In Turchia continuano gli scontri con un bilancio provvisorio di 3 morti e oltre 4.000, di cui una quarantina (fra cui l’attivistaa Abdullah Comert, 22 anni, esponente dell’ala giovanile del Partito del popolo Repubblicano), in modo grave.
Il governo ha deciso di cambiare strategia e rispondendo agli appelli alla moderazione formulati da diversi politici e alle scuse presentate dal vice premier Bulent Arinc, ha deciso di aprire un dialogo con i manifestanti. E’ quanto riporta il quotidiano ‘Hurriyet’, che descrive gli agenti di polizia in piazza Kizilay, nella capitale, adesso non impegnati a reprimere con ma a spiegare ai contestatori che risponderanno solo se attaccati. E’ una sorta di ”diplomazia pubblica” la nuova strategia di comunicazione adottata dagli agenti, che risponde a un ordine preciso dei superiori dopo i toni conciliatori usati dal vice premier.
Proprio in piazza Kizilay la polizia è stata applaudita dai manifestanti per la sua decisione di restare schierata senza intervenire.
Un’altra guerra, oltre a quella terna siriana, si combatte in questi gioorni, di tutt’altro genere ma, in fondo, non meno feroce.
Illustrandio un documento della Commissione Europea, il Commisario per il Commercio Karel De Gucht, ha detto, in confeenza stampa, che la Commissione “ha deciso all’unanimita’ di imporre dazi sulle importazioni di pannelli solari cinesi”, decisione presa con 24 ore di anticipo rispetto al calendario e deciso, comunque, di non portare subito i dazi al 47%, per lasciare spazio ad ulteriori trattative con la Camera di Commercio di Pechino.
La Cina rteagisce, naturalmente, come accade in guerra e decide l’apertura di un’indagine anti dumping nei confronti del vino importato dall’Unione europea, mettendo in serio n trend che negli ultimi tre anni ha visto quadruplicare le vendite di bottiglie made in Italy sul mercato asiatico, con esportazione, dal 2008 ad oggi passate da ujn valore di 19 a 77 milioni di euro.
Un grave pericolo per la nostra economia già boccheggiante, che si apprende assieme al dato che la crisi ha provocato la distruzione del 15,3% del potenziale manifatturiero italiano, con una punta del 41,2% negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in 14 settori su 22.
In condizioni analoghe a quelle italiane versano le industrie francesi e spagnole, ma noi siamo quelli messi peggio con la chiusura, in 4 anni, di 55.000 imprese.
Il quadro che emerge negli scenari industriali tracciati dal Centro studi di Confindustria pubblicato oggi, evidenzia che uno dei principli ostacoli è rappresentato dalla carenza di liquidità e di finanziamenti che “mette a rischio di fallimento anche le imprese sane”: lo stock di prestiti si é ridotto soprattutto nell’industria, sceso di 26miliardi di euro tra il 2011 e il 2013 (-10,1%), nelle costruzioni (-9 miliardi) e nelle attività immobiliari e professionali (-14 miliardi), più contenuto il calo nel commercio, trasporto e comunicazioni (-2 miliardi).
Per cui è assolutamente necessario “rompere il circolo vizioso recessione-credit crunch e sviluppare canali alternativi di finanziamento”.
C’è un altro percolo giallo che ci riguarda da qualche giorno, più precisamente dal 23 maggio con il crolo di oltre sette punti della borsa di Tokio, derivante dal rallentamento della locomativa economica cinese (con, per la prima volta in sette mesi Pmi negativo) e dalle dichiarazioni del presidente della Federal Reserve americana, Ben Bernanke, che ha parlato per la prima volta di una possibile uscita, non nel breve periodo, dell’attuale fase di stimolo dell’economia Usa.
Lo tsumani è pasata per il Pacifico e si è abbattuta in pieno sulle borse del Vecchio Continente, vanificando l’exit strategy della Fed, che ha finora continuato a pompare liquidità nel sistema nel tentativo di sostenere la crescita statunitense, che ora preoccupa particolarmente i mercati anche alla luce dei dati a stelle e strisce che hanno fatto registrare un calo nelle richieste di disoccupazione superiore al previsto a quota 340mila.
Al centro, comunque, anche in questo caso la Cina che deve fare i conti con il crollo degli ordini, con l’incubo dell’inflazione e con il rischio di una frenata dell’economia che potrebbe avere serie ripercussioni in tutta l’area, a cominciare dal Giappone, in cui è già iniziato un movimento di vendite sulla piazza nipponica per conseguire ealizzi, cosa che aucuita l’ansia degli operatori del Sol già in fibrillazione perché la BoJ, ovvero la loro banca centrale n, che pure in questi mesi aveva rifornito il sistema di eccessiva liquidità, non ha rassicurato circa la volontà di stabilizzare i tassi di interessi dei titoli di stato apparsi nell’ultimo periodo estremamente volatili.
L’ipotesi (avvalorata dai recenti dissidi fra pannelli e vino), che da giugno la Fed rallenti l’acquisto di Bond a stelle e strisce e la volatilità del mercato obbligazionario giapponese hanno avuto immediato riflesso sui mercati obbligazionari europei con lo spread tornato a crescere a a fronte di un rendimento di poco superiore al 4%.
Insomma, nonostante ancora oggi il Giappone benefici di tassi di interesse particolarmente bassi a fronte di un indebitamento colossale pari a circa il 250% del Pil, non c’è dubbio che una stretta di liquidità negli Usa e la fine della tregua finanziaria sui mercati potrebbero riaccendere le tensioni sulla crisi dei debiti sovrani in Europa.
Carlo Di Stanislao
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