Papa Francesco invita i giovani al coraggio della vita cristiana

“Cari giovani, non sotterrate i talenti, i doni che Dio vi ha dato! Non abbiate paura di sognare cose grandi!”(Papa Francesco). “Non abbiate paura di denunciare tutti i peccati a Gesù nel sacramento della confessione – è l’esortazione del Santo Padre Francesco – il Cristo ha il potere di distruggerli sulla croce per la nostra […]

“Cari giovani, non sotterrate i talenti, i doni che Dio vi ha dato! Non abbiate paura di sognare cose grandi!”(Papa Francesco). “Non abbiate paura di denunciare tutti i peccati a Gesù nel sacramento della confessione – è l’esortazione del Santo Padre Francesco – il Cristo ha il potere di distruggerli sulla croce per la nostra salvezza”. Papa Bergoglio attrae tanti giovani, li sospinge verso Gesù Cristo e il rinnovamento pasquale nel mondo. Tutte le barriere, i muri, i confini vengono abbattuti. Speriamo che quest’attrazione cristiana, non soltanto mediatica veicolata dalle nuove tecnologie quantistiche, venga interiorizzata e trasformi i cuori di tante persone, in particolare i cuori dei giovani che sempre più desiderano partecipare agli incontri col Papa. Qual è il segreto del Sommo Pontefice Francesco? Non il compromesso con la mondanità radicale del relativismo etico. Ma la bellezza dell’azione cristiana, cioè della grazia di Dio che salva. I giovani conoscono le parole del Santo Padre Bergoglio come conoscevano le parole di Benedetto XVI e del Beato Giovanni Paolo II. “Ogni domenica, ogni mercoledì – osserva il Cardinale Bertone – sembra una domenica di Pasqua in Piazza San Pietro, è una cosa straordinaria e meravigliosa”. E in 70mila sono arrivati Domenica 28 Aprile 2013 in Vaticano da tutta Italia per incontrare Papa Francesco: 44 giovani hanno ricevuto il Sacramento della Cresima. A loro il Santo Padre ha rivolto parole di grande speranza: parlando a braccio, alla fine dell’omelia ha chiesto di “giocare la vita per grandi ideali. Scommettete su grandi ideali, su cose grandi. Non siamo scelti dal Signore per cosine piccole: andate oltre”. Nell’omelia il Sommo Pontefice propone tre semplici e brevi pensieri su cui riflettere:“nella Seconda Lettura abbiamo ascoltato la bella visione di san Giovanni: un cielo nuovo e una terra nuova, e poi la Città Santa che scende da Dio. Tutto è nuovo, trasformato in bene, in bellezza, in verità; non c’è più lamento, lutto. Questa è l’azione dello Spirito Santo: ci porta la novità di Dio; viene a noi e fa nuove tutte le cose, ci cambia”. Papa Bergoglio annuncia che “lo Spirito ci cambia! E la visione di san Giovanni ci ricorda che siamo tutti in cammino verso la Gerusalemme del cielo, la novità definitiva per noi e per tutta la realtà, il giorno felice in cui potremo vedere il volto del Signore – quel volto meraviglioso, tanto bello del Signore Gesù – potremo essere con Lui per sempre, nel suo amore. Vedete, la novità di Dio non assomiglia alle novità mondane, che sono tutte provvisorie, passano e se ne ricerca sempre di più”. Papa Francesco rivela che l’azione creatrice di Dio è all’opera da sempre, anche in questo istante, come sembra confermare anche la Scienza ufficiale. “La novità che Dio dona alla nostra vita è definitiva, e non solo nel futuro, quando saremo con Lui, ma anche oggi: Dio sta facendo tutto nuovo, lo Spirito Santo ci trasforma veramente e vuole trasformare, anche attraverso di noi, il mondo in cui viviamo. Apriamo la porta allo Spirito, facciamoci guidare da Lui, lasciamo che l’azione continua di Dio, ci renda uomini e donne nuovi, animati dall’amore di Dio, che lo Spirito Santo ci dona! Che bello se ognuno di voi, alla sera potesse dire: oggi a scuola, a casa, al lavoro, guidato da Dio, ho compiuto un gesto di amore verso un mio compagno, i miei genitori, un anziano! Che bello!”