“Partecipiamo troppo spesso alla globalizzazione dell’indifferenza; cerchiamo invece di vivere una solidarietà globale”(Papa Francesco). Le famiglie, il lavoro e l’impresa sono al centro del mondo e della storia. La Lectio Magistralis di Papa Francesco è chiarissima. Le famiglie cristiane riconoscono nella fedeltà, nella testimonianza e nell’apertura alla vita, il fondamento etico, antropologico e sociale dell’umana civiltà sulla Terra. Papa Francesco pone l’accento sulla dimensione comunitaria della famiglia che va valorizzata per prevalere sui diritti individuali provvisori dell’attuale decadente “economia” dello scarto. “La famiglia è una comunità dove si impara ad amare, fatta di volti e persone che dialogano, si sacrificano per gli altri e difendono la vita, specie quella più fragile”. Papa Francesco tratteggia così l’unicità della famiglia naturale fondata sul Matrimonio di un uomo e di una donna “che si potrebbe definire senza esagerare, il motore del mondo e della storia. La famiglia è il luogo dove la persona prende coscienza della propria dignità e, se l’educazione è cristiana, riconosce la dignità di ogni persona, in modo particolare di quella malata, debole, emarginata: tutto questo è la comunità-famiglia che chiede di essere riconosciuta come tale, tanto più oggi, quando prevale la tutela dei diritti individuali. Eh – osserva il Santo Padre – dobbiamo difendere il diritto di questa comunità: la famiglia!”. Che si fonda sul Matrimonio. “Gli sposi cristiani testimoniano che il matrimonio, in quanto sacramento, è la base su cui si fonda la famiglia – insegna Papa Bergoglio – il Matrimonio è come se fosse un primo sacramento dell’umano, ove la persona scopre se stessa, si auto-comprende in relazione agli altri e in relazione all’amore che è capace di ricevere e di dare. L’amore sponsale e familiare rivela anche chiaramente la vocazione della persona ad amare in modo unico e per sempre, e che le prove, i sacrifici e le crisi della coppia come della stessa famiglia rappresentano dei passaggi per crescere nel bene, nella verità e nella bellezza. Nel Matrimonio ci si dona completamente senza calcoli né riserve – dichiara il Papa – condividendo tutto, doni e rinunce, sempre confidando nella Provvidenza di Dio. È questa l’esperienza che i giovani possono imparare dai genitori e dai nonni. Si tratta di un’esperienza di fede in Dio e di fiducia reciproca ma anche di santità, perché la santità suppone il donarsi con fedeltà e sacrificio ogni giorno della vita. Certo, ci sono problemi nel matrimonio, diversi punti di vista, gelosie e si litiga anche”, ma occorre “dire ai giovani sposi che mai finiscano la giornata senza fare la pace fra loro! Il Sacramento del Matrimonio viene rinnovato in questo atto di pace dopo una discussione, un malinteso, una gelosia nascosta, anche un peccato. Fare la pace, che dà unità alla famiglia. Ma questo dirlo ai giovani, alle giovani coppie che non è facile andare su questa strada, ma è tanto bella questa strada. Tanto bella! Dirlo!”. Papa Francesco pone l’accento su due fasi della vita familiare: l’infanzia e la vecchiaia. E confida che quando confessa un adulto sposato sempre gli domanda dei figli: “Mi dica signore o signora, lei gioca con i suoi figli? Come Padre? Lei perde il tempo con i suoi figli, lei gioca con i suoi figli? ‘Ma, sa, quando io esco da casa al mattino – rivela l’uomo al Papa – ancora dormono e quando torno sono a letto’. Anche la gratuità, quella gratuità del papà e della mamma con i figli. È tanto importante perdere il tempo con i figli – è il monito del Santo Padre – giocare con i figli! Una società che abbandona i bambini e che emargina gli anziani, recide le sue radici e oscura il suo futuro. Voi fate la valutazione