Secondo fonti di Tripoli sarebbe partito ieri sera dal porto di Zuwara, al confine con la Tunisia. Si tratta di un barcone con a bordo alcune decine di extracomunitari, in gran parte eritrei e somali, fra cui, pare, un bimbo di pochi mesi. Entrato in acque maltesi lanciato, tramite telefono satellitare, un SOS con richiesta d’aiuto, già girata alla Guardia Costiera dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, da alcuni famigliari dei discopertati del mare, residenti in Italia. Nell’agosto dello scorso anno, dopo un rimpallo di competenze con Malta e ricevendo un duro richiamo dall’Ue, l’Italia respinse in Libia un analogo barcone che non venne soccorso da navi italiane che lo incrociarono. In quella occasione L’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, denunziò le politiche nei confronti degli immigrati, “abbandonati e respinti senza verificare in modo adeguato se stanno fuggendo da persecuzioni, in violazione del diritto internazionale”; mentre la Farnesina, in una nota di settembre, scrisse che: “l’Italia è il Paese che ha salvato il maggior numero di vite umane nel Mediterraneo e per questo motivo il richiamo alle violazioni del diritto internazionale non è evidentemente rivolto all’Italia”. Il Presidente della Camera Fini, in quei giorni in visita nel cratere, disse: “Pensare alla storia di Nancy Pelosi Usa – dimostra che non solo si può essere orgogliosi delle radici italiane, ma anche che non occorre avere paura dell’immigrazione né dubitare sulla possibilità di una vera integrazione” degli immigrati. “La presidente Pelosi – ha detto Fini – italo-americana d’Abruzzo, dimostra il legame profondo tra i nostri popoli che si è confermato nei momenti tragici. La nostra comunità oltreoceano è importante. Chi è partito diversi anni fa da queste montagne oggi è inserito a livelli altissimi nella politica e nell’economia di quel paese”. Il 28 maggio scorso, in occasione della presentazione del rapporto 2010, Amnisty International ha criticato la politica dei respingimenti attuata dal nostro Paese nei confronti degli immigrati. Pronta la replica del ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ha dichiarato: “Critiche indegne. L’Italia è certamente il Paese europeo che ha salvato più persone in mare”. La parte del rapporto riservata all’Italia è di cinque pagine. I temi trattati sono molteplici, ma primo fra tutti è quello relativo alla politica dei respingimenti. L’organizzazione ha aspramente criticato l’espulsione verso la Libia dove c’è il “rischio di violazioni di diritti umani”. Sotto la lente è, poi, finito il contenzioso con Malta: “I governi italiano e maltese, in disaccordo sui rispettivi obblighi di condurre operazioni di salvataggio in mare, hanno lasciato i migranti per giorni senza acqua e cibo, ponendo a grave rischio le loro vite”. L’episodio di questo SOS da una ennesima carretta, ci permetterà di verificare se hanno ragione Amnisty e la Pelosi o Frattini. Nel frattempo si è appreso (domenica 6 giugno), che gli uffici dell’Unhcr (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) in Libia, sono chiusi dal 2 giugno. Davanti alla palazzina in cui si trova la sede dell’Unhcr, sul lungomare appena fuori dal centro di Tripoli, non c’è più la camionetta della polizia a guardia dell’edificio e sulle porte, sbarrate, è apparso un cartello con la scritta “chiuso”. Sono sparite da circa una settimana anche le consuete file di immigrati clandestini in cerca di una “intervista” per ottenere il documento che gli assegna lo status di “richiedenti asilo”. Secondo quanto riferiscono alcuni funzionari locali dell’Onu, il nuovo coordinatore delle Nazioni Unite in Libia, Costanza Farina, accreditata solo lo scorso 1 giugno, si trova a Ginevra
“per affrontare il caso Unhcr” e rientrerà a Tripoli oggi. “L’invito a chiudere l’ufficio libico è arrivata dal coordinatore del sistema delle nazioni Unite in Libia. Ora stiamo cercando di capire se ci sono motivi specifici dietro questa richiesta e se esistono margini di trattativa”, così Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr per l’Italia, Malta, Cipro, Grecia e Albania. Per il deputato del Pd Enrico Farinone “serve un immediato chiarimento. Il governo italiano intervenga, perché dopo l’accordo con la Libia sui respingimenti, non possiamo rimanere a guardare. E’ nostro dovere interessarci sulle sorti dei richiedenti asilo che vengono respinti verso la Libia”. Proprio oggi è uscito un libro intitolato “Vite da rifugiati. Condizione sociale, integrazione e prospettive dei rifugiati a Bologna e in Emilia Romagna. Un’inchiesta nelle città di Bologna, Modena, Parma e Ravenna”, curato dalla Associazione Ya Basta! Bologna, in collaborazione con Progetto Emilia Romagna Terra d’asilo e Melting Pot Europa, in cui si scopre, attraverso 24 interviste, che ottenere una forma di protezione internazionale, nella maggior parte dei casi, non significa poi ricevere davvero quelle tutele e quelle garanzie che a questa condizione dovrebbero essere connesse. Si inizia poi a comprendere anche il perché molti profughi cerchino di non farsi prendere le impronte digitali in Italia e di non fare qui la loro richiesta di asilo, come imporrebbe la Convenzione di Dublino, ma di raggiungere piuttosto uno Stato europeo che prenda più seriamente questo diritto. Come scritto ieri su L’Unità, in fatto di politica estera il governo Berlusconi non punta alla globalizzazione dei diritti, alla solidarietà, alla cooperazione efficace ed equa, allo sviluppo economico compatibile con l’ambiente. Le punte di diamante sono: il gas russo (chi lo sa perché) che consolida il feeling tra i compagni Putin-Berlusconi; l’amicizia con un altro faro della democrazia, il presidente Gheddafi; la genuflessione alle lobby israeliane; la vicinanza alle massonerie internazionali. In questo modo i poveri eritrei in attesa d’aiuto hanno davvero poco da sperare. Secondo Amnesty, in Italia, la politica dei rinvii forzati ha provocato una drastica riduzione delle domande di asilo: 31.000 nel 2008, 17.000 nel 2009. “Non ci sembra che l’insicurezza nella vita degli immigrati abbia portato maggiore sicurezza agli italiani”, ha detto la resposabile per l’Italia Giusy D’Alonso. Nel gennaio 2010 fa notare Amnesty, oltre un migliaio di migranti sono fuggiti o traferiti forzatamente fuori da Rosarno, in Calabria, dopo due giorni di scontri violenti: per l’organizzazione, dietro l’episodio oltre al problema dello sfruttamento della manodopera c’e’ ovviamente, quello di una forte esplosione della xenofobia che sta dilagando il tutto il Paese”. Xenofobia pero’ che non riguarda solo il caso Italia: secondo Christine Weise, presidente del Comitato Italiano di Amnesty, il fenomeno riguarda tutta Europa. “Basta citare il caso del parlamento belga – spiega – che ha vietato il velo in luogo pubblico e che anche la Francia sia pronta a fare altrettanto. Il problema pero’ e’ che non si fa niente per le donne che sono costrette realmente a portarlo”.
Carlo Di Stanislao
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