. Il secondo pensiero di Papa Bergoglio si focalizza sulla Prima Lettura dove Paolo e Barnaba affermano che “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”(At 14,22). Il Santo Padre insegna che “il cammino della Chiesa, anche il nostro cammino cristiano personale, non sono sempre facili, incontrano difficoltà, tribolazione. Seguire il Signore, lasciare che il suo Spirito trasformi le nostre zone d’ombra, i nostri comportamenti che non sono secondo Dio e lavi i nostri peccati, è un cammino che incontra tanti ostacoli, fuori di noi, nel mondo e anche dentro di noi, nel cuore. Ma le difficoltà, le tribolazioni, fanno parte della strada per giungere alla gloria di Dio, come per Gesù, che è stato glorificato sulla Croce; le incontreremo sempre nella vita! Non scoraggiarsi! Abbiamo la forza dello Spirito Santo per vincere queste tribolazioni”. Dunque, i peccati possono essere distrutti sempre. Il terzo pensiero di Papa Francesco è un invito rivolto “a voi cresimandi e cresimande e a tutti: rimanete saldi nel cammino della fede con la ferma speranza nel Signore. Qui sta il segreto del nostro cammino! Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Sentite bene, giovani: andare controcorrente; questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo coraggio! Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite, se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio nella nostra vita. Questo anche e soprattutto se ci sentiamo poveri, deboli, peccatori, perché Dio dona forza alla nostra debolezza, ricchezza alla nostra povertà, conversione e perdono al nostro peccato. E’ tanto misericordioso il Signore: sempre, se andiamo da Lui, ci perdona. Abbiamo fiducia nell’azione di Dio! Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni. Scommettete sui grandi ideali, sulle cose grandi. Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali, giovani! Novità di Dio, tribolazione nella vita, saldi nel Signore. Cari amici, spalanchiamo la porta della nostra vita alla novità di Dio che ci dona lo Spirito Santo, perché ci trasformi, ci renda forti nelle tribolazioni, rafforzi la nostra unione con il Signore, il nostro rimanere saldi in Lui: questa è una vera gioia! Così sia”. Siamo tutti chiamati ad accogliere “la novità di Dio nella nostra vita”. Il pensiero del Papa è poi corso alle vittime del crollo di una fabbrica in Bangladesh. Papa Francesco, solidale con il dolore dei familiari degli oltre trecento operai tessili periti nel tragico incidente di mercoledì scorso a Dacca in Bangladesh, ha invocato dignità e sicurezza per tutti i lavoratori nel mondo. “In questo momento speciale desidero elevare una preghiera per le numerose vittime causate dal tragico crollo di una fabbrica in Bangladesh. Esprimo la mia solidarietà e profonda vicinanza alle famiglie che piangono i loro cari e rivolgo dal profondo del cuore un forte appello affinché sia sempre tutelata la dignità e la sicurezza del lavoratore”. Rivolto a tutti i fedeli, in un clima di grande gioia e serenità, Papa Bergoglio ha ricordato che “la Vergine Maria ci insegna che cosa significa vivere nello Spirito Santo e che cosa significa accogliere la novità di Dio nella nostra vita”. Per questo il Papa Francesco ha affidato tutti i cresimati alla Madonna: “ogni cristiano, ognuno di noi, è chiamato ad accogliere la Parola di Dio, ad accogliere Gesù dentro di sé e poi portarlo a tutti. E se Maria ha invocato lo Spirito con gli Apostoli nel cenacolo: anche noi, ogni volta che ci riuniamo in preghiera, siamo sostenuti dalla presenza spirituale della Madre di Gesù, per ricevere il dono dello Spirito e avere la forza di testimoniare Gesù risorto. Questo lo dico in modo particolare a voi, che oggi avete ricevuto la Cresima: Maria vi aiuti ad essere attenti a quello che il Signore vi chiede, e a vivere e camminare sempre secondo lo Spirito Santo!”