su questa nostra cultura oggi, con questo: ogni volta che un bambino è abbandonato e un anziano emarginato, si compie non solo un atto di ingiustizia, ma si sancisce anche il fallimento di quella società. Prendersi cura dei piccoli e degli anziani è una scelta di civiltà. La Chiesa che si prende cura dei bambini e degli anziani – evidenzia Papa Bergoglio – diventa la madre delle generazioni dei credenti e al tempo stesso serve la società umana aiutandola a riscoprire la paternità e la maternità di Dio. La buona notizia della famiglia è una parte molto importante dell’evangelizzazione, che i cristiani possono comunicare a tutti. Comunicarlo con la testimonianza della vita specie nelle società secolarizzate. Le famiglie veramente cristiane si riconoscono dalla fedeltà, dalla pazienza, dall’apertura alla vita, dal rispetto degli anziani: il segreto di tutto questo è la presenza di Gesù nella famiglia. Proponiamo dunque a tutti, con rispetto e coraggio, la bellezza del Matrimonio e della famiglia illuminati dal Vangelo! E per questo ci avviciniamo con attenzione e affetto alle famiglie in difficoltà, a quelle che sono costrette a lasciare la loro terra, che sono spezzate, che non hanno casa o lavoro, o per tanti motivi sono sofferenti; ai coniugi in crisi e a quelli ormai separati. A tutte vogliamo stare vicino con l’annunzio di questo Vangelo della famiglia, di questa bellezza della famiglia”. Il Papa ricorda il magistero dei suoi predecessori. “La famiglia è una comunità di vita che ha una sua consistenza autonoma. Come ha scritto il Beato Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Familiaris consortio – dichiara Papa Francesco – la famiglia non è la somma delle persone che la costituiscono, ma una «comunità di persone» (cfr nn. 17-18). E una comunità è di più che la somma delle persone. È il luogo dove si impara ad amare, il centro naturale della vita umana. È fatta di volti, di persone che amano, dialogano, si sacrificano per gli altri e difendono la vita, soprattutto quella più fragile, più debole. Si potrebbe dire, senza esagerare, che la famiglia è il motore del mondo e della storia. Ciascuno di noi costruisce la propria personalità in famiglia, crescendo con la mamma e il papà, i fratelli e le sorelle, respirando il calore della casa. La famiglia è il luogo dove riceviamo il nome, è il luogo degli affetti, lo spazio dell’intimità, dove si apprende l’arte del dialogo e della comunicazione interpersonale. Nella famiglia la persona prende coscienza della propria dignità e, specialmente se l’educazione è cristiana, riconosce la dignità di ogni singola persona, in modo particolare di quella malata, debole, emarginata. Tutto questo è la comunità-famiglia, che chiede di essere riconosciuta come tale, tanto più oggi, quando prevale la tutela dei diritti individuali. E dobbiamo difendere il diritto di questa comunità: la famiglia. Per questo avete fatto bene a porre una particolare attenzione alla Carta dei Diritti della Famiglia, presentata proprio trent’anni or sono, il 22 Ottobre del 1983”. La famiglia è per il futuro, “perché i piccoli, i bambini, i giovani porteranno avanti quella società con la loro forza, la loro giovinezza, e gli anziani la porteranno avanti con la loro saggezza, la loro memoria, che devono dare a tutti noi. E questo mi fa rallegrare, che il Pontificio Consiglio per la Famiglia abbia ideato questa nuova icona della famiglia, che riprende la scena della Presentazione di Gesù al tempio, con Maria e Giuseppe che portano il Bambino, per adempiere la Legge, e i due anziani Simeone ed Anna che, mossi dallo Spirito, lo accolgono come il Salvatore”. È significativo il titolo dell’icona:‘Di generazione in generazione si estende la sua misericordia’. “La