I progetti e gli investimenti non si comprano, dobbiamo imparare a crearli rigenerando l’immaginario collettivo. Quello aquilano si configura come una entità polifonica, contraddistinta da un ventaglio di “contesti identitari”. Ne elenchiamo appena alcuni. Il primo, manifesta i valori maturati in seno alla città murata. Contrassegnato dal nesso tradizionale tra luogo, cultura e identità, questo contesto vede progetti e strategie come strumenti di consolidamento di una “città-ragno”, dalla ragnatela ambientale disegnata a proprio uso e consumo. Il secondo, fiorito tra le maglie della periferia urbana, si rappresenta come un arcipelago di isole dall’identità fluttuante tra città e campagna, con spazi urbani indefiniti e costellato di centri commerciali, i “nuovi santuari” sorti fuori le mura. Privo di memoria, ancora oggi questo contesto ricerca il nesso tra luogo, cultura e identità e un affrancamento dalla condizione di sudditanza verso il centro. Il terzo, stratificatosi tra gli antichi castelli e le ville, è attraversato da fenomeni di indebolimento delle identità e delle culture rurali; tuttavia mantiene ancora vivo il senso di sacralità dello spazio comunitario. Il quarto contesto, di più recente formazione, è quello che nella “rete” trova nuove opportunità di comunicazione e di scambio. Si alimenta di persone che, pur appartenendo ad altri contesti, vivono in uno spazio virtuale attraverso sistemi di valori e significati condivisi, che tuttavia si allontanano dal modello tradizionale costituito dal nesso tra luogo, cultura e identità. A ciascuna di queste situazioni corrisponde una esperienza identitaria diversa, strategie discorsive e pratiche sociali diverse. Quali progetti, investimenti siamo indotti a proporre all’interno di questi contesti? Come intendiamo rielaborare la conoscenza di altre culture e coniugarle con le politiche dell’identità e dell’appartenenza locale? Nell’universo aquilano si sta producendo un vero e proprio scollamento tra le dimensioni concrete della vita e le immagini di luoghi, culture e identità che vediamo fluttuare nelle sfere della comunicazione mediatica. Il nostro mondo si è popolato di una vera fantasmagoria di esseri e di identità privi di spessore, di movimento, di vita, in cui appaiono fantasmi di culture, simulacri di luoghi, caricature di persone che si frappongono come un filtro alla comprensione degli eventi storici e delle interazioni con i nostri luoghi e le nostre culture reali. Se la nostra attenzione continua a concentrarsi sui singoli tessuti non comprendiamo a fondo ciò che accade attorno. Se focalizziamo lo sguardo sui brani della nuova epidermide propostaci dai media e dal sisma, non capiamo molto. Il nostro sguardo è in gioco! Per comprendere la mutazione che ci vede coinvolti, dobbiamo cambiare l’ottica, adottando uno “sguardo cosmopolita”. Non è così semplice. Per farlo dobbiamo rinnovare il nostro dizionario e mettere a rischio i nostri contesti identitari. Non è facile che ciò avvenga: è più probabile che continuiamo a raccontarci la storia della crisi, del terremoto, piuttosto che ammettere gli insuccessi a cui esponiamo i nostri strumenti d’analisi, i modelli interpretativi. L’adozione di uno sguardo cosmopolita, potrebbe rivelarsi una mossa decisiva per interpretare e comprendere gli ambienti polifonici che risuonano nel nostro universo, e ivi incrociare voci, progetti e investimenti. Il vantaggio competitivo di una città è sempre più il frutto della sua capacità di intuire, anticipare, riconfigurare i suoi possibili legami con l’esterno, che diventa quindi sempre meno esterno. Per far questo l’Aquila dovrebbe ripensare alcuni paradigmi che hanno contraddistinto la “gestione strategica” degli ultimi decenni e passare dalla logica lineare della “catena del valore” a quella della “costellazione del valore”. La costellazione degli attori che potenzialmente gravitano intorno a l’Aquila si fa sempre più ampia. La città deve riconfigurare le sue relazioni e comprendere che ciascun attore ha un proprio sistema di “creazione del valore”. Ritemprata da una “armatura policentrica” l’Aquila deve trasmettere questa sua nuova strategia sull’arcipelago dei centri minori, per farne una rete solidale capace di attrarre investimenti. Il suo sguardo cosmopolita deve quindi spostarsi sul contesto delle tre grandi vallate dell’Abruzzo Interno, per farne un polo di connessione tra il Tirreno e l’Adriatico, sul quale andranno ad attestarsi gli scambi e gli investimenti della costituenda Macroregione europea. Infine l’Aquila deve guidare la rigenerazione di quella grande infrastruttura ecologica rappresentata dalla fascia fluviale dell’Aterno-Pescara, promuovendo inedite forme di concatenazione tra luoghi, culture e identità. Questa visione multietnica e multiculturale traspare già tra le pieghe della vecchia città in decomposizione. Ogni ricerca innovativa non può che alimentarsi di questo carburante e attingere a questi giacimenti. Con una consapevolezza però che la sostenibilità, prima ancora di passare attraverso quella biologica, passa attraverso la pluralità dei punti di vista. Se non si assume tale pluralità come un valore, non si farà altro che generare altre periferie di umanità.
Giancarlo De Amicis
siamo ancora sulle generali. Possiamo cominciare a fare dei progetti concreti di ricostruzione tenendo conto di tutto quello che si è detto?
Ltrimenti è solo sterile esercizio della fantasia,
Comunque ti ringrazio dell’analisi e…vorrei conoscerti per ..continuare a parlarne un po più concretamentte
I progetti concreti sulla ricostruzione vanno eseguiti su precisi incarichi, non le pare?
I progetti concreti sulla ricostruzione vanno eseguiti su precisi incarichi, non le pare?
Comunque fa piacere anche a me conoscerla, visto che finalmente qualcuno si interessa concretamente alla ricostruzione della nostra città. Fino ad ora mi sembra di aver parlato al vento…
Ok, fa piacere anche a me conoscerla, visto che finalmente qualcuno si interessa concretamente alla ricostruzione della nostra città.