Il Golfo del Messico, che da giorni è scenario del disastro ambientale provocato dalla marea nera, potrebbe essere nei prossimi giorni all’attenzione degli esperti anche per l’arrivo della stagione degli uragani. Secondo le previsioni, oltre a New Orleans, anche la zona di Houston, dove c’è circa il 70% delle raffinerie americane, potrebbe esserne colpita. Ieri, l’Amministrazione Nazionale per l’Oceano e l’Atmosfera degli USA, ha diffuso la sua prima previsione per la stagione degli uragani, che inizia martedì prossimo, prevedendo da 14 a 23 tempeste, di cui 8-14 che si trasformeranno in uragano e 3-7 che potrebbero essere di vaste proporzioni, con venti a oltre 110 miglia l’ora. Pertanto, questa del 2010, potrebbe essere la peggiore stagione dal 2005, anno in cui News Orleans fu devastata da Katrina. Ne basterebbe uno anche di modesta entita’ per mettere a rischio migliaia di vite e danneggiare un’area che contiene 3/4 delle raffinerie Usa. Gli esportatori di cereali ritengono che questi porti gestiscano fino al 70% dell’esportazione cerealicola statunitense. New Orleans è anche il porto principale per la Borsa dei metalli di Londra, con oltre una ventina di depositi nell’area, secondo le autorità portuali. I dati compilati dall’amministrazione portuale indicano che le importazioni di anodi e lingotti di rame nei suoi depositi nei primi nove mesi del 2009 sono salite a 162.500 tonnellate, con una crescita del 673,11% rispetto allo stesso periodo del 2008. Per gestire i danni con qualche giorno di anticipo, gli esperti stanno studiando l’Africa , perché è proprio qui che nascono le perturbazioni che si estendono all’America. Secondo molti e nonostante i devastanti effetti degli uragani delle scorse stagioni, gli Stati Uniti non sono ancora preparati ad affrontare le emergenze. Per quanto riguarda la marea nera, solo ora, dopo cinque settimane da quando l’esplosione del pozzo ha ucciso 11 lavoratori e innescato la fuoriuscita di greggio, sembra che il “tappo” approntato dalla Bp dia qualche risultato. Molti si domandano se questa storia non si trasformerà per Obama in quello che l’uragano Katrina, un disastro di proporzioni epiche, è stato per il suo predecessore George W. Bush. Il problema per Obama è che il governo federale non ha gli strumenti né le tecnologie per risolvere la questione e dipende da Bp trovare la maniera di fermare la fuoriuscita. L’amministrazione Usa ritiene la compagnia britannica pienamente responsabile. Al momento 26.000 ricorsi sono stati avanzati nei confronti di BP e 11.650 pagamenti sono stati effettuati per un costo di 930 milioni di dollari. Uragani permettendo e con un orizzonte temporale che si allontana sempre di più, la Bp è in piena crisi e non sa davvero come tappare del tutto una voragine che sta sputando sulle coste del Golfo del Messico un inferno nero. A New Orleans circa 500 persone hanno manifestato contro la multinazionale chiedendo che tappi la falla nel Golfo e che ripulisca tutto il disastro che ha provocato, ma soprattutto per chiedere il ritiro di tutte le concessioni offshore e che il governo prenda direttamente in mano la situazione. Ad ogni fallimento della Bp aumentano le critiche verso Obama, magari portate dagli amiconi repubblicani delle Big Oil. Quello che pensano sempre più americani è che Obama si sia fidato troppo delle promesse truffaldine della Bp, che ha barato per settimane anche sulla reale entità dello sversamento. In molti si chiedono anche perché Obama abbia aspettato un mese per licenziare Elizabeth Birnbaum, la direttrice di quel Mms che invece di essere controllore si è rivelato un inefficiente complice delle Big Oil. Il governo Usa dà l’impressione di brancolare in un buio che Obama non riesce a diradare, continuando a sbattere in un solidissimo muro di gomma fatto di complicità ed opacità con quelle multinazionali che tengono i cordoni della borsa delle campagne elettorali dei repubblicani ed anche di molti democratici.
Carlo Di Stanislao
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