Vista l’impossibilità di risalire nei consensi, nonostante il buon successo nei rapporti con la Cina, Hatoyama, primo ministro del Giapppone, si è dimesso, compiendo un repentino (ed inatteso) passo indietro, per cercare di salvare il Minshuto, il Partito democratico nipponico (DpJ) ed evitare che la storica vittoria di settembre alle elezioni nazionali si trasformi in una disfatta “disonorevole” e irrimediabile. Ieri, nel corso di un meeeting di partito, lex ledaer ha annunciato la sua decisione: “Il lavoro del governo non riflette i desideri della popolazione. Mi scuso con tutti i parlamentari per aver creato enormi problemi. Mi dimetterò e lavorerò per dar vita a un nuovo Partito democratico. Negli ultimi mesi il consenso dell’ex premier, milionario di 63 anni proveniente da una famiglia di spicco del Paese e chi si era impegnato, senza poi mantenere la promessa, spostare l’installazione militare Usa presente a Okinawa, ha fatto registrate, in pochi mesi, un drammatico calo di consensi e questo ha preoccupato non poco il segretario generale del suo partito, l’influente Ichiro Ozawa, noto negli ambienti politici nipponici con il soprannome di “Shogun ombra”, che gli ha chiesto di rassegnare le dimissioni. Le elezioni interne al Partito democratico per la scelta del nuovo leader sono attese per domani. Super favorito alla presidenza è il ministro delle Finanze e vicepremier Naoto Kan, 63 anni, che ha immediatamente presentato la propria candidatura, incontrando l’appoggio dei vertici. Secondo altri il candidato ideale è invece il vice-premier Naoto Kan, considerato da molti il successore naturale di Hatoyama, mentre le nuove leve preferiscono il ministro dei Trasporti Seiji Maehara e il titolare della Sicurezza nazionale Yoshito Sengoku. Una corsa a quattro che si chiuderà venerdì, con l’elezione del nuovo leader. Dalla Russia, intanto, il Kommersant fa sapere che le dimissioni di Hatoyama hanno condotto a un nuovo stallo nelle trattative tra Mosca e Tokyo per la firma di un trattato di pace atteso dalla fine della Seconda guerra mondiale, ma poco conta, in una Nazione che ha sempre considerato, prima degli altri, i problemi di stabilità interna. È il quarto primo ministro che Tokyo cambia in quattro anni, con una media che sfiora i tempi d’oro dell’Italia del centrosinistra degli anni ‘70, e si avvicina anche ai giri di poltrone del partito allora di maggioranza nipponico, il Liberal democratico (Ldp), nello stesso periodo. Intanto ancora in calo lo yen, con cross col dollaro che viaggia a quota 92,31 (+0,24%), dopo esser salito alla vigilia di oltre 1 punto percentuale. Kan, ministro dell’ecomomia e nuovo candidato di punta, ha rimarcato come uno yen debole favorirebbe l’export nipponico e un livello del cross a 95 yen sarebbe più appropriato, ma non sono molti a credere che davvero ciò sia un bene. Il Giappone è il paese più indebitato del mondo, il suo debito pubblico ha ormai superato il 200 per cento del prodotto interno lordo (Pil). In teoria il paese dovrebbe essere fallito, se non fosse che in realtà ha le seconde maggiori riserve di moneta del mondo (dopo la Cina) e continua ad avere un forte attivo commerciale. Il Paese unisce punte di grandissima qualità con sacche di enorme inefficienza e, per la prima volta nella storia recente, esso ha perso il primato economico e politico nella regione, col Pil cinese che ha superato quello giapponese con sorpasso che non sarà recuperato in un prevedibile futuro. Comunque vadano le elezioni di domani, sarà molto difficile per il successore di Hatoyama riuscire a capovolgere la percezione del paese verso il Dp in poche settimane: il tempo di vincere l’11 alla camera alta. Una vittoria dello Ldp, oggi all’opposizione, a queste elezioni non porterebbe alle dimissioni del governo (che dipende dalla maggioranza della Camera bassa, in mano al Dp) ma rischierebbe una paralisi politica in un momento di profondissima crisi economica e culturale. Insomma, è il Giappone, ora, la grande minaccia alla stabilità finanziaria del mondo. Ancora una volta la sua economia è in recessione, il suo deficit pubblico è enorme, il suo debito pubblico (incluse le pensioni senza copertura) peggiore di ogni altro paese del mondo. Con una overregulation senza limiti e il settore privato impantanato in una palude di debiti, non si può contare sull’imprenditorialità per stimolare il cambiamento. Se il Giappone fosse una economia emergente, anzi, saremmo in attesa del collasso e del mettersi in moto del Fmi per restaurare la normalità. Ma il Giappone non è l’Argentina o la Turchia; è la terza più grande economia del mondo. La sua stagnazione e la sua erosione di gettito fiscale pongono una sfida drammatica alla stabilità del mondo. Dicono gli economisti più avvertiti, che ci vorranno alcuni anni perché il Giappone arrivi a toccare livelli di crisi spaventosi, ma il Paese sembra volerci, cocciutamente arrivare. Nel frattempo, nonostante la retorica, non ci sarà crescita e le finanze del Giappone andranno avanti a deteriorarsi anche oltre i livelli attuali, nei quali i titoli del debito pubblico hanno lo status di obbligazioni spazzatura. Occorrono scelte difficili e cambiamenti radicali, cose attuabili solo con un forte governo, largamente sostenuto.
Carlo Di Stanislao
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