Il Napolitano bis fa bene alla borsa e lo spread riprende da 290, con Piazza Affari che apre in rialzo e spinge anche gli altri listini del Vecchio Continente.
Nel giorno dedicato alla Terra, Google sottolinea la circostanza con un doodle speciale, animato e interattivo, che raffigura un paesaggio con fiumi, alberi, montagne, colline e si anima dando vita a un piccolo ecosistema che riproduce il ciclo di una giornata: dal sole si passa alla notte con la luna e il cielo stellato.
Chissà come i disegnatori del colosso ideato da Larry Page e Sergey Brin rappresenterebbero il paesaggio cupo in senso al Partito Democratico, con Barca pronto a fondare un’ala oltranzista, ecologista, dura e pura e Renzi che il giorno dopo l’elezione di Giorgio Napolitano e le dimissioni in blocco del gruppo dirigente lancia la sua sfida ed è pronto a candidare il suo progetto a favore di un “nuovo riformismo”.
Il sindaco di Firenze sprona i democratici ad accettare la sfida di un “infingardo” come Beppe Grillo dettando l’agenda del governo che sta per nascere e sostiene che bisogna abolire il finanziamento pubblico ai partiti, ma anche che la vera trasparenza non è lo streming, ma rendicontare la spesa.
Dice che bisogna appurare cosa ci fa Grillo in Costa Rica e che il futuro governo deve durare il meno possibile e deve guidarlo “qualcuno che appartenga al nostro mondo”.
Poi l’apertura al presidenzialismo, la proposta di cambiare il Porcellum introducendo per le politiche la legge elettorale con cui oggi si eleggono i sindaci e la disponibilità verso Barca che, dice, è persona interessante “anche se non ho ben capito il suo progetto”.
Napolitano parlerà oggi pomeriggio durante la cerimonia di insediamento. I quotidiani scrivono che il Capo dello Stato punta a consultazioni lampo per assegnare l’incarico di formare il nuovo governo già in settimana. Tra le personalità in pista le più insistite sono Giuliano Amato ed Enrico Letta, ma, appena dietro, si mormora anche Alfano.
La stampa di destra, Libero in testa, mette in campo una proposta inedita per uscire dall’impasse politico istituzionale: nominare come premier proprio lui, il democratico eterodosso e sospetto Matteo Renzi e sostiene che “ci sta persino D’Alema”, per cui invita Berlusconi a proporlo a Napolitano per l’incarico di fare un governo con i voti di Pd e Pdl.
Il Giornale, invece, alimenta il sospetto di un complotto per evitare un dialogo (da sinistra e dai grillini definito inciucio) tra Pd e Pdl per un accordo e fa notare come D’Alema e Berlusconi siano stati contemporaneamente raggiunti da gravi accuse a mezzo stampa, scrivendo in apertura che: “Dopo i veleni del ‘Corriere’ su D’Alema, Santoro ricicla le minorenni contro Berlusconi, chiedendosi: “ Cosa c’è dietro?”.
E mentre L’Unità presenta l’idea di partito di Fabrizio Barca, ministro del governo tecnico di Monti , che si propone come esponente nuovo del Pd (ha appena preso la tessera), vuole una forza politica di forma “nuova”, “un partito di sinistra, rinnovato e radicato nel territorio”, sono in molti nel Pd a dire che il nuovo non è solo Renzi.
I giovani turchi si preparano a dare battaglia per non sposare in modo acritico il governissimo e alcuni paventano persino divisioni sul voto di fiducia se il Pd volesse appoggiarne uno politico e mettervi dentro un premier o dei ministri.
Matteo Renzi, invece, manda chiari messaggi e per palazzo Chigi vanno bene Letta, Amato o anche un tecnico, ma a una precisa condizione: sia un esecutivo a termine. E si racconta che uno dei suoi fedelissimi, Graziano Delrio, potrebbe addirittura entrarvi con un dicastero di peso.
