Mente l’Occidente si affanna a stabilire se armare ufficialmente le bande d’opposizione in Siria e quanto, sul terreno si continua a morire nel silenzio e indifferenza generale.
Il numero di morti innocenti cresce e in parallelo aumentano le crudeltà e le atrocità dei modi scelti per assassinarli.
E alcuni dei più eclatanti, chissà come mai, non sono stati ritenuti “degni” di venire denunciati sulla maggior parte dei nostri media.
Ad esempio, si è parlato del gravissimo attentato – sia in termini di vite umane (49 morti) che dal punto di vista simbolico (essendo avvenuto all’interno di una moschea) – del 21 marzo scorso, costato la vita, tra gli altri, allo sheikh ultranovantenne Mohammad Said Ramadan al-Bouti, uomo di cultura, di religione e di pace.
Eppure non si trattava né della prima violenza compiuta in un luogo sacro in questi mesi (basti ricordare sheikh Abdel Latif Al-Shami, torturato davanti alle videocamere e assassinato dopo essere stato rapito mentre si trovava in preghiera nella moschea di Aleppo insieme a una folla di fedeli all’inizio del mese di Ramadan) né tantomeno dell’unico caso di religioso assassinato in Siria (finora se ne contano almeno 13, 2 dei quali di fede cattolica, oltre ai numerosi rapiti o aggrediti).
Pochi giorni più tardi, il 29 marzo, una sorte simile è toccata all’imam della moschea di Al-Hassan, nella zona di Sheikh Maksoud ad Aleppo.
Sheikh Hassan Saif-Eddin, non solo è stato prelevato con la forza e malmenato (come testimoniato in questo video: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=KHc1E3MC3pE), ma dopo la morte il suo corpo è stato trascinato per le vie del quartiere e la sua testa appesa al minareto della moschea, a fare da monito per la popolazione.
Raccontano testimonianze locali, che miliziani del cosiddetto “libero esercito” avevano invaso le vie di Sheikh Maksoud (zona a maggioranza curda, ma abitata anche da alawiti) e avevano ordinato a dipendenti pubblici, alawiti e tutti i filogovernativi di lasciare immediatamente la zona; “in caso contrario, sapremo dove trovarvi”, avevano minacciato dagli altoparlanti.
Uno di loro si è avvicinato al settantenne imam chiedendogli “chi è il tuo leader?” “Dio onnipotente”, ha risposto l’imam; a quel punto l’armato ha replicato “il mio è sheikh Arour” e lo ha colpito e costretto a baciargli le scarpe, chiedendogli di dar loro enormi somme di denaro.
Da tempo, sembra che queste bande non si accontentino di assassinare, ma che vogliano ledere profondamente anche la dignità umana. Una sorte, questa, purtroppo simile a molte altre, oggi in Siria.
Come quanto accaduto il 13 aprile nella zona di Idleb: un elicottero militare stava sorvolando la zona di Marat al-Numa’an quando è stato abbattuto da un gruppo ribelle (quelli sempre descritti scarsamente armati con mezzi di fortuna, per intenderci!). Gli 8 tra ufficiali e militari a bordo sono stati immediatamente catturati, assassinati e decapitati (per giorni in rete è circolata l’immagine agghiacciante di uno di questi criminali fiero con in mano la testa del pilota posta sopra una griglia da campeggio).
Nei video dell’opposizione, ripresi anche dalla rete Orient Tv (http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=iMsnOBTfYSQ) si sostiene che l’elicottero trasportava “shabbiha nordcoreani” (che non vengono mai mostrati) e che è stato colpito perché intenzionato a bombardare la zona da tempo posta sotto assedio (anche se immediatamente dopo si precisa – come dimostrano anche le immagini – che era carico di viveri e pane). Più realistica sembra essere la versione diffusa da fonti filogovernative: ovvero che il veicolo è stato colpito mentre sorvolava una zona assediata con l’intenzione di far arrivare alla popolazione quanto necessario per la sopravvivenza.
Per aggiungere, poi, crimine a crimine, le bande hanno pensato di diffondere le immagini delle teste sulla graticola in alcune delle città e villaggi sotto il controllo dei “combattenti per la libertà” per creare ulteriore panico tra la popolazione.
