Fra giovedì e venerdì, con due attentati a Lahore in Pakistan e uno in India, sembra riavviarsi in Asia una mai davvero placata stagione di terrore. Nel primo caso, solo dopo due ore di durissima battaglia, le forze di sicurezza pakistane hanno assunto il controllo delle due moschee di Lahore, attaccate dagli estremisti Tehrik-i-Taliban del Punjab (movimento armato clandestino talebano, in lotta con il governo centrale di Islamabad e alleato di al-Qaida.), con un bilancio di 70 morti e varie centinai di feriti. Le moschee assaltate dagli jadisti islamici situate nei quartieri di Model Town e Shahu, non sono come tutte le altre, ma sono i luoghi di ritrovo spirituale dei seguaci della setta Ahmadi, corrente islamica fondata alla fine dell’Ottocento e perseguitata da sempre. l movimento è nato precisamente nel 1889, seguendo la predicazione di Mirza Ghulam Ahmad, morto nel 1908. Secondo i suoi discepoli, Ahmad era un profeta, smentendo così uno dei cinque pilastri fondamentali dell’Islam ortodosso: Mohammed è l’ultimo profeta. La corrente, chiamata Ahmadiyya, si è diffusa soprattutto nel subcontinente indiano e il governo del Pakistan, nel 1974, l’ha dichiarato non islamico. E’ un movimento noto per le sue posizioni pacifiche (il motto è Amore per tutti, odio per nessuno) e per la spinta al dialogo interreligioso, attraverso l’opera di una organizzazione non governativa di riferimento chiamata Humanity First che sviluppa progetti di cooperazione in tutto il mondo. Nonostante la fitta presenza di siti in rete che ne diffondono la dottrina conciliante e la nascita di una televisione satellitare, l’Islam ufficiale considera il movimento totalmente estraneo. Per alcuni estremisti, però, la setta è colpevole di eresia. Gli Ahmadi sono un bersaglio già colpito in passato da fondamentalisti d’ispirazione sunnita. Solo dall’inizio del 2010, prima della strage di ieri, erano stati uccisi almeno otto ahmadi nel solo Punjab. Lo stesso destino, in Pakistan, è toccato ad altre minoranze religiose (come i cristiani), ma anche anche agli sciiti. Nella duplice strage di ieri i guerriglieri sono entrati sparando, tenendo in ostaggio per un tempo che è sembrato infinito, almeno 2mila persone. Dopo essere entrati armi in pugno i due gruppi si sono asserragliati dentro le moschee, impegnando la polizia dai minareti. Secondo l’emittente Express news, il primo gruppo di assalitori era formato da cinque uomini, il secondo da sette. L’intervento dell’esercito pakistano, che ha a sua volta fatto irruzione nei luoghi di culto, ha messo in fuga gli assalitori ancora vivi. L’attacco, poco dopo, è stato rivendicato dalla ‘filiale’ della regione del Punjab del gruppo Tehrik-i-Taliban Pakistan (Ttp), legato al movimento degli studenti coranici in Afghanistan, attraverso un comunicato recapitato alla televisione locale GeoTv. Le immagini della battaglia sono state trasmesse in diretta dalle televisioni locali e riprese da quelle di tutto il mondo. Giovedì notte, in India, almeno 71 persone sono morte in un attacco dinamitardo, compiuto presumibilmente da ribelli maoisti, che ha fatto deragliare un treno nello stato di West Bengala. Due volantini, ritrovati venerdì mattina, firmati dal Comitato popolare contro le atrocità della polizia (Pcpa), movimento di ispirazione maoista, spiegavano i motivi dell’attentato. Il capo della polizia S. Karpurakayastha ha confermato che i due volantini del Pcpa “rappresentano una chiara rivendicazione del deragliamento del treno passeggeri”. L’unità di crisi della Farnesina esclude al momento, sulla base di una prima lista di passeggeri, la presenza di italiani a bordo dei treni coinvolti. L’ultimo grave attentato in India risale al 13 febbraio, con una esplosione ‘al German Bakery’, un popolare ristorante di Pune, città dell’India occidentale, nello stato del Maharastra, che aveva causato la morte di otto persone. Il più spettacolare degli attentati in India, invece, risale al novembre 2008, quando un gruppo di terroristi pakistani scatenò l’inferno a Mumbai, con un bilancio di 195 (di cui 22 stranieri, fra cui una italiana) e 295 feriti, strage giunta a sole 24 ore dall’ufficializzazione della riapertura del processo di pace tra India e Pakistan dopo che, proprio in seguito ai 166 morti del novembre di due anni prima, i rapporti diplomatici tra le due potenze atomiche erano tornati gelidi.
Carlo Di Stanislao
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