. C’è chi affronta la sofferenza mantenendo viva la gioia che nasce dallo Spirito, come i cristiani perseguitati ancora oggi in tante parti del mondo, e chi invece “usa il denaro per comprare favori” e patteggiare, o “la calunnia per diffamare e cercare aiuto dai potenti della terra” e magari dileggia quanti cercano di vivere nella gioia cristiana la loro stessa sofferenza. Su questo confronto si è fermato Papa Francesco Sabato 27 Aprile, all’omelia della messa celebrata nella Domus Sanctae Marthae. Il Papa in particolare si è soffermato sulla pagina degli Atti degli apostoli (13, 44-52) che narra proprio il confronto tra due comunità religiose: quella dei discepoli e quella che il Pontefice ha definito “dei giudei chiusi, perché non tutti i giudei erano così”. Nella comunità dei discepoli, spiega il Santo Padre, si attuava il comando di Gesù – “Andate e predicate” – e dunque si predicava e quasi tutta la città si radunava per ascoltare la parola del Signore. E, nota Papa Francesco, si era diffusa tra la gente un’atmosfera di felicità che “sembrava non sarebbe mai stata vinta”. Quando i giudei videro tanta felicità “furono ricolmi di gelosia e incominciarono a perseguitare” questa gente che “non era cattiva; erano persone buone, che avevano un atteggiamento religioso”. Il Papa si chiede: “perché lo hanno fatto? Semplicemente perché avevano il cuore chiuso, non erano aperti alla novità dello Spirito Santo. Credevano che tutto fosse stato detto, che tutto fosse come loro pensavano che dovesse essere e perciò si sentivano come difensori della fede. Incominciarono a parlare contro gli apostoli, a calunniare”. La calunnia. “Questo è un atteggiamento che si riscontra nel cammino della storia; è proprio dei “gruppi chiusi patteggiare col potere; risolvere le questioni “fra noi”. Come hanno fatto quelli che, la mattina della risurrezione, quando i soldati sono andati a dir loro: “Abbiamo visto questo”, gli hanno imposto “State zitti! Prendete…” e con i soldi hanno coperto tutto. Questo è proprio l’atteggiamento di questa religiosità chiusa, che non ha la libertà di aprirsi al Signore”. Nella loro vita pubblica “per difendere sempre la verità, perché credono di difendere la verità” scelgono “la calunnia, il chiacchierare. Davvero sono comunità chiacchierone, che parlano contro, distruggono l’altro” e guardano solo a se stesse, come fossero al riparo di un muro. “Invece la comunità libera – fa notare Papa Francesco – con la libertà di Dio e dello Spirito Santo, andava avanti. Anche nelle persecuzioni. E la parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. È proprio della comunità del Signore andare avanti, diffondersi, perché il bene è così: si diffonde sempre! Il bene non si piega dentro. Questo è un criterio, un criterio di Chiesa. Anche per il nostro esame di coscienza: come sono le nostre comunità, le comunità religiose, le comunità parrocchiali? Sono comunità aperte allo Spirito Santo, che ci porta sempre avanti per diffondere la parola di Dio o sono comunità chiuse?”. La persecuzione – spiega il Pontefice – comincia per motivi religiosi, per gelosia, ma anche per come si parla:“la comunità dei credenti, quella libera dello Spirito Santo, parla con la gioia. I discepoli erano pieni di gioia di Spirito Santo. Parlano con la bellezza, aprono strade: avanti sempre, no? Invece la comunità chiusa, sicura di se stessa, quella che cerca la sicurezza proprio nel patteggiare col potere, nei soldi, parla con parole ingiuriose: insultano, condannano”. Per sottolineare la mancanza d’amore nelle comunità cosiddette chiuse Papa Francesco avanza il dubbio che questa gente “forse dimentica le carezze della mamma, quando erano piccoli. Queste comunità non sanno di carezze; sanno di dovere, di fare, di chiudersi in una osservanza apparente. Gesù gli aveva detto:“Voi siete come una tomba, come un sepolcro, bianco, bellissimo, ma niente di più”. Pensiamo oggi alla Chiesa, tanto bella. Questa Chiesa che va avanti. Pensiamo ai tanti fratelli che soffrono per questa libertà dello Spirito e soffrono persecuzioni, adesso, in tante parti. Ma questi fratelli, nella