I quattro nomi di cui al titolo mi vengono dalle prime tre pagine di un libro di Magdi Allam “Vincere la paura” (paura del terrorismo, forse il peggiore dei nostri nemici). Si tratta di quattro poliziotti iracheni.
Prima di parlarne riflettiamo un pò su questa intricata situazione. Dovendosi guardare, i Musulmani, a seconda dei casi da i vari tra di loro nemici – scenario fin qui verificabile soltanto in suolo occidentale o nei teatri di guerra, poi che nei più forse rappresentativi Paesi islamici notoriamente la sottomissione è sovrana – c’è da concludere che la tragedia del terrorismo riguarda più i Musulmani che gli Occidentali. Infatti mentre non s’intravedono vie d’uscita per i primi, per i secondi il problema non solo è unico ma è davvero non nuovo per essere stato il terrorismo di casa in Occidente. Non m’ingolfo a tentare difficili paragoni e perfino ammetto di non sapere quali siano i terrorismi che abbiano raggiunto lo stesso parossistico livello del terrorismo di stato di un nazismo e di un comunismo. Non per nulla da qualcuno afferma che il fondamentalismo islamico sia un prodotto derivato dalla ideologia nazista.
Ma torniamo ai quattro nomi del titolo: sono i nomi di quattro poliziotti iracheni che il felice giorno delle votazioni in Iraq (30 gennaio 2005) individuati un gruppo di terroristi in procinto di mescolarsi tra i votanti gli si gettarono addosso esplodendo con essi, ad essi avvinghiati.
Magdi Allam propose un riconoscimento a questi quattro eroi, un monumento o una piazza, (ma chissà quanti altri sarebbero da celebrare tra i troppi Iracheni uccisi dai loro fratelli terroristi). È stato realizzato questo riconoscimento? Lo ignoro, perché sapete come vanno le cose nel Giornalismo, si spara la notizia poi come va a finire difficilmente emerge con la stessa evidenza seppure qualcuno si da la pena di darne contezza.
All’epoca i terroristi trovarono sostegno e consenso da una certa sinistra europea (non tutta grazie a Dio) e in Italia dall’ossessionante pervicacia nel reclamare il ritiro delle nostre truppe dall’Iraq, ciò che voleva dire consegnare il Paese al terrorismo. Con non poco sollievo in questi giorni proprio da Giuliana Sgrena (la giornalista coinvolta nella disgraziata sciagura costata la vita a Nicola Callipari), di sinistra, accanita sostenitrice del ritiro delle truppe dall’Iraq, apprendiamo che le recenti votazioni in Iraq si sono svolte con grande afflusso dei votanti, regolarmente anche se con qualche perdita umana cosa quanto mai esecrabile, ma di poco rilievo data la timorosa apprensione preelettorale.
E sempre dalla Sgrena, con ancora maggiore sollievo siamo informati che nel Paese la gente ha ripreso a vivere in un riacquistato clima di libertà, insomma clima lontanissimo da quello asfittico dovuto alla feroce dittatura di Saddam Hussein.
Ora siamo noi o meglio saremmo in un Paese di già sperimentata democrazia. Sperimentata? Ne siamo sicuri? Mi duole dire che ho più di qualche perplessità, perché se è vero che la democrazia è imperfetta mi pare altrettanto vero che in Italia è al massimo dell’imperfezione.
L’imperfezione deriva dalla non accettazione di un’alternanza al Governo del Paese e da uno scontro che si basa non sulla politica degna di questo nome, ma sul linciaggio persecutorio di chi attualmente è al governo.
Chi legge dirà, la scrivente è schierata. Rispondo: no non sono schierata ma nauseata questo sì di un’opposizione che ritengo assolutamente inadeguata alla sua funzione, che non è quella di vilipendere l’operato del Governo, arrivando a sentenziare che il Governo non fa nulla e non ha fatto nulla per il Paese. Se invece di sciorinare con assillante monotonia tutte le necessità irrisolte degli Italiani poveri o in via d’impoverimento e dei disoccupati in genere, in strana commistione di quelle derivate secondo loro dall’assenza del dovuto rispetto e della dovuta dignitosa accoglienza di tutti gli immigrati regolari e clandestini, avessero precisato la disponibilità economica del Paese e del come il Governo avrebbe potuto suddividere la spesa senza scontentare nessuno, avrebbero fatto un’operazione utile. Quel che amareggia è l’evidente proposito d’ingannare la gente e cioè di plagiarla grazie alla martellante iterazione delle suddette accuse così da persuaderla che un nuovo governo saprebbe gestire la destinazione del denaro a disposizione in modo più equo e solidale. Peccato però che gli stessi non spieghino il COME sia possibile la realizzazione di questo proposito e neppure se il dato quantitativo delle risorse a disposizione basti a soddisfare il progetto qualitativo.
