Edward Luttwak, storico e analista di geopolitica e intelligence, ai microfoni de “La Zanzara”, su Radio24, ieri ha voluto smentire la notizia secondo la quale l’ambasciata degli Usa in Italia guarda con simpatia al Movimento 5 Stelle ed ha definito senza mezzi termini l’ex comico, il rappresentante di un populismo sfrenato e pericoloso, l’unico attore dell’attuale scena politica italiana che davvero preoccupa l’America.
Quindi, per l’intellettuale americano, Grillo, che promette urlando l’impossibile, è molto più insidioso di Berlusconi che esprime la volontà di ridurre le tasse fiono al condono tombale, di Monti che enfatizzare il valore di un bilancio sano e della credibilità ma a spese di una popolazione allo stremo e di Bersani che rappresenta la speranza di un certo tipo di riformismo dalle idee, comunque, non troppo chiare.
Tuttavia ieri a Milano erano 76.000 le persone che applaudivano Grillo che intimava ai politici di arrendersi perché sono “circondati dal popolo”, facendo crescere la fibrillazione di una marcia trionfale da Torino a Roma, con presa finale, il 22, di piazza San Giovanni, prima della realizzazione della agghiacciante minaccia: “ci vedremo in Parlamento”.
Come a Torino, anche a Milano il Grillo-caudillo , in un crescendo di parole grosse e simboli espugnati, con esasperazione del suo tratto isterico, dice no all’intervista a Sky (“perché non ne abbiamo bisogno”), no alle domande dell’algido Oxford Economics Institute per la ricerca su “quanto costano i programmi dei partiti”, no al cameraman della Rai (giù dal palco senza tanti complimenti, ma con tante risate dei sostenitori-claque), no al cameraman della tv all-news, subito salvato, però, e con aria da grande capo paternalista, nel momento in cui la folla, caricata contro i media-canaglia, si fa insultante.
Come scrive il Fatto Quotidiano, Grillo aggiunge stelle alle cinque del suo simbolo, portandosi dietro Dario Fo (ieri sul palco con lui, a Milano) e Celentano, che gli scrive una canzone e si prepara a sostenerlo sul palco di Roma.
Ma non si può minimizzare come fanno in tanti e come scrive Piero Degli Antoni, i comizi di Grillo non sono solo una festa di piazza, un happening con eleganti signore impellicciate che si fermano cinque minuti e poi se ne vanno, giovani skaters che sfrecciano intorno, il furgoncino che vende caldarroste a 5 euro il pacchetto, il cingalese che cerca di spacciare le sue rose, dei ragazzi che si baciano, turiste giapponesi che fotografano quella folla inaspettata ed agopuntori in cerca di un nuovo Scilopodi.
Il pericolo che rappresenta la rabbia non canalizzata è concreta e può esplodere in un voto che non porterà proprio a nulla.
Quello di Grillo non sarà uno tsnunami ma l’onda è lunga e perigliosa e con sondaggi che lo danno in esplosione.
Con tutte le contraddizioni di un programma più urlato che accorto, con vari no ma senza proposte e sostenitori, come Celentano, che scrivono inni ma dichiarano che poi voteranno Ambrosoli.
Una volta erano i chierici di partito, soprattutto del Pci che faceva a gara per reclutare scrittori e registi alla causa. E per un Italo Calvino che usciva dal Pci dopo l’invasione in Ungheria, c’era un Renato Guttuso pronto a sconfessare perfino Leonardo Sciascia per difendere il segretario del partito comunista. Adesso l’intellighenzia sceglie Grillo e lo proclama suo signore e mecenate. Oltre al giullare che ha portato i giullari alla nobiltà del Nobel, vi è il molleggiato, ma pare anche, l’ormai invisibile tigre di Cremona, mentre sono travagliati gi ex (ormai) Pd, Samuele Bersani e Ligabue ed anche Daniele Silvestri che si è ancor più esposto, mettendo la sua faccia in un videoclip per il M5Stelle campano.
Nell’anno in cui sono nato Hemingway vinceva il Nobel per “Il vecchio e il mare”, esempio di come la coerenza possa insegnare, senza urla e senza rabbia, prima di tutto non a distruggere, ma a ricostruire.
Una storia con una morale malavogliesca ed una sfida con se stessi per diventare davvero migliori, insieme vincitori e vinti, dove ci si guarda alo specchio e si comprende che gli orrori sono dentro ciascuno e non è proiettandoli sugli altri che si risolve la questione.
E mentre Prodi sogna un Bersani, a Porta a Porta, con un giaguaro in mano, i fatti ci restituiscono l’incapacità di un leader che non ha saputo cavare, neanche ieri sera da Vespa, la pelle del caimano, per farne delle borsettine da regalare a quelle “fanciulle in fiore”, delle ….” cene eleganti “…….
Così il giaguaro di peluche, consegnato a Bersani dal maggiordomo televisivo per eccellenza, gli è rimasto affianco, inquietante e crudele, per l’intera trasmissione e la cosa ci ha infastidito più del supposto rientro di Minzoli, assolto, nel suo ruolo di direttore al Tg1.
Carlo Di Stanislao
Ma che schifo di articolo …