Insomma, Renzi oggi si sente un vincitore e dorme tra sette guanciali mentre i suoi sono decisamente più interessati alle dinamiche presenti dentro i gruppi parlamentari che a quelle di partito. Né a Renzi né ai renziani, del resto, questo Pd scalda i cuori.
E nel tutti-contro-tutti di queste ore, sembrano gli unici con un minimo di coesione e prospettiva.
Scrive sul Massaggero Ettore Colombo, che ciò che Renzi ed i suoi auspicano è un direttorio che affianchi Letta e sia formato da big vecchi e nuovi: D’Alema, Veltroni, Marini, Fioroni, Franceschini, Bindi, più un renziano di peso (Gentiloni?) e un Giovane turco (Orlando?).
Alle mani di questo direttorio sarà affidata la tenuta del partito, tra governissimo e avvio delle procedure per il nuovo congresso.
In mezzo, a ratificare il tutto, anche un’Assemblea nazionale che potrebbe essere convocata presto, entro dieci giorni, perché per fare un congresso straordinario (quello ordinario è previsto per ottobre) servono almeno due mesi e dunque l’ipotesi di tenerlo prima dell’estate è difficile, mentre né il partito né soprattutto l’Italia possono aspettare.
Come scrive Claudio Conti, la “crisi della politica” italiana è ora squadernata davanti agli occhi di tutti ed è soprattutto (ma non solo) una crisi della sinistra, in cui sembrava esserci “l’unico partito rimasto” sulla scena italiana, l’unico luogo dove le diverse soluzioni per far fronte alla crisi si trovavano a confronto, con gli euroliberisti duri alla Renzi (gli stessi che seguivano Ichino prima della sua trasmigrazione con Monti), i fiancheggiatori della Cgil (altra organizzazione che deve prepararsi all’esplosione interna), i terminali delle cooperative tosco-emiliane, gli “amministrativisti” che hanno rinunciato a ogni visione di medio periodo e si accontentano di sopravvivere alla giornata.
Ma dopo la bocciatura anche di Romano Prodi, si è oltrepassato per il Pd il punto di non ritorno è composta di fatto l’implosione di un partito mai nato, senza anima, senza progetto e senza idee. Un puro assemblaggio di correnti, interessi diversi, ambizioni personali, incapace di trovare una “quadra” purchessia.
Da quando sono “morte le ideologie” “) a sinistra si è scelto un comportamento politico presuntamente “realista” per cui – in caso di elezioni, quindi una volta ogni due o tre annni – ci si aggregava o divideva in base ad accordi tra forze politiche teoricamente “abbastanza vicine” da poter essere accostate in un “cartello elettorale”. Il principio guida era un altro presupposto senza fondamento: che un partito “progressista” (ce ne sono stati di ogni sfumatura possibile) fosse – per quanto differente – comunque “meno peggio” di uno centrista o addirittura di destra.
La cosa sembrava sensata (nessuno poteva intrupparsi dietro un Berlusconi, naturalmente), ma implicava una rinuncia preliminare alle proprie posizioni politiche. La vicenda di Rifondazione Comunista nelle varie tornate elettorali (con Ulivo e senza, con l’Arcobaleno o con Ingroia) è sufficientemente esplicativa.
Il “bipolarismo coatto convergente al centro”, imposto da leggi elettorali pensate a tavolino per raggiungere questo fine, ha certamente reso “ovvio” un comportamento politico talmente suicida che – alla fine, cioè ora – costringe tanta gente a scervellarsi se la soluzione “meno peggio” sia Renzi, Letta, Amato o Grillo, senza più rendersi neppure conto che tutti questi “nomi” rappresentano pseudo-soluzioni, stracci agitati davanti ad occhi resi furenti per il costo della crisi che ci stanno facendo pagare al’intera Nazione.
Ed è pericoloso, in questo clima che Travaglio scriva che la politica tutta stia leccando “scroto e proostata” a Napolitano e sospetto che sui Libero si legga che il vero cambiamento a sinistra passa dal rottamatore Renzi, perché tutti gli altri, a sinistra, non hanno e non hanno mai avuto una visione futura del Paese.
Carlo Di Stanislao
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