Chiesa che si prende cura dei bambini e degli anziani – rivela il Santo Padre – diventa la madre delle generazioni dei credenti e, nello stesso tempo, serve la società umana perché uno spirito di amore, di familiarità e di solidarietà aiuti tutti a riscoprire la paternità e la maternità di Dio. E a me piace, quando leggo questo brano del Vangelo, pensare che i giovani, Giuseppe e Maria, anche il Bambino, fanno tutto quello che la Legge dice. Quattro volte lo dice san Luca: per compiere la Legge. Sono obbedienti alla Legge, i giovani! E i due anziani, fanno rumore! Simeone inventa in quel momento una liturgia propria e loda, le lodi a Dio. E la vecchietta va’ e chiacchiera, predica con le chiacchiere: “Guardatelo!”. Come sono liberi! E tre volte degli anziani si dice che sono condotti dallo Spirito Santo. I giovani dalla Legge, questi dallo Spirito Santo. Guardare agli anziani che hanno questo spirito dentro, ascoltarli!”. Quindi, la “buona notizia della famiglia è una parte molto importante dell’evangelizzazione, che i cristiani possono comunicare a tutti, con la testimonianza della vita; e già lo fanno, questo è evidente nelle società secolarizzate: le famiglie veramente cristiane si riconoscono dalla fedeltà, dalla pazienza, dall’apertura alla vita, dal rispetto degli anziani. Il segreto di tutto questo è la presenza di Gesù nella famiglia”. La Festa della Famiglia è propizia a Papa Francesco per esprimere grande affetto, tanta riconoscenza e una stima profonda nei confronti di Benedetto XVI, il Papa emerito, in occasione della cerimonia per la consegna del Premio Ratzinger, il “Nobel” della teologia, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. “Vorrei condividere con voi una riflessione che mi viene spontanea quando penso al dono davvero singolare che egli ha fatto alla Chiesa con i libri su Gesù di Nazaret. Mi ricordo che quando uscì il primo volume, alcuni dicevano: ma che cos’è questo? Un Papa non scrive libri di teologia, scrive encicliche! Certamente Papa Benedetto si era posto questo problema, ma anche in quel caso, come sempre, lui ha seguito la voce del Signore nella sua coscienza illuminata. Con quei libri lui non ha fatto magistero in senso proprio, e non ha fatto uno studio accademico. Ha fatto dono alla Chiesa, e a tutti gli uomini, di ciò che aveva di più prezioso: la sua conoscenza di Gesù, frutto di anni e anni di studio, di confronto teologico e di preghiera. Perché Benedetto XVI faceva teologia in ginocchio, e tutti lo sappiamo. E questa l’ha messa a disposizione nella forma più accessibile. Nessuno può misurare quanto bene ha fatto con questo dono; solo il Signore lo sa!”. Il Premio Ratzinger, giunto alla sua terza edizione, è stato consegnato al reverendo Richard A. Burridge, decano del King’s College di Londra e ministro della comunione anglicana, il primo cristiano non cattolico a cui viene conferito il Premio, ed al teologo tedesco Christian Schaller Christian Schaller, laico, docente di teologia dogmatica e vicedirettore dell’Istituto Papa Benedetto XVI di Regensburg. “Schaller – ricorda il cardinale Camillo Ruini – ha ottenuto il premio non solo per il suo contributo agli studi teologici ma anche come riconoscimento del ruolo che sta svolgendo nella pubblicazione dell’opera omnia di Joseph Ratzinger. Questa pubblicazione ha infatti un’importanza primaria per il futuro degli studi ispirati al pensiero di Joseph Ratzinger Benedetto XVI, che è lo scopo centrale della Fondazione”. I libri su Gesù scritti da Benedetto XVI “hanno permesso di scoprire o di rafforzare la fede in molte persone e hanno aperto una nuova stagione di studi sui Vangeli” – è la considerazione centrale espressa da Papa Francesco che ha insignito i due teologi del “Premio Ratzinger” promosso dalla Fondazione vaticana “Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”. Hanno fatto del bene a tanti, questo è indubbio, che fossero studiosi o gente semplice, vicini o lontani da Cristo. Questo è il risultato prodotto dai tre libri su Gesù di Nazaret, scritti da Benedetto XVI tra il 2007 e il 2012, e in generale il bene operato dalla sua sapienza teologica, frutto di preghiera prima che di impegno intellettuale. “Tutti noi ne abbiamo una certa percezione – osserva Papa Bergoglio – per aver sentito tante persone che grazie ai libri su Gesù di Nazaret hanno nutrito la loro fede, l’hanno approfondita, o addirittura si sono accostati per la prima volta a Cristo in modo adulto, coniugando le esigenze della ragione con la ricerca del volto di Dio. E non solo il cuore alla ricerca o alla riscoperta di Gesù è stato toccato dalle parole del Papa emerito. Anche la mente di tanti studiosi ha ricevuto nuova linfa: l’opera di Benedetto XVI ha stimolato una nuova stagione di studi sui Vangeli tra storia e cristologia”. Con i vincitori del Premio Ratzinger 2013, Papa Francesco si è congratulato anche a nome di Benedetto XVI:“Il Signore benedica sempre voi e il vostro lavoro al servizio del suo Regno”. Al simposio internazionale “I Vangeli: storia e cristologia. La ricerca di Joseph Ratzinger” della Pontificia Università Lateranense, la ricerca sul Gesù dei Vangeli, la proposta di Benedetto XVI e il contributo della papirologia nella ricerca sui Vangeli, sono stati i temi focali della discussione accademica. “Hemos ido encontrando en los ultimos – rivela padre Juan Chapa, professore all’Università di Navarra in Spagna – negli ultimi anni abbiamo trovato nuovi frammenti dei Vangeli in papiro e tutti sono in formato di codice, una novità rispetto al libro corrente, abituale nell’Antichità. Nel mondo greco-romano il libro aveva il formato di rotolo e anche le Scritture di Israele erano in quel formato. I frammenti cristiani invece appartengono a codici, il formato del libro di oggi. Questi codici venivano utilizzati nel mondo greco-romano anche per un uso quotidiano, per esempio per libri di ricette mediche o per la consultazione di libri astronomici, e questo formato viene utilizzato anche per i Vangeli e per i libri del Nuovo Testamento. Questo perché si tratta di qualcosa che è facile da consultare, facile da leggere. Si utilizzavano, dunque, durante le celebrazioni liturgiche e, infatti, i segni che riportano indicano che si usavano soprattutto per essere letti ad alta voce. Questo mi sembra sia un fattore importante, perché non si possono separare i testi dalla comunità che legge questi testi”. L’Anno della Fede ha così vissuto uno dei suoi momenti più belli e gioiosi: la Giornata della famiglia celebrata Domenica 27 Ottobre 2013. Già Sabato 26 Ottobre migliaia di nuclei familiari sono convenuti in Piazza San Pietro per incontrare Papa Francesco per la solenne Professione di fede. “Gli sposi pregano insieme e con la comunità perché hanno bisogno dell’aiuto di Gesù per accogliersi l’un l’altro ogni giorno, e perdonarsi ogni giorno” – rivela Papa Francesco nel discorso alle migliaia di famiglie provenienti da oltre 70 Paesi del mondo per il Pellegrinaggio alla tomba di San Pietro: 100mila i presenti fra genitori, bambini e nonni. “Care famiglie! Buonasera e benvenute a Roma! Siete venute pellegrine da tante parti del mondo – dichiara Papa Bergoglio – per professare la vostra fede davanti al sepolcro di San Pietro. Questa piazza vi accoglie e vi abbraccia: siamo un solo popolo, con un’anima sola, convocati dal Signore che ci ama e ci sostiene. Saluto anche tutte le famiglie che sono collegate mediante la televisione e internet: una piazza che si allarga senza confini! Avete voluto chiamare questo momento “Famiglia, vivi la gioia della fede!”