sofferenza, sono pieni di gioia e di Spirito Santo. Questi fratelli, queste comunità aperte, missionarie, pregano Gesù perché sanno che è vero quello che ha detto e che abbiamo sentito adesso:“Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la faro”. La preghiera è Gesù. Le comunità chiuse pregano i poteri della terra perché li aiutino. E quella non è una buona strada. Guardiamo Gesù che ci invia ad evangelizzare, ad annunciare il suo nome con gioia, pieni di gioia. Non abbiamo paura della gioia dello Spirito. E mai, mai immischiamoci in queste cose che, alla lunga, ci portano a chiuderci in noi stessi. In questa chiusura non c’è la fecondità e la libertà dello Spirito”. Papa Bergoglio rivela che “la fede non è né una alienazione né una truffa”, ma “è un cammino concreto di bellezza e di verità, tracciato da Gesù”, per preparare i nostri occhi a fissare senza occhiali “il volto meraviglioso di Dio” nel posto definitivo che è preparato per ciascuno. È un invito a non farsi prendere dalla paura ed a vivere la vita come una preparazione a vedere meglio, ascoltare meglio e amare di più. Papa Francesco centra un’altra omelia sul passo evangelico di San Giovanni (14, 1-6):“Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via”. Queste “parole di Gesù – spiega il Pontefice – sono proprio parole bellissime. In un momento di congedo, Gesù parla ai suoi discepoli proprio dal cuore. Lui sa che i suoi discepoli sono tristi, perché si accorgono che la cosa non va bene. Ecco, allora, che Gesù li incoraggia, li rincuora, li rassicura, propone loro un orizzonte di speranza:“Non sia turbato il vostro cuore!”. E comincia a parlare così, come un amico, anche con l’atteggiamento di un pastore. Io dico: la musica di queste parole di Gesù è l’atteggiamento del pastore, come il pastore fa con le sue pecorelle. Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. Pronunciate queste parole, secondo la narrazione evangelica di San Giovanni, “Gesù – afferma il Papa – comincia a parlare: di che? Del cielo, della patria definitiva. “Abbiate fede anche in me: io rimango fedele” è come se dicesse questo. E utilizzando la metafora, la figura dell’ingegnere, dell’architetto dice loro quello che andrà a fare: vado a prepararvi un posto, nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. E Gesù va a prepararci un posto”. Com’è questa preparazione? Come avviene? Com’è quel posto? Cosa significa preparare il posto? Affittare una stanza lassù? Sono le domande del Pontefice. “Preparare il posto  significa preparare la nostra possibilità di godere, la nostra possibilità di vedere, di sentire, di capire la bellezza di quello che ci aspetta, di quella patria verso la quale noi camminiamo. E tutta la vita cristiana è un lavoro di Gesù, dello Spirito Santo per prepararci un posto, prepararci gli occhi per poter vedere”. Papa Bergoglio rivela il comune senso delle cose: “ma, Padre, io vedo bene! Non ho bisogno degli occhiali!”. Ma “quella è un’altra visione. Pensiamo a quelli che sono malati di cataratta e devono farsi operare la cataratta: loro vedono, ma dopo l’intervento cosa dicono? Mai ho pensato che si potesse vedere così, senza occhiali, tanto bene! Gli occhi nostri, gli occhi della nostra anima hanno bisogno, hanno necessità di essere preparati per guardare quel volto meraviglioso di Gesù. Si tratta, allora, di preparare l’udito per poter sentire le cose belle, le parole belle. E principalmente preparare il cuore: preparare il cuore per amare, amare di più. Nel cammino della vita – spiega il Pontefice – il Signore sempre fa questo: con le prove, con le consolazioni, con le tribolazioni, con le cose buone. Tutto il cammino della vita è un cammino di preparazione. Alcune volte il Signore deve farlo in fretta, come ha fatto con il buon ladrone: aveva soltanto pochi minuti per prepararlo e l’ha fatto. Ma la normalità della vita è andare così: lasciarsi preparare il cuore, gli