Pre-mandato (e non mandato esplorativo, che è termine improprio) a Pier Luigi Bersani, dopo che il segretario Pd, durante un colloquio che non è stato facilissimo, anche se, si è sentito rinfacciare certe forzature fatte per ottenere l’incarico pieno in modo da arrivare in Parlamento senza prima passare per il Quirinale, che invece è tassello ineludibile nel complesso scacchiere politico attuale.
Ed ora Bersani ce la mette tutta, facendo immaginare un esecutivo con molte presenze tecniche per superare le emergenze economiche e politiche di un Paese che trema pensando a Cipro e alla criticità sociale che lo attanaglia.
“Abbiamo sempre detto – è il ragionamento di Bersani – che questa sarebbe stata una legislatura costituente e non abbiamo certo cambiato idea. Quindi in Parlamento si può dare vita a una Convenzione che si occupi di cambiare la legge elettorale, ridurre il numero dei parlamentari e trasformare il Senato in una camera delle autonomie. È un compito che spetta al Parlamento, ovviamente, ma il governo può fare da stimolo propulsivo”.
Pensa ad una sorta di “Convenzione”, come quella che, dal 1792 al 1795, elaborò la Costituzione della nuova Repubblica francese, lasciando aperta l’ipotesi di governare con i Pentastellati e ribadendo che non appoggerà mai” nessun governo, di qualsiasi tipo e natura, in cui ci sia il Pdl e non il Movimento 5 Stelle”, disposto anche alla verifica interna su questo punto e al confronto con i renitenti Renzi, Franceschini e Letta, forte anche dell’appoggio dei “giovani turchi”, perché come dice Orfini: “Un governo con il Pdl e senza grillini sarebbe il nostro suicidio”.
Il partito, è probabile, si dividerà. Ma su questo Bersani, almeno al momento, non sembra voler fare passi indietro.
Dall’alba del suo mandato, sette anni fa, e dopo sette consultazioni per altrettanti governi, in cui ha sempre predicato condivisione e dialogo, il capo dello Stato ha ripetuto che l’incarico va dato a chi dimostra di avere una maggioranza in Parlamento. Ma dopo il “vivace” incontro di cento minuti con Pier Luigi Bersani e soprattutto dopo aver chiuso le consultazioni senza avere in mano neppure un abbozzo di maggioranza, ora ha deciso di concedere al segretario del Pd la chance di formare il governo, anche se con un mandato con chiari paletti.
Come nota Alberto Gentili, stabilito che la scelta di Bersani è ineluttabile, vista la composizione della Camera (dove il Pd ha la maggioranza assoluta) e quella del Senato (qui i Democrat hanno la maggioranza relativa), Napolitano certo chiederà al presidente del Consiglio incaricato di allargare quanto possibile la maggioranza, come anche di provvedere ad un’integrazione programmatica dei suoi 8 punti, in modo da venire incontro alle esigenze del Paese. Insomma, la speranza del Colle è che Bersani riesca a coinvolgere il più ampio schieramento possibile: probabilmente Scelta civica di Mario Monti.; pssibilmente la Lega, tant’è che Bersani ha già cominciato a parlare di Senato delle autonomie, il vecchio cavallo di battaglia leghista. Ma anche parte del Movimento 5 Stelle e del Pdl. Del resto è evidente la convenienza di Berlusconi a far nascere un governo, sia per evitare le elezioni che per poter condizionare l’elezione del futuro capo dello Stato.
Su Repubblica Francesco Bei e Goffredo De Marchis scrivono che la scommessa di Bersani si gioca tutta nei prossimi tre giorni e nel pacchetto dell’incarico, su sollecitazione di Napolitano, ha dovuto infilare la riforma delle istituzioni e la legge elettorale, da discutere e votare anche con il Pdl di Berlusconi.
Bersani, insomma, nonostante i vari divieti interni, non chiude a nessuno e non può più chiudere al centro-destra.
“Siamo al servizio del cambiamento”, ha detto all’uscita dell’incontro con Napolitano e fatto capire che, per il bene della Nazione, ognuno deve percorre in queste ore la sua via di Damasco e cercare convergenze attorno a temi urgenti e comuni.
Il vero enigma resta il monocrate Grillo, maschera comica e tragica dell’Italia di oggi, col precedente di Guglielmo Giannini, anche lui uomo di spettacolo e grande comunicatore che faceva paura ai partiti del 1946.