. Mi piace, questo titolo. Ho ascoltato le vostre esperienze, le storie che avete raccontato. Ho visto tanti bambini, tanti nonni. Ho sentito il dolore delle famiglie che vivono in situazione di povertà e di guerra. Ho ascoltato i giovani che vogliono sposarsi seppure tra mille difficoltà. E allora ci domandiamo: come è possibile vivere la gioia della fede, oggi, in famiglia? Ma io vi domando anche: è possibile vivere questa gioia o non è possibile?”. Papa Francesco richiama l’insegnamento del Vangelo. “C’è una parola di Gesù, nel Vangelo di Matteo, che ci viene incontro: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). La vita spesso è faticosa, tante volte anche tragica! Abbiamo sentito recentemente. Lavorare è fatica; cercare lavoro è fatica. E trovare lavoro oggi chiede tanta fatica! Ma quello che pesa di più nella vita non è questo: quello che pesa di più di tutte queste cose è la mancanza di amore. Pesa non ricevere un sorriso, non essere accolti. Pesano certi silenzi, a volte anche in famiglia, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli. Senza amore la fatica diventa più pesante, intollerabile. Penso agli anziani soli, alle famiglie che fanno fatica perché non sono aiutate a sostenere chi in casa ha bisogno di attenzioni speciali e di cure. «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi», dice Gesù. Care famiglie, il Signore conosce le nostre fatiche: le conosce! E conosce i pesi della nostra vita. Ma il Signore conosce anche il nostro profondo desiderio di trovare la gioia del ristoro! Ricordate? Gesù ha detto: «La vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Gesù vuole che la nostra gioia sia piena! Lo ha detto agli Apostoli e lo ripete oggi a noi. Allora questa è la prima cosa che stasera voglio condividere con voi, ed è una parola di Gesù: Venite a me, famiglie di tutto il mondo – dice Gesù – e io vi darò ristoro, affinché la vostra gioia sia piena. E questa Parola di Gesù portatela a casa, portatela nel cuore, condividetela in famiglia. Ci invita ad andare da Lui per darci, per dare a tutti la gioia”. La seconda parola il Santo Padre la prende dal rito del Matrimonio. “Chi si sposa nel Sacramento dice: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Gli sposi in quel momento non sanno cosa accadrà, non sanno quali gioie e quali dolori li attendono. Partono, come Abramo, si mettono in cammino insieme. E questo è il matrimonio! Partire e camminare insieme, mano nella mano, affidandosi alla grande mano del Signore. Mano nella mano, sempre e per tutta la vita! E non fare caso a questa cultura del provvisorio, che ci taglia la vita a pezzi! Con questa fiducia nella fedeltà di Dio si affronta tutto, senza paura, con responsabilità. Gli sposi cristiani non sono ingenui, conoscono i problemi e i pericoli della vita. Ma non hanno paura di assumersi la loro responsabilità, davanti a Dio e alla società. Senza scappare, senza isolarsi, senza rinunciare alla missione di formare una famiglia e di mettere al mondo dei figli”. Il Papa riconosce i problemi delle coppie. “Ma oggi, Padre, è difficile. Certo, è difficile. Per questo ci vuole la grazia, la grazia che ci dà il Sacramento! I Sacramenti non servono a decorare la vita – ma che bel matrimonio, che bella cerimonia, che bella festa! – ma quello non è il Sacramento, quella non è la grazia del Sacramento. Quella è una decorazione! E la grazia non è per decorare la vita, è per farci forti nella vita, per farci coraggiosi, per poter andare avanti! Senza isolarsi, sempre insieme. I cristiani si sposano nel Sacramento – insegna il Santo Padre – perché sono consapevoli di averne bisogno! Ne hanno