Secondo Confcommercio il 2012 è stato non solo “annus horribilis”, ma il più duro per l’Italia dal dopoguerra e, come se non bastasse , l’Istat certifica il crollo del potere di acquisto delle famiglie: nei primi 9 mesi del 2012 calato del 4,1% rispetto al 2011. C’è poi
Confindustria che certifica, a novembre, un calo della produzione industriale dello 0,6%, in un contesto di caduta abissale, con una percentuale fra le più alte d’Europa (peggiori solo Grecia, Portogallo e Spagna), di disoccupazione generale e principalmente giovanile (che si avvicina al 38%)
Ci dice sempre il documento pubblicato ieri da Confcommercio, che il peggioramento del sentimento delle famiglie, relativamente alla condizione personale, “è legato all’accentuarsi delle difficoltà del mercato del lavoro. A novembre gli occupati hanno mostrato un riduzione di 42mila unità rispetto ad ottobre; da giugno si sono persi 192mila posti di lavoro. Il numero di persone in cerca di occupazione è sceso di 2mila unità rispetto ad ottobre, ed è aumentato di 507mila unità nei confronti dello stesso mese del 2011. A dicembre sono state autorizzate il 15,3% di ore di cassa integrazione in più rispetto all’analogo mese del 2011, dato che ha portato ad un aumento del 12,3% nell’intero 2012. E’ presumibile che le difficoltà permangano anche nei primi mesi del 2013”.
E mentre Berlusconi, poco contenuto e poco incalzato da Lilli Gruber su La7, dice che le condizioni si sono fatte cattive con il governo tecnico, mentre con lui l’Italia cresceva e cresceva l’agiatezza delle famiglie, Monti smette l’abituale applomb e al Tgcom24, dice che l’aumento delle tasse è dovuto a ciò che hanno fatto i precedenti, sprovveduti governi e, attaccando la sinistra, aggiunge: “l’emergenza non e’ finita, c’e’ ancora una emergenza economica e sociale. C’e’ bisogno di una continuità di azione in profondità. La disoccupazione giovanile e’ drammaticamente alta ed occorre mobilitare i riformatori, quelli che hanno la volontà di battersi contro i privilegi, le tutele eccessive, i corporativismi e le lobby. E’ necessario mobilitare la società civile, unirsi per rimuovere questi blocchi”.
Sempre al Tgcom 24 Monti anticipa qualche nome delle sue liste: la presidente del Fai, Ilaria Borletti Buitoni, il presidente di Confcooperative, Luigi Marino e ancora il direttore de Il Tempo Mario Sechi, Alberto Bombassei e la campionessa di scherma Valentina Vezzali.
Gli risponde il Pd che dopo otto ore di riunione fiume, approva (si è detto all’unanimità, ma dopo diversi mal di pancia) le liste con i nomi dei candidati per l’elezione alla Camera e al Senato alle Politiche di fine febbraio, liste in cui non vi è, come aveva detto Bersani in apertura di lavori, nessuno dei ministri dell’attuale governo, per rispetto istituzionale.
Ma, come scrive critico Il Giornale, il risultato sembra essere un sapiente mix di apparato e “società civile”, di Cgil e Confindustria, di Pci e Dc: una vera e propria Balena bianco-rossa che, attraverso una concitata campagna acquisti operata da Bersani, unita al suo nutrito pacchetto di fedelissimi e a quelli dei capicorrente, ha scaraventato dentro d’ufficio un numero esorbitante di candidature blindate, che in molti luoghi hanno messo a rischio i candidati passati per le primarie.
A Matteo Renzi, in totale, vanno una cinquantina di parlamentari, ma resta fuori il suo storico braccio destro Roberto Reggi. Si chiudono sul filo di lana i “nodi” della Sicilia e della Puglia (con dimissioni poi rientrate del segretario regionale), ma in serata se ne apre un altro per il Pd sardo. Nel primo caso la segreteria locale riesce a “rimbalzare” 6 degli 11 “paracadutati” nazionali (e risulta così quasi certamente salvo l’ex segretario Cisl Sergio D’Antoni). Per il secondo non si hanno ancora notizie.
Il Pd avrà comunque un codice anti-impresentabili e i casi dubbi verranno valutati dal comitato di garanzia, presieduto da Luigi Berlinguer. Bersani guiderà le liste in tre regioni “chiave”: Lazio, Lombardia e Sicilia. Il suo vice Enrico Letta sarà capolista in Campania e nelle Marche e i capigruppo di Camera e Senato, Dario Franceschini e Anna Finocchiaro, saranno rispettivamente capolista in Emilia Romagna alla Camera (accanto a Josefa Idem per il Senato) e in Puglia per Palazzo Madama.