occhi, l’udito per arrivare a questa patria. Perché quella è la nostra patria”. Papa Francesco mette in guardia dal perdere di vista questa dimensione fondamentale della nostra vita e del cammino di fede e dalle obiezioni di chi non riconosce una prospettiva di eternità. “Ma, Padre, io sono andato da un filosofo e mi ha detto che tutti questi pensieri sono una alienazione, che noi siamo alienati, che la vita è questa, il concreto, e di là non si sa cosa sia…”. Alcuni la pensano così, rivela Papa Francesco. “Ma Gesù ci dice che non è così: abbiate fede anche in me. Questo che io ti dico è la verità: io non ti truffo, io non ti inganno. Siamo in cammino verso la patria, noi figli della stirpe di Abramo, come dice san Paolo” negli Atti degli Apostoli (13, 26-33). “E dal tempo di Abramo – fa notare Papa Bergoglio – siamo in cammino, con quella promessa della patria definitiva. Se noi andiamo a leggere il capitolo undicesimo della lettera agli Ebrei troveremo quella bella figura dei nostri antenati, dei nostri padri, che hanno fatto questo cammino verso la patria e la salutavano da lontano. Prepararsi al Cielo è incominciare a salutarlo da lontano. Questa non è alienazione: questa è la verità, questo è lasciare che Gesù prepari il nostro cuore, i nostri occhi per quella bellezza tanto grande. È il cammino della bellezza. Anche il cammino del ritorno alla patria”. Papa Francesco auspica “che il Signore ci dia questa speranza forte, ci dia anche il coraggio di salutare la patria da lontano, ci dia l’umiltà di lasciarci preparare, cioè di lasciare il Signore preparare la dimora, la dimora definitiva, nel nostro cuore, nei nostri occhi e nel nostro udito”. Già nell’Udienza Generale di Mercoledì 24 Aprile 2013 in Piazza San Pietro, Papa Bergoglio insegna che “nel Credo noi professiamo che Gesù di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. La storia umana ha inizio con la creazione dell’uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio e si chiude con il giudizio finale di Cristo. Spesso si dimenticano questi due poli della storia, e soprattutto la fede nel ritorno di Cristo e nel giudizio finale a volte non è così chiara e salda nel cuore dei cristiani. Gesù, durante la vita pubblica, si è soffermato spesso sulla realtà della sua ultima venuta. Oggi vorrei riflettere su tre testi evangelici che ci aiutano ad entrare in questo mistero: quello delle dieci vergini, quello dei talenti e quello del giudizio finale. Tutti e tre fanno parte del discorso di Gesù sulla fine dei tempi, nel Vangelo di san Matteo. Anzitutto ricordiamo che, con l’Ascensione, il Figlio di Dio ha portato presso il Padre la nostra umanità da Lui assunta e vuole attirare tutti a sé, chiamare tutto il mondo ad essere accolto tra le braccia aperte di Dio, affinché, alla fine della storia, l’intera realtà sia consegnata al Padre. C’è, però, questo “tempo immediato” tra la prima venuta di Cristo e l’ultima, che è proprio il tempo che stiamo vivendo. In questo contesto del “tempo immediato” si colloca la parabola delle dieci vergini (cfr Mt 25,1-13). Si tratta di dieci ragazze che aspettano l’arrivo dello Sposo, ma questi tarda ed esse si addormentano. All’annuncio improvviso che lo Sposo sta arrivando, tutte si preparano ad accoglierlo, ma mentre cinque di esse, sagge, hanno olio per alimentare le proprie lampade, le altre, stolte, restano con le lampade spente perché non ne hanno; e mentre lo cercano giunge lo Sposo e le vergini stolte trovano chiusa la porta che introduce alla festa nuziale. Bussano con insistenza, ma ormai è troppo tardi, lo Sposo risponde: non vi conosco. Lo Sposo è il Signore, e il tempo di attesa del suo arrivo è il tempo che Egli ci dona, a tutti noi, con misericordia e pazienza, prima della sua venuta finale; è un tempo di vigilanza; tempo in cui dobbiamo tenere accese le lampade della fede, della speranza e della carità, in cui tenere aperto il cuore al