bisogno per essere uniti tra loro e per compiere la missione di genitori. “Nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”. Così dicono gli sposi nel Sacramento e nel loro Matrimonio pregano insieme e con la comunità”. Perché? Perché si usa fare così? “No! Lo fanno perché ne hanno bisogno, per il lungo viaggio che devono fare insieme: un lungo viaggio che non è a pezzi, dura tutta la vita! E hanno bisogno dell’aiuto di Gesù, per camminare insieme con fiducia, per accogliersi l’un l’altro ogni giorno, e perdonarsi ogni giorno! E questo è importante! Nelle famiglie sapersi perdonare, perché tutti noi abbiamo difetti, tutti! Talvolta facciamo cose che non sono buone e fanno male agli altri. Avere il coraggio di chiedere scusa, quando in famiglia sbagliamo”. Alcune settimane fa, in Piazza San Pietro, Papa Francesco annunciò che per portare avanti una famiglia è necessario usare tre parole. “Voglio ripeterlo. Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole chiave! Chiediamo permesso per non essere invadenti in famiglia. “Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?”. Col linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l’amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie! E l’ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte – io dico – volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia! “Scusatemi”, ecco, e si rincomincia di nuovo. Permesso, grazie, scusa! Lo diciamo insieme?”. Tutti rispondono di SI. “Permesso, grazie e scusa! Facciamo queste tre parole in famiglia! Perdonarsi ogni giorno! Nella vita la famiglia sperimenta tanti momenti belli: il riposo, il pranzo insieme, l’uscita nel parco o in campagna, la visita ai nonni, la visita a una persona malata. Ma se manca l’amore manca la gioia, manca la festa, e l’amore ce lo dona sempre Gesù: Lui è la fonte inesauribile. Lì Lui, nel Sacramento, ci dà la sua Parola e ci dà il Pane della vita, perché la nostra gioia sia piena”. L’icona della Sacra Famiglia è molto significativa nel magistero di Papa Francesco. In particolare l’icona della Presentazione di Gesù al Tempio. “È un’icona davvero bella e importante – osserva Papa Bergoglio – contempliamola e facciamoci aiutare da questa immagine. Come tutti voi, anche i protagonisti della scena hanno il loro cammino: Maria e Giuseppe si sono mesi in marcia, pellegrini a Gerusalemme, in obbedienza alla Legge del Signore; anche il vecchio Simeone e la profetessa Anna, pure molto anziana, giungono al Tempio spinti dallo Spirito Santo. La scena ci mostra questo intreccio di tre generazioni, l’intreccio di tre generazioni: Simeone tiene in braccio il bambino Gesù, nel quale riconosce il Messia, e Anna è ritratta nel gesto di lodare Dio e annunciare la salvezza a chi aspettava la redenzione d’Israele. Questi due anziani rappresentano la fede come memoria. Ma vi domando: “Voi ascoltate i nonni? Voi aprite il vostro cuore alla memoria che ci danno i nonni? I nonni sono la saggezza della famiglia, sono la saggezza di un popolo. E un popolo che non ascolta i nonni, è un popolo che muore! Ascoltare i nonni!”. È l’invito di Papa Francesco alla riflessione antropologica nella società italiana, un avviso ai naviganti per evitare il naufragio sociale, economico e culturale nel Belpaese. “Maria e Giuseppe sono la Famiglia santificata dalla presenza di Gesù, che è il compimento di tutte le promesse. Ogni famiglia, come quella di Nazareth, è inserita nella storia di un popolo e non può esistere senza le generazioni precedenti. E perciò oggi abbiamo qui i nonni e i bambini. I bambini imparano dai nonni, dalla generazione precedente. Care famiglie, anche voi siete parte del popolo di Dio. Camminate con gioia insieme a questo popolo. Rimanete sempre unite a Gesù e portatelo a tutti con la vostra testimonianza. Vi ringrazio di essere venute. Insieme, facciamo nostre le parole di san Pietro, che ci danno forza e ci daranno forza nei momenti difficili: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Con la grazia di Cristo, vivete la gioia della fede! Il Signore vi benedica e Maria, nostra Madre, vi custodisca e vi accompagni. Grazie!”