Ieri, durante la riunione dei vertici di Confindustria, Silvio Berlusconi è salito sul palco, dopo aver ascoltato l’intervento di Emma Marcegaglia, nella duplice veste di premier e ministro ad interim dello Sviluppo economico. Aveva studiato ogni mossa ed ogni espressione e dopo aver elogiato i contenuti del discorso della leader di Confindustria, pur muovendo qualche appunto da esperto di comunicazione, aveva detto “Ti voglio regalare il mio discorso, non voglio infliggervelo dopo il bellissimo intervento che hai fatto” e chiuso con il colpo di teatro (lo sperava), di proporla davanti ai suoi come possibile ministro della sviluppo. Ma gli è andata male. Gelo in platea alla sua domanda “volete Emma ministro”? con base che invece commenta “faremo i sacrifici richiesti se il Governo diventerà più serio”. In realtà anche la Marcegaglia nel suo intervento, con Berlusconi, Fini e Schifani, in prima fila, non aveva risparmiato stoccate al Governo e alla manovra, affermando, senza preamboli, “la politica in Italia dà lavoro a troppa gente ed è l’unico settore che non conosce nè crisi nè cassa integrazione”; poi invitando l’esecutivo a impugnare la forbice taglia province per non sprofondare nella demagogia e mantenere fede agli impegni assunti. Dopo la boutade non riuscita di proporre la Marcegaglia come componente dell’esecutivo, Berlusconi ha continuato a sfoderare le sue doti di grande cabarettista e, senza perdersi d’animo, al gelo con cui la proposta è accolta, replica ironico “poi non lamentatevi con l’esecutivo“, credendo d’averla fatta, ancora una volta a scaricare su altri il barile. E’ questo che da un paio di giorni continua a fare, dichiarare che lui la manovra non l’ha ancora firmata, che la vive male e c’è stato tirato per il collo da un’Europa che vede più nero del necessario per se stessa e per il Nostro Paese. Lui ha replicato, intervenendo telefonicamente a Mattino 5 il giorno dopo, affermando che nella manovra vi sono provvedimenti strutturali e seri: in particolare la fiscalità di vantaggio per il Sud e la lotta all’evasione e invitando i confiduistriali a “leggere con maggiore attenzione gli articoli della manovra economica, il cui primo capitolo è dedicato alla competitività”. Respinta la critica di parte sindacale di aver fatto “macelleria sociale” e dopo aver rassicurato i leghisti che non vi saranno contraccolpi sul federalismo, egli s’impegna a ridurre il deficit del 2,5% entro il 2012, ma soprattutto rassicura che possiamo guardare avanti con fiducia, perché riprendono i consumi e riprende la produzione industriale. Insomma, come dire, mi spiace e non sono d’accordo con la politica di “lacrime e sangue”, ma non vi preoccupate, finché ci sarò io in sella i sacrifici per voi italiani saranno contenuti e vi sarà certamente e a breve una schiarita. Nel frattempo lo preoccupa il fatto che la freddezza degli industriali, ha convinto il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, a stringere i tempi e convocare una conferenza stampa per annunciare la posizione del Pd, che non si accorderanno allo sciopero della Cgil e probabilmente elaboreranno una vera e propria contro-manovra, evitando il puro e semplice “no”. In effetti, Letta ha presentato una contro-manovra, che punta a spostare il peso dei sacrifici dal lavoro alla rendita, finanziaria o immobiliare e questo non gli fa gioco, rispetto all’idea sempre ripetuta di una opposizione solo critica e mai propositiva. E’ anche per questo che continua a giocare il ruolo di chi il decreto non lo condivide, anche con Napoletano. Nell’incontro (che dai presenti è stato definito “imbarazzato”) con il Presidente dello Stato, ieri, ha detto :” Presidente, per dirle la verità Tremonti il decreto non l’ha fatto vedere nemmeno a me”, provocando una certa irritazione nel Presidente della Repubblica. Nell’ora e mezzo di colloqui, scrivo all’unisono Repubblica, il Corriere e la Stampa, Berlusconi ha riferito a Napolitano dei colloqui avuti a Parigi al vertice Ocse, dove tutti i leader presenti “hanno considerato la nostra manovra necessaria per stabilizzare l’euro” e Napolitano si è preoccupato di ribadire l’importanza che i saldi finali non vengano toccati, “perché l’obiettivo resta quello di rientrare sotto il 3 per cento nel rapporto deficit-Pil entro il 2012”. L’altra questione che sta a cuore a Napolitano è riuscire ad ottenere la “massima condivisione possibile” in Parlamento sulle misure anticrisi, che devono essere “le più eque possibili”, ma Berlusconi, riferiscono i suoi, è sempre più scettico in tal senso. A ciò si aggiunge la grana che dalla sua stessa maggioranza, aumentano le pressioni per cambiare il testo di Tremonti, per non parlare dell’altra: la successione di Claudio Scajola. “Stiamo lavorando ma non ho ancora trovato la persona adatta”, ha riferito il Cavaliere al capo dello Stato. Fosse per lui, Berlusconi avrebbe già nominato Paolo Romani, ma sa che Napolitano preferisce su quella poltrona delicata un esterno di prestigio. Catricalà, legato a doppio filo a Gianni Letta (che resta l’unico contrappeso al ministro dell’Economia), potrebbe essere il candidato giusto, ma c’è un altro problema: convincere Catricalà a rinunciare al sogno di planare sulla poltrona di presidente della Consob. In questi giorni continua a recitare la sua parte di aguzzino involontario e ripete che il governo ha varato una manovra chiesta dall’Europa e alla quale, quindi, siamo tenuti per gli impegni assunti da tutti con l’Ue”, ma spera davvero in un colpo di scena che lo riponga in alto nei gradimenti, ora in diminuzione, degli italiani. Ma intanto questa ansia di chiamarsi fuori lo espone a qualche scivolone. Il 27maggio, da Parigi, citando Mussolini, “una persona ritenuta un grande dittatore”, Berlusconi ha detto: “Io non ho nessun potere, forse ce l’hanno i gerarchi, ma non io. Io posso solo decidere se far andare il mio cavallo a destra o a sinistra, ma niente altro”. “Io sono in una posizione fortunata perché malgrado una manovra di sacrifici ho ancora nei sondaggi un gradimento di oltre il 60%”, ha aggiunto in risposta alla domanda di un giornalista che chiedeva se i governi non si sentano privati della loro sovranità da organismi come Ocse o G20, ma, Freud insegna, pensava proprio allo scivolone che lo stato attuale sta imponendo a questa “fortunata” (o “fortunosa”) popolarità.
Carlo Di Stanislao
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