Tra i reclutati esterni ci sono l’ex procuratore Antimafia Piero Grasso che guiderà le liste in Senato in Lazio e il giornalista anti-camorra, Rosaria Capacchione, capolista in Campania per il Senato. In ci saranno poi saranno l’ex dg di Confindustria, il “bocconiano” Giampaolo Galli (in Lombardia), ma anche l’ex segretario della Cgil Guglielmo Epifani (capolista in Campania 1 alla Camera) e Corradino Minneo (capolista in Sicilia).
E, sempre dal mondo dei sindacati, arriva Giorgio Santini, numero due della Cisl. Diversi i nomi degli esterni di area cattolica. Ci saranno, tra gli altri, Edoardo Patriarca, presidente del Centro Nazionale per il Volontariato ed Ernesto Preziosi, ex presidente dell’Azione Cattolica, la storica Emma Fattorini e Flavia Nardelli, candidata in quota renziana e figlia del segretario Dc Flaminio Piccoli (che dovrebbe correre come capolista in Piemonte 1 “soffiando” all’ultimo il posto di capolista all’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano).
Bersani si dice entusiasta del fatto che vi sono molte donne, il 40% dei candidati e tantissimi giovani ed è sicuro che, al momento, è il Pd “la lepre da inseguire” da parte degli altri schieramenti.
Non sono mancate, comunque, inaspettate rinuncia doc. Enzo Bianco, presidente dei Liberal, che ha fatto sapere che, nonostante la volontà del partito di candidarlo al Parlamento come capolista, lui preferisce correre per la poltrona di sindaco di Catania. E, i in Lombardia, Bruna Brembilla, consigliera provinciale, finita in un’inchiesta per presunti contatti con la ‘ndrangheta.
Ma vi sono anche dei recuperati dell’ultimora: l’attivista gay Paola Concia (terza in lista per il Senato in Abruzzo) ed anche il cattolico ex Ppi Beppe Fioroni, che si è risparmiato le primarie nella sua Viterbo con accesso diretto per chiamata, come accaduto (fra non pochi strepiti) a Franco Marini, Giorgio Merlo, Mauro Agostini, Gian Claudio Bressa e Beppe Lumia.
In questo balletto di nomi e di cifre, gli italiani sono sempre più perplessi, sempre più simili alla maschera di Totò, spettatore scontento di uno spettacolo che non fa nulla per cambiare.
In definitiva un popolo colpevole, eternamente, di delegare tout court la rappresentanza dei suoi interessi personali e sociali, in cambio di un illusorio diritto di bocciatura o promozione a “fine mandato”, il politico di turno, o “acquistando” (come fosse un prodotto commerciale) il “programma” più fantasmagorico possibile, senza preoccuparci di costruire i presupposti di un dialogo costante con i suoi “delegati”.
Colpevole quando rinuncia a chiedere l’ascolto responsabile dei suoi bisogni, esercizio al quale si è ormai cronicamente disabituato, come ci ricordano, spesso e da tempo, il sociologo Giuseppe De Rita e Don Mario Picchi.
Dobbiamo con urgenza imparare ad informarci e chiedere conto a ciascuno dei suoi fatti e non fatti, soprattutto se è un politico e se governa.
A Berlusconi la Gruber, come nostra rappresentante, doveva chiedere da dove venivano i dati sciorinati per difendere l’operato di un governo che è stato sfiduciato a livello internazionale e a Monti, ciascuno di noi, deve chiedere ragione di alcune operazioni che non hanno davvero il sapore di disegni di tecnici, ma piuttosto di finanzieri a cui stanno a cuore solo le banche.
Ha scritto Fellini che, come tutti i grandi clowns, Totò incarnava la storia e i caratteri degli italiani: la nostra fame, la nostra miseria, l’ignoranza, il qualunquismo piccolo borghese, la rassegnazione, la sfiducia, la viltà di Pulcinella. Totò materializza con lunare esilarante eleganza l’eterna dialettica dell’abiezione e della sua negazione. Si è sempre detto, e ancora si sente dire che Totò al cinema è stato usato male, non gli sono state offerte che raramente le occasioni degne del suo eccezionale talento. Ma il grande Fellini non credeva che Totò avrebbe potuto essere meglio, più bravo, diverso da com’era nei film che ha fatto. Totò non poteva fare che Totò, come Pulcinella, che non poteva essere che Pulcinella, cosa altro potevi fargli fare?
Spero che un giorno la storia non debba dire lo stesso di noi italiani di oggi.
Carlo Di Stanislao
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