ e appartenenti alla più vasta categoria dei messaggeri extracellulari, che comprendono ormoni e vitamine. In questo contesto il ruolo svolto dal NGF non è limitato al sistema nervoso centrale e periferico (azione che ha inizialmente ispirato la sua denominazione), ma si estende a numerose funzioni nel contesto di network operativi a livello organistico”. Le più grandi scoperte giungono dal totalmente inatteso in regime di effettiva libertà della ricerca scientifica pubblica e privata al servizio dell’umanità.
Nicola Facciolini
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