bene, alla bellezza e alla verità; tempo da vivere secondo Dio, poiché non conosciamo né il giorno, né l’ora del ritorno di Cristo. Quello che ci è chiesto è di essere preparati all’incontro – preparati ad un incontro, ad un bell’incontro, l’incontro con Gesù -, che significa saper vedere i segni della sua presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti, essere vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio. La vita dei cristiani addormentati è una vita triste, non è una vita felice. Il cristiano dev’essere felice, la gioia di Gesù. Non addormentarci! La seconda parabola, quella dei talenti, ci fa riflettere sul rapporto tra come impieghiamo i doni ricevuti da Dio e il suo ritorno, in cui ci chiederà come li abbiamo utilizzati (cfr Mt 25,14-30). Conosciamo bene la parabola: prima della partenza, il padrone consegna ad ogni servo alcuni talenti, affinché siano utilizzati bene durante la sua assenza. Al primo ne consegna cinque, al secondo due e al terzo uno. Nel periodo di assenza, i primi due servi moltiplicano i loro talenti – queste sono antiche monete -, mentre il terzo preferisce sotterrare il proprio e consegnarlo intatto al padrone. Al suo ritorno, il padrone giudica il loro operato: loda i primi due, mentre il terzo viene cacciato fuori nelle tenebre, perché ha tenuto nascosto per paura il talento, chiudendosi in se stesso. Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano… non è cristiano! E’ un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato! Questo ci dice che l’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione – noi siamo nel tempo dell’azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo. E in particolare in questo tempo di crisi, oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all’altro. Nella piazza, ho visto che ci sono molti giovani: è vero, questo? Ci sono molti giovani? Dove sono? A voi, che siete all’inizio del cammino della vita, chiedo: Avete pensato ai talenti che Dio vi ha dato? Avete pensato a come potete metterli a servizio degli altri? Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi! Infine, una parola sul brano del giudizio finale, in cui viene descritta la seconda venuta del Signore, quando Egli giudicherà tutti gli esseri umani, vivi e morti (cfr Mt 25,31-46). L’immagine utilizzata dall’evangelista è quella del pastore che separa le pecore dalle capre. Alla destra sono posti coloro che hanno agito secondo la volontà di Dio, soccorrendo il prossimo affamato, assetato, straniero, nudo, malato, carcerato – ho detto “straniero”: penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma: cosa facciamo per loro? – mentre alla sinistra vanno coloro che non hanno soccorso il prossimo. Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi. Certo, dobbiamo sempre tenere ben presente che noi siamo giustificati, siamo salvati per grazia, per un atto di amore gratuito di Dio che sempre ci precede; da soli non possiamo fare nulla. La fede è anzitutto un dono che noi abbiamo ricevuto. Ma per portare frutti, la grazia di Dio richiede sempre la nostra apertura a Lui, la nostra risposta libera e concreta. Cristo viene a portarci la misericordia di Dio che salva. A noi è chiesto di affidarci a Lui, di corrispondere al dono del suo amore con una vita buona, fatta di azioni animate dalla fede e dall’amore. Cari fratelli e sorelle, guardare al giudizio finale non ci faccia mai paura; ci spinga piuttosto a vivere meglio il presente. Dio ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore. Il Signore, al termine della nostra esistenza e della storia, possa riconoscerci come servi buoni e fedeli. Grazie”. Quindi “non si può credere in Gesù senza la Chiesa”, e se i cristiani non sono “pecore di Gesù”, la loro è una fede “all’acqua di rose”. Lo dichiara senza mezzi termini Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta il 23 Aprile nella Cappella Paolina in Vaticano. Nel giorno