Ma non sono solo religiosi e militari, come più volte ricordato, le vittime predestinate dei “pacifici rivoltosi”.
Il 17 marzo le “brigate Farouk”, una delle più note bande estremiste di Homs (gli stessi che per mesi avevano assediato il quartiere di Bab Amr), hanno diffuso un avviso per i cittadini di Homs (http://www.syriatruth.org/%D8%A7%D9%84%D8%A3%D8%AE%D8%A8%D8%A7%D8%B1/%D8%A3%D8%AD%D8%AF%D8%A7%D8%AB%D8%A7%D9%84%D8%B3%D9%80%D8%A7%D8%B9%D8%A9/tabid/93/Article/9426/Default.aspx): da quel momento i colpi della loro artiglieria sarebbero caduti sui quartieri abitati dagli alawiti (non che fossero una novità, dal momento che sono mesi che questi quartieri vengono colpiti, ma è la prima volta che si prendono la briga di “preallertarli”).
In effetti, il giorno seguente le zone di al-Zahra e al-Arman (entrambe tradizionalmente abitate da minoranze cristiane e alavate filogovernative) sono state colpite da razzi lanciati da proprio queste bande: 3 morti e 5 feriti solo nel ristretto quartiere di al-Arman (tra cui anche un bambino di 10 anni e un giovane diciassattenne).
Il razzo, caduto a poca distanza dalla scuola elementare della zona residenziale densamente popolata, avrebbe potuto provocare una strage se fosse arrivato solo pochi minuti prima, nell’orario dell’uscita degli studenti. Commovente la reazione degli abitanti del quartiere che si sono stretti intorno alle famiglie colpite con la solidarietà innata dei siriani, tra genitori che non riuscivano a capacitarsi della morte dell’unico figlio e non sapevano come staccarsi dai suoi indumenti fatti a brandelli dall’esplosione e vicini smarriti dall’afflizione improvvisa arrivata a spezzare un giorno di apparente quotidianità.
Il 4 aprile gli abitanti di al-Arman sono stati nuovamente terrorizzati da una pioggia di colpi di mortaio caduti sulle abitazioni intorno a mezzogiorno. I residenti, disperati, sono fuggiti alla ricerca di rifugi di fortuna e le scuole hanno terminato in anticipo le lezioni.nTre civili sono rimasti uccisi, decine feriti e molti i danni materiali.
Poco distante da Homs, nel villaggio di Tal Kalakh, nei pressi del confine libanese, pochi giorni dopo, l’8 aprile, invece si è consumato un terribile massacro nel quartiere di al-Borj operanti sempre dalle bande jihadiste (http://www.almanar.com.lb/french/adetails.php?eid=104879&st=talkalakh&cid=30&fromval=3&frid=18&seccatid=37).
Qualche giorno prima, era stata organizzata una manifestazione con la bandiera siriana per chiedere soccorso: “Salva Tal Kalakh” era scritto su uno degli striscioni dagli abitanti che chiedevano l’allontanamento dei gruppi armati dalla loro città.
Sembra che le 19 vite spezzate siano stati vittima di una spedizione punitiva a causa delle posizioni favorevoli al governo siriano.
Tra le vittime, di cui molti donne e bambini (la vittima più giovane aveva solo 3 anni), otto donne e tre uomini sono stati assassinati a distanza ravvicinata.
E la carrellata di crimini agghiaccianti contro innocenti potrebbe proseguire a lungo.
Un degli ultimi, in ordine di tempo, è quello che si è consumato a Lattakia per mano dei “combattenti per la libertà”.
Mercoledì 10 aprile, Saeed Masoud si era recato, come ogni giorno, a prendere suo figlio, Mulham Masoud, di 10 anni, a scuola, quando un gruppo armato ha fermato e rapito entrambi.
Il figlio è stato impiccato, mentre il padre è stato massacrato. Entrambi i corpi sono poi stati riposti nel bagagliaio dell’auto avvolti dalla bandiera del governatorato francese (quella scelta a simbolo dai criminali “rivoltosi”).
Altri due innocenti che hanno pagato con la vita il loro mancato supporto alla “rivolta
pacifica”, preferendo il sostegno al legittimo governo siriano, nel silenzio e indifferenza generale.
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