Si inaugura giovedì 9 maggio nel Braccio di Carlo Magno in Piazza san Pietro in Vaticano una mostra unica nel suo genere “Argentina – Il Gaucho,Tradizione Arte e Fede”. Per la prima volta in Vaticano e in Italia si presenta il grande patrimonio artistico che ha caratterizzato e caratterizza la storia e le tradizioni del popolo argentino. La rassegna, divisa in diverse sezioni e organizzata da Artifex, è il risultato di un’attenta selezione di opere appartenenti a importanti collezionisti argentini che hanno generosamente messo a disposizione le loro opere, molte delle quali lasceranno il paese per la prima volta. Conoscere l’Argentina, la sua cultura e la sua storia è l’intento dell’esposizione. La fratellanza fra il popolo argentino e italiano la rende un omaggio alle due nazioni che condividono un lungo percorso di storia. La mostra è un riguardoso omaggio a Papa Francesco, alla sua terra, e alle sue origini italiane.
Composta da oltre 200 opere, fra dipinti, stampe, fotografie antiche e artistiche, ori, argenti, preziosi tessuti antichi e moderni e documenti storici, presenta un percorso espositivo articolato in tre sezioni ben definite: la prima iconografica, con dipinti, stampe e libri, la seconda riguarda l’ergologia del “gaucho”, con particolare attenzione agli oggetti in argento e alle manifatture tessili che sono state utilizzate fin dalle origini. La terza è dedicata alla memoria di José Cura Brochero Gabriel del Rosario. Nella prima sezione è ampia la panoramica sui luoghi e le genti, ritratti storici carichi di suggestioni e molte tranche-de-vie raccontano da vicino vita e costumi del popolo argentino. Fra questi spiccano il Gaucho sudamericano di Mauricio Rugendas, il corpus di immagini straordinarie di Celine Frers e Daniel Sempé, le fotografie antiche in albumina che raccontano di gauchos, di contadini nei campi, o rimandano a scene romantiche cariche di intensità e bellezza. Acquerelli e stampe antiche hanno un ruolo importante nella descrizione dei paesaggi, delle pampas, e ancor più quale rimando ai costumi dell’epoca come in La guitarreada, in Bailando gato en el galpòn o in Leva de gauchos.
Con l’arrivo dei colonizzatori l’Argentina conobbe, unitamente al processo di evangelizzazione, la preziosa arte dell’oreficeria. Gli orafi spagnoli trasmisero le più raffinate tecniche per la creazione di oggetti liturgici: ostensori, calici, crocifissi che portarono a notevoli espressioni dell’arte orafa. Fra i metalli preziosi l’argento è stato sfruttato lungamente dai gauchos e dai contadini per la realizzazione di utensili ad uso domestico, per impreziosire l’abbigliamento e per le bardature e i finimenti dei cavalli. Nella parte espositiva che vede protagonisti i manufatti in oro, argento, smalto e pietre preziose, la mostra si apre come un vero e prezioso scrigno su una collezione unica: la collezione Pallarols. Sette generazioni di orafi hanno composto un percorso di fede e arte che vede fra gli oggetti più preziosi lo Stendardo in argento, oro, pietre preziose e smalto realizzato da Carlos Pallarols Cuni, con ricami d’argento eseguiti dalla madre dell’orafo, doña Carolina Cuni, eseguito per la Confraternita del Santissimo Sacramento della Cattedrale Metropolitana della Città di Buenos Aires( 1934). Il Calice in oro, argento e pietre preziose, opera di Carlos Pallarols Cuni (utilizzato nel Congresso Eucaristico del 1934), il Pettorale d’oro realizzato per S.E. Monsignor Enrique Rau, Vescovo del Mar della Plata da Carlos Pallarols Cuni (c.a 1945), l’Incensiere d’argento con figura di uccello realizzato da José Pallarols e Torras (c.a 1920), la Figura di Cristo in argento brillante e il Mate in argento opaco con figure di angeli realizzati da Juan Carlos Pallarols.