Ma l’aspetto antidemocratico di questi aspiranti smaniosi di governare – senza però che fino ad ora si siano guadagnato tangibilmente il consenso degli elettori – è la perseverante campagna denigratoria del Presidente del Consiglio e di tutta la compagine di centro destra in uno con la persecuzione giudiziaria e l’esaltazione delle regole a scapito dei diritti costituzionali.
Con non poca impudenza questa gente assetata di potere punta diritto in maniera virulenta sullo scandalismo e sulla gogna mediatica, cosa alla loro portata perché a smentita del tanto celebrato conflitto d’interessi, dal pulpito della TV prevale senza ombra di dubbio l’addestrata cultura di sinistra. Cultura poi abbondantemente condita con la satira e l’insultante svalutazione sul piano personale e pubblico oltre che internazionale di Berlusconi. Gli intelligenti titolari di tale instancabile dileggio, del tutto indifferenti all’evidente danno di credibilità dell’Italia.
Ma le mie riserve mentali nei confronti di questi, sempre autocompiaciuti e sarcastici oppositori, guardano a considerazioni che dovrebbero tassativamente prevalere nell’attenzione di un agone politico consapevole onesto e costruttivo.
Ad esempio la coerenza.
Sarebbe importante che ci si chiedesse quanto gioca e quanto dovrebbe giocare in fatto d’integrazione la valutazione dell’integrazione europea. L’Europa sembra ancora esistere e assai poco solo sulla carta o nelle buone intenzioni. Diceva Ronald Reagan: “Se io volessi telefonare per avere uno scambio d’idee al capo dell’Europa non saprei a chi rivolgermi”.
Siamo ora abbondantemente al dopo Reagan, ma l’Europa continua ad essere una sorta di associazione di ben distinte nazioni con ben distinti interessi e filosofie. Mentre qui in Italia pretendiamo e crediamo nell’integrazione di chicchessia senza vagliarne la reale fattibilità. Non è un rilievo di poco conto.
Se poi volgiamo lo sguardo sulle problematiche connesse con il globalismo, non possiamo non constatare che siamo a un bivio denso di traumatizzanti contrasti. Che cosa dobbiamo globalizzare, la povertà o il benessere? E a paragone di chi e di dove?
E anche qui, il problema è il medesimo, in teoria è ovvio si guarda al benessere, in pratica è la povertà che primeggia in troppa parte del mondo.
A parte la sterile caccia ai colpevoli, ecco che subentra il criterio obbligato del COME affrontare questa povertà senza toccare il privilegio del benessere da altri conquistato con non poca fatica individuale. Intendo dire che non saprei decidere se accollare la responsabilità di certe povertà endemiche ai comportamenti cinici dei gestori di grandi interessi (banche, finanza, multinazionali e altro) o anche alla comprensibile difesa dei singoli cittadini che formano i popoli dei Paesi industrializzati quali difensori delle condizioni di benessere, ripeto, faticosamente conquistate.
E allora come non concludere che non è davvero facile calibrare la politica interna se contemporaneamente non la si incasella nello scacchiere mondiale, anche perché se non si ha cura di questa angolazione si rischiano più guerre e s’intensifica il terrorismo, oltre all’occupazione già da tempo in atto da parte dei fenomeni migratori, che apportano secondo alcuni ricchezza, secondo altri regressione e impoverimento, di certo perdita di altre identità.
Per tutto questo e altro ancora la dialettica politica interna al Paese dovrebbe essere all’insegna della modestia, del reciproco rispetto e della onesta determinazione a lavorare insieme per il bene del Paese, equilibratamente al contesto mondiale, cosa che non avviene di certo nei vari talk – show, contrabbandati come servizi di approfondimento.
Intanto se non si è già provveduto ma se sì, senza adeguata diffusione mediatica, si celebrino i quattro poliziotti Iracheni come simbolico riconoscimento della eroica determinazione di tanta parte dell’Islam a realizzare una convivenza democratica basata su i diritti umani, e si raccolgano più informazioni possibile sul pensiero e sulle azioni dei tanti coraggiosi Musulmani che credono nei valori individuali e nella libertà ed eguaglianza di tutti gli esseri umani. Perché questo serve non solo a smentire le false accuse di razzismo, ma ai fini di una evoluzione umana sulla strada di una pace mondiale. Ora qui in Italia appare mastodontico il conflitto tra le regole e la democrazia.
Non dimentichiamo che la democrazia va corretta lavorandoci dentro, non certo combattendola con il rischio di distruggerla o di menomarla, cosa che accadrà se le regole saranno fatte prevalere su i diritti dei cittadini ad esercitare l’elettorato attivo scegliendo dall’intero ventaglio dei candidati.
Qualche cosa di simile accadeva ai tempi di Giulio Cesare al quale i senatori impedivano ogni iniziativa da lui concepita per il bene di Roma grazie a regole ineccepibili ma squallidamente strumentali ai loro personali interessi o a meschine rivalità.
Le regole vanno certo tassativamente rispettate ma non essere irrimediabilmente vincolanti quando e se accada che nella loro attuazione finiscano per mortificare i fondamentali diritti democratici dei cittadini.
Gloria Capuano
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