Sì all’indulto, ma accompagnato da riforme strutturali. È condivisa la posizione di Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, e Nicola Boscoletto, presidente dell’Officina Giotto, sui provvedimenti per contrastare il sovraffollamento. “L’indulto non è un atto di clemenza ma un atto di giustizia” precisa Favero, che commenta sarcasticamente: “Se sconti una pena detentiva nelle condizioni in cui la sconti oggi è giusto che te la riducano”. Ma il provvedimento deve essere seguito a stretto giro da un cambiamento delle leggi. Tre in particolare sono sul banco degli imputati: la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe, l’ex Cirielli sulla recidiva. “Queste tre leggi sono andate a regime in concomitanza con l’indulto del 2006 e sono loro ad aver causato il riempirsi delle carceri nei mesi successivi – evidenzia la direttrice di Ristretti Orizzonti -. Se non ci fosse stato l’indulto nel 2006 oggi dovremmo fare i conti con una popolazione di 90 mila detenuti”. Favero ci tiene quindi a sfatare un errato luogo comune: “Il post indulto ha avuto una recidiva del 30 per cento circa, contro la normale del 70 per cento. Non è dunque vero che le persone scarcerate sono poi rientrate”. Attraverso un nuovo indulto si renderebbe anche inutile, per Favero, ricorrere a nuove carceri: “Le risorse potrebbero così essere impegnate a sistemare le strutture esistenti. E si potrebbe iniziare a lavorare davvero con chi ha bisogno”. E conclude: “Basta con le pene solo carcerarie. In Paesi come Francia, Germania, Inghilterra il rapporto percentuale tra detenzione e pene scontate sul territorio è, rispettivamente, 20 a 80, mentre in Italia è l’esatto opposto”.
Boscoletto si dice in linea con il presidente della Repubblica: favorevole all’indulto, inteso come uno tra i provvedimenti necessari: ““Napolitano nel suo messaggio ha citato l’amnistia e l’indulto al terzo posto, dopo le riforme strutturali per fare in modo che il sistema carcere sia corrispondente al suo scopo di rieducazione”. Il presidente di Officina Giotto lo spiega con una metafora: “Quando la casa brucia per prima cosa bisogna spegnere l’incendio, ma contemporaneamente bisogna avere le idee chiare su come ricostruire e aiutare chi ha subito l’incendio. Altrimenti si spegne il fuoco lasciando lì le macerie”. Bisogna affrontare il problema in maniera globale: “Amnistia e indulto devono essere contestuali a provvedimenti sugli spazi, sul lavoro… Lo stato ha l’obbligo di far uscire le persone meglio di come sono entrate. Ma se il modo di affrontare il problema è da ‘maleducati’ e in maniera illegale, che differenza c’è tra chi ha fatto del male consapevolmente e chi lo fa in nome del bene?”. (gig-RS)
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