José Pallarols y Torras, di origine catalana, si stabilì a Buenos Aires all’inizio del XX secolo. Oggi, Juan Carlos Pallarols che rappresenta la settima generazione è l’orefice più autorevole dell’Argentina. La famiglia, nel tempo, ha risposto alle richieste più importanti della Chiesa e dei committenti argentini. I tesori realizzati dai Pallarols sono parte integrante del patrimonio argentino. Coinvolti nelle vicende politiche del paese, durante il governo peronista Carlos Pallarols Cuni venne chiamato a lavorare al mausoleo di Eva Duarte (Evita Peròn), ma alla caduta del regime i Pallarols dovettero fuggire e riparare nel convento francescano di Corrientes. Di ritorno a Buenos Aires strinsero ancor più i rapporti con la chiesa e con le famiglie più ricche del paese. Dalla bottega, luogo simbolo del fare prezioso, nasce un flusso ininterrotto di opere civili, religiose e istituzionali, come il bastone del comando presidenziale.
La seconda sezione della mostra è dedicata ai gauchos e alla cultura gauchesca. Il gaucho è il personaggio simbolo delle pampas rioplatensi. Abile cavallerizzo e mandriano, figura centrale, fortemente evocativa e parte integrante della storia del paese, accresce la propria storia attraverso il rapido sviluppo dell’allevamento del bestiame bovino ed equino portato dai conquistadores. All’origine, nelle estancias dei Gesuiti che fornivano il bestiame alle missioni che la Compagnia di Gesù amministrava in Paraguay, Brasile, Argentina e Uruguay, i gauchos erano indigeni evangelizzati, creoli di radice ispano-indigena e schiavi neri. Il gaucho, nato in queste circostanze, adotta una personalità ribelle ma molto rispettosa di un codice proprio di giustizia e carico di fede. Da guardiano delle grandi praterie, con la caduta nel 1810 del governo monarchico spagnolo, il gaucho viene inserito nelle file dell’esercito patriota. Nel nord argentino, i gauchos de Güemes capitanati da Martín Miguel de Güemes, scrissero un capitolo importante della storia del paese.
Consolidato il proprio ruolo, non solo economico, all’interno della nuova struttura del paese, il gaucho si caratterizza per il forte gusto di lussuosi finimenti in argento che esibisce con orgoglio nelle feste domenicali, nelle celebrazioni nazionali, durante le battaglie. Con l’avvento della ferrovia il suo ruolo è ridimensionato ma acquista la valenza del mito. Il poema epico Martín Fierro, scritto da José Hernández nel 1872, divenne il libro più importante del secolo. Il modello ergologico dei gauchos venne adottato anche dai proprietari delle estancias e dai cittadini di Buenos Aires. Persino gli emigranti, che dalla fine dell’800 invadono l’Argentina, adottano questo costume locale, bevono il mate e si fanno ritrarre con l’abito del gaucho e la barba finta per mostrare ai parenti lontani la loro nuova vita. A tutti gli effetti i gauchos trasformano la cultura contadina in modello suggestivo e caratteristico, ed emblema della storia rioplatense.
La mostra al Braccio di Carlo Magno presenta un nucleo unico e significativo di argenteria di uso “gauchesco”: erpici, mates, bombillas, brocche, bardature complete, redini, cavezze, staffe, freni, pretales, pastoie, fruste, speroni, accendini, tabacchiere, coltelli “verijeros”, coltelli da cintura. Una intera sezione della mostra sarà dedicata ai “poncho”, realizzati con vari materiali: lana di agnello, seta, cotone e vigogna, di differenti stili, epoche e provenienza (patagonica o settentrionale). Completano la sezione oggetti di abbigliamento per il gaucho e il cavallo, tutti pezzi di rarità eccezionale e altissima qualità. L’ultima sezione della mostra ricorda José Cura Brochero Gabriel del Rosario, sacerdote diocesano di origine argentina e di famiglia cattolica italiana, nato nel 1840 nella città di Santa Rosa de Rio Primero in Provincia di Cordoba. Il 20 Dicembre 2012 Sua Santità Benedetto XVI ha firmato il decreto per la sua beatificazione, un passo ulteriore verso la sua canonizzazione. La proiezione all’interno della mostra di diversi video provenienti dall’Argentina, daranno una significativa testimonianza del paese. Nell’Anno della Fede, la mostra vuole essere testimonianza di uno dei percorsi della storia e della fede in Argentina.
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