della memoria liturgica di San Giorgio, nel quale festeggia l’onomastico, il Pontefice ha concelebrato la Messa con i cardinali residenti a Roma, esortando ancora una volta a non “negoziare” con la mondanità. Voler vivere con Gesù ma senza la Chiesa è un’assurdità, aveva detto Paolo VI. “Non si può credere in Gesù senza la Chiesa” – gli fa eco Papa Bergoglio. È la Chiesa la madre dei cristiani, non c’è un luogo diverso dove potersi dire tali. Lo avevano compreso duemila anni fa ad Antiochia, dove per la prima volta i cristiani furono chiamati così. E lo ha voluto rimarcare Papa Francesco enucleando tre insegnamenti dalla lettura degli Atti degli Apostoli. In essa si parla dei cristiani che, sfuggiti alle persecuzioni a Gerusalemme, si sparpagliano tra Fenicia, Cipro e Antiochia annunciando dovunque il Vangelo. “La lettura di oggi – osserva Papa Francesco al primo punto dell’omelia pronunciata a braccio – mi fa pensare che proprio nel momento in cui scoppia quella persecuzione, scoppia la missionarietà della Chiesa”. Quell’annuncio nato spontaneamente agita gli Apostoli che quindi reagiscono. “Ma a Gerusalemme qualcuno, quando ha sentito questo, è diventato un po’ nervoso e hanno inviato Barnaba in ‘visita apostolica’; forse con un po’ di senso dell’umorismo possiamo dire che questo sia l’inizio teologico” della Congregazione per “la Dottrina della Fede: questa visita apostolica di Barnaba. Lui ha visto, e ha visto che le cose andavano bene. E la Chiesa così è più Madre, Madre di più figli, di molti figli”. La Chiesa che, sola, genera alla fede è il secondo punto dell’omelia di Papa Francesco. La Chiesa è “Madre che ci dà la fede, Madre che ci dà l’identità. Ma l’identità cristiana non è una carta d’identità: la identità cristiana è l’appartenenza alla Chiesa, perché tutti questi appartenevano alla Chiesa, alla Chiesa Madre. Perché, trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile. E quella Chiesa Madre che ci dà Gesù ci dà l’identità che non è soltanto un sigillo: è un’appartenenza. Identità significa appartenenza”. Il terzo tema della riflessione del Papa riguarda la gioia che nasce nel cuore di chi evangelizza, la stessa sperimentata da Barnaba una volta constatato ad Antiochia che l’annuncio ispirato di quei cristiani sta facendo meraviglie. Un annuncio, ricorda Papa Francesco, che “incomincia con una persecuzione, con una tristezza grande, e finisce con la gioia:
se noi vogliamo andare un po’ sulla strada della mondanità, negoziando con il mondo, mai avremo la consolazione del Signore. E se noi cerchiamo soltanto la consolazione, sarà una consolazione superficiale, non quella del Signore: una consolazione umana. La Chiesa sempre va tra la Croce e la Resurrezione, tra le persecuzioni e le consolazioni del Signore. E questo è il cammino: chi va per questa strada non si sbaglia”. Papa Francesco sottolinea sempre, con parole decise, l’identità della fede. “Non si può credere in Gesù senza la Chiesa”. Cita Gesù che nel Vangelo dice:“Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore!”. Allora, il Pontefice è chiaro:“se non siamo ‘pecore di Gesù’, la fede non viene. È una fede all’acqua di rose, una fede senza sostanza. Chiediamo al Signore questa parresìa, questo fervore apostolico, che ci spinga ad andare avanti, come fratelli, tutti noi: avanti! Avanti, portando il nome di Gesù nel seno della Santa Madre Chiesa e, come diceva Sant’Ignazio, gerarchica e cattolica”. Infatti “vergognarsi dei propri peccati è la virtù dell’umile che prepara ad accogliere il perdono di Dio” – dichiara Papa Francesco che, commentando la prima Lettera di San Giovanni in cui si dice che “Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna”, sottolinea come “tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita”, momenti “dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio”, ma questo – precisa il Pontefice – non significa camminare nelle tenebre.
“Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso; essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre! Quando uno va avanti su questa strada proprio delle tenebre, non è facile tornare indietro. Perciò Giovanni continua, perché forse questo modo di pensare lo ha fatto riflettere: ‘Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi’. Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti. Questo è il punto di partenza. Ma se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta – vero? – quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona”. Papa Bergoglio insegna che “quando il Signore ci perdona fa giustizia innanzitutto a se stesso, perché Lui è venuto per salvare e perdonarci, accogliendoci con la tenerezza di un padre verso i figli: il Signore è tenero verso quelli che lo temono, verso quelli che vanno da Lui e con tenerezza ci capisce sempre, vuole donarci quella pace che soltanto Lui dà. Questo è quello che succede nel Sacramento della Riconciliazione anche se tante volte pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria per pulire la sporcizia sui nostri vestiti. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria: è un incontro con Gesù, ma con questo Gesù che ci aspetta, ma ci aspetta come siamo. ‘Ma Signore, senti sono così…’, ma ci fa vergogna dire la verità: ‘Ho fatto questo, ho pensato questo’. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana, la capacità di vergognarsi: io non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono ‘sin vergüenza’: questo è ‘un senza vergogna’, perché non ha la capacità di vergognarsi e vergognarsi è una virtù dell’umile, di quell’uomo e di quella donna che è umile.
Occorre avere fiducia perché quando pecchiamo abbiamo un difensore presso il Padre: “Gesù Cristo, il giusto”. E Lui “ci sostiene davanti al Padre” e ci difende di fronte alle nostre debolezze. Ma è necessario mettersi di fronte al Signore “con la nostra verità di peccatori”, “con fiducia, anche con gioia, senza truccarci. Non dobbiamo mai truccarci davanti a Dio!”. E la vergogna è una virtù. “Benedetta vergogna. Questa è la virtù che Gesù chiede a noi: l’umiltà e la mitezza. Umiltà e mitezza sono come la cornice di una vita cristiana. Un cristiano va sempre così, nell’umiltà e nella mitezza. E Gesù ci aspetta per perdonarci. Possiamo fargli una domanda: allora andare a confessarsi non è andare a una seduta di tortura? No! È andare a lodare Dio, perché io peccatore sono stato salvato da Lui. E Lui mi aspetta per bastonarmi? No, con tenerezza per perdonarmi. E se domani faccio lo stesso? Vai un’altra volta, e vai e vai e vai. Lui sempre ci aspetta. Questa tenerezza del Signore, questa umiltà, questa mitezza. Questa fiducia ci dà respiro. Il Signore ci dia questa grazia, questo coraggio di andare sempre da Lui con la verità, perché la verità è luce e non con la tenebra delle mezze verità o delle bugie davanti a Dio. Che ci dia questa grazia! E così sia”. In un mondo “sin vergüenza”, è questo il messaggio che schiaccia la testa del serpente accusatore. Il segreto di Papa Francesco, di Papa Benedetto XVI e di tutti i santi pontefici, laici e martiri della fede? È la Persona di Gesù Cristo. Non c’è altro Nome sulla Terra, sotto Terra e nei Cieli Nel Quale, distrutti i nostri peccati, si può essere salvati e Nel Quale si può acquistare la Vita Eterna: Gesù.

© Nicola Facciolini

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