Ora, va detto, che il fenomeno è più complesso di quanto appare. Come ha rivelato tempo fa Sabina Ciuffini, ex valletta di Mike Buongiorno e nipote di Giannini, Giannini aveva qualcosa in più del semplice coraggio di un “uomo qualunque”, era arguto, a suo modo mite e si rendeva conto che l’unica arma che avesse disposizione per sfidare i nuovi e i vecchi padroni della politica italiana era la parola, quando gli altri nascondevano i mitra nei fienili.
Sapeva usare le parole e il linguaggio come pochi, per l’apertura mentale datagli dalle esperienze internazionali, per il fatto di essere un bilingue e un viaggiatore, per la sua profonda conoscenza dell’animo umano e dei gusti delle persone. Era figlio della cultura “nobile” di Napoli e del Sud e allo spoglio dei voti per l’Assemblea Costituente, l’”Uomo Qualunque” risultò il quarto partito della rinata democrazia italiana.
Le difficoltà arrivarono dopo, in Assemblea, dal confronto con le vecchie volpi della politica, confronto che a poco a poco lo rese inoffensivo e disarmato, con sbandamenti vistosi di linea. Entrò nella prima legislatura, quella eletta nel ’48, per il rotto della cuffia, e concluse la sua parabola politica nel 1953. Sul sito web della Camera dei Deputati sono disponibili i suoi interventi in aula, come quello relativo ad una interpellanza sulla quantità delle vittime (dell’epurazione) dopo la fine della guerra, stimate in trentamila ma ufficialmente riconosciute in un migliaio.
Vedremo cosa accadrà non a Grillo, che dal parlamento se ne sta prudente fuori, ma ai suoi grillini, già coinvolti nella elezione di Grasso e felici di un questore (Laura Bottici) a Palazzo Madama.
Sembrava un personaggio in cerca di autore, un’invenzione di Pirandello ed era invece un giornalista portoghese rifugiatosi in Francia. Tabucchi ne trasse il nome d’arte da Eliot e da un suo piccolo intermezzo intitolato What about Pereira? in un articolo scritto per Il Gazzettino, contenuto in appendice al volume pubblicato da Feltrinelli e confessò che “Pereira” veniva a visitarlo per chiedergli di essere scritto e che era un giornalista che scriveva contro la dittatura portoghese e che poi, tornato in patria, fu da tutti dimenticato.
Da lui, dice Tabucchi, imparò a diffidare di ogni populismo che, alla fine, diventa mancanza di democrazia e lo scrisse, rivolto a Berlusconi e al berlusconismo su Micromega, su Le Monde e sull’’Unità, beccandosi anche una denuncia da Schifani, con richiesta di risarcimento pari a un milione di euro.
Mi chiedo cosa direbbe oggi di Grillo e del suo movimento, lui che fu capace di andare anche contro gli “intellos” che lo avevano sostenuto, in occasione dell’ultima battaglia civile combattuta contro Cesare Battisti.
Tabucchi non sopportava gli ignoranti, soprattutto quelli che ignorano la Storia e le lezioni che ci impartisce ed aggiungeva, come avevano fatto Silone, Sciascia e Pasolini, che gli artisti sono sempre piccoli David di fronte a enormi Golia e che non sono loro a far cadere i regimi, ma vivendo nell’Attuale, nel loro tempo, nel loro ”ora”, se non altro ne osservano le storture; se non altro, tentano di capire il perché e il quando delle cose, di ciò che non va.
Ed avvertiva di diffidare del contrario su tutto, del qualunquismo travestito da “homme révolté”, come avevano fatto Camus e Pessoa e, nel finale di “Requem”, diceva che ciò che lo scrivere deve fare non è solo avvertire, ma per “inquietare”.
Per questo uso parole inquiete in un periodo inquieto, dove la destra fa finta di accettare tutto per la salvezza della Nazione e quelli che si dicono rivoluzionari si limitano solo a dissentire.
Carlo Di Stanislao
A volte basta un cerino per illuminare l’oscurità. (A. Tabucchi – L’oca al passo).
Tabucchi – schivo di modi e scrittore intimista, ha sentito l’urgenza di denunciare, puntare il dito, interrogare e interrogarsi. Sono cresciuta convinta che “la religione è l’oppio dei popoli”. Oggi dobbiamo tutti ancora scoprire quale sia l’oppio che stiamo assumendo.