Meriterebbe un canto celebrativo per le sue insigni azioni, per i trionfi; un “encomio” solenne e celebrativo, un “epinicio” di Pindaro, dove l’armonia dell’insieme è raggiunta per virtù della costanza dei motivi interiori e il sublime sfiorato e dominato da un inimitabile senso della forma.
Con la gnome morale e religiosa del grande greco vorrei ricordarlo, ma non la sua forza né quella minore (ma pur travalicante i miei mezzi) di Gorgia, Isocrate e Menandro.
Allan Wells lo rimpiange e lo ricorda come il suo “più grande rivale”; un campione in pista e uno straordinario protagonista, dottore commercialista ed avvocato di successo, poi anche eurodeputato, per cinque anni al servizio dei tantissimi che l’avevano applaudito in tv o sulle piste di tutto il mondo.
Nel settembre 2011 fu protagonista e testimonial a Firenze de “La Staffetta dell’Acqua e in quell’occasione si trasformò in “idroforo” e corse una breve tra Piazza Duomo e Piazza della Signoria, con forza e convinzione anche spendendosi ancora una volta per un progetto controccorente: la promozione dell’acqua del rubinetto, fatta bevendo con la borraccia dal fontanello di Piazza della Signoria.
Pietro Mennea, “la freccia del sud”, è morto oggi dopo una vita di vittorie: l’oro olimpico a Mosca nel 1980, il bronzo a Monaco nel 72, l’argento ai Mondiali di Helsinki del 1983, le due medaglie d’oro agli Europei e gli 11 titoli nazionali.
Era lento alla partenza Mennea, come anche il celebre Carl Lewis, ma poi bastavano pochi metri perché il suo movimento si facesse armonioso ed elegante, efficacissimo, irresistibile e vincente.
Non è mai stato uno stilista Mennea, non aveva la grazia e la naturalezza di un Berruti, l’eroe indimenticato di Roma 1960. Ma sui 200 metri, il suo terreno di elezione, Petruzzo sprigionava una forza nervosa, una rabbia agonistica che trasformava i piedi in artigli pronti a graffiare il terreno, a scavare il tartan per trarne una spinta animale, irresistibile per chiunque. E mostruosi erano i suoi finali di gara, quando gli altri declinavano per la violenza dello sforzo e lui veniva fuori, determinato ed irresistibile.
Se ne è andato sulle ali del mito, con la sua faccia da Totò triste, solo raramente aperta al sorriso, perché conosce la durezza della vita.
Ed aveva lo stesso “cielo astrologico” di Totò: Luna Saturno dominante, quadrata all’Ascendente, con un carattere forte e melanconico, con una congiunzione Marte-Mercurio in dodicesima, che rende difficilissima l’esistenza ed il carattere sensibile, capace di prendere su di sé tutti i guasti del mondo.
Come non c’è stoltezza maggiore di una saggezza inopportuna, così non c’è maggior imprudenza di una prudenza distruttrice ci insegna Erasmo nel suo “Elogio della pazzia”, ma lui, al contrario, non chiuse mai un solo occhio di fronte ai malanni (e malaffari) del mondo, perché nella vita non volle mai recitare la parte di un personaggio, ma essere autentico e vero.
I funerali si terranno sabato alle 10, nella Basilica di Santa Sabina a Roma, mente la camera ardente è già stata allestita presso il Coni.
Il primo telegramma a giungere quello di Giorgio Napolitano, che ha inviato anche un cuscino sormontato da una corona di rose bianche e rosse che, col verde del gambo, formano uno splendido tricolore.
E’ stato, con ogni probabilità, il più grande atleta azzurro di tutti i tempi e per ricordarlo, stasera, sarà osservato un minuto di silenzio allo stadio di Ginevra, prima dell’amichevole di calcio Italia Brasile.
Aveva solo 61 anni: una corsa bruciante e breve, chiusasi, per un destino beffardo, proprio nel giorno in cui il mondo celebra la Giornata Internazionale contro le Discriminazioni Razziali, perché lui, Pietruzzo di Barletta, aveva deciso di diventare l’uomo piu’ veloce del pianeta guardando in tv la finale dei 200metri di Messico ’68, con Tommie Smith e col compagno John Carlos, secondo classificato, celebrò a piedi scalzi e col pugno inguantato di nero, per protestare contro il razzismo dilagante negli Stati Uniti.
Scrittore, autore fervido e pungente polemista, contrario ai Giochi di Pechino 2008 come alla candidatura di Roma2020, è stato fermato da un male tanto oscuro quanto spietato, lui figlio del vento, che come il vento è pronto a riapparire in “altri luoghi”.
Carlo Di Stanislao
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