. Domenica 27 Ottobre 2013 oltre centomila persone hanno partecipato alla Messa in Piazza San Pietro presieduta da Papa Francesco nella Giornata della Famiglia. Il Santo Padre nell’omelia ha richiamato le Letture della trentesima domenica del tempo ordinario che “ci invitano a meditare su alcune caratteristiche fondamentali della famiglia cristiana”. La famiglia che prega. “Il brano del Vangelo – osserva il Papa – mette in evidenza due modi di pregare, uno falso – quello del fariseo – e l’altro autentico – quello del pubblicano. Il fariseo incarna un atteggiamento che non esprime il rendimento di grazie a Dio per i suoi benefici e la sua misericordia, ma piuttosto soddisfazione di sé. Il fariseo si sente giusto, si sente a posto, si pavoneggia di questo, e giudica gli altri dall’alto del suo piedestallo. Il pubblicano, al contrario, non moltiplica le parole. La sua preghiera è umile sobria, pervasa dalla consapevolezza della propria indegnità, delle proprie miserie: quest’uomo davvero si riconosce bisognoso del perdono di Dio, della misericordia di Dio. Quella del pubblicano è la preghiera del povero, è la preghiera gradita a Dio che, come dice la prima Lettura, «arriva fino alle nubi» (Sir 35,20), mentre quella del fariseo è appesantita dalla zavorra della vanità”. Papa Bergoglio, alla luce di questa Parola, chiede alle care famiglie: “pregate qualche volta in famiglia? Qualcuno sì, lo so. Ma tanti mi dicono: ma come si fa? Ma si fa come il pubblicano, è chiaro, umilmente davanti a Dio. Ognuno con umiltà si lascia guardare dal Signore e chiede la sua bontà che venga a noi. Ma in famiglia come si fa? Perché sembra che la preghiera è una cosa personale, e poi non c’è mai un momento adatto, tranquillo in famiglia. Sì, è vero – riconosce il Santo Padre – ma è anche questione di umiltà, di riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, come il pubblicano! E tutte le famiglie hanno bisogno di Dio. Tutti, tutti. Bisogno del suo aiuto, della sua forza, della sua benedizione, della sua misericordia, del suo perdono. E ci vuole semplicità! Per pregare in famiglia ci vuole semplicità. Pregare insieme il “Padre nostro”, intorno alla tavola, non è una cosa straordinaria, è facile, dà tanta forza! E anche pregare l’uno per l’altro! Il marito per la moglie, la moglie per il marito, ambedue per i figli, i figli per i genitori, per i nonni. Pregare l’uno per l’altro. Questo è pregare in famiglia, e questo fa forte la famiglia: la preghiera. La seconda Lettura ci suggerisce un altro spunto: la famiglia custodisce la fede. L’apostolo Paolo, al tramonto della sua vita, fa un bilancio fondamentale, e dice: «Ho conservato la fede» (2 Tm 4,7)”. Ma come l’ha conservata? “Non in una cassaforte! Non l’ha nascosta sottoterra, come quel servo un po’ pigro. San Paolo paragona la sua vita a una battaglia e a una corsa. Ha conservato la fede perché non si è limitato a difenderla, ma l’ha annunciata, irradiata, l’ha portata lontano. Si è opposto decisamente a quanti volevano conservare, “imbalsamare” il messaggio di Cristo nei confini della Palestina. Per questo ha fatto scelte coraggiose, è andato in territori ostili, si è lasciato provocare dai lontani, da culture diverse, ha parlato francamente senza paura. San Paolo – sottolinea Papa Bergoglio – ha conservato la fede perché, come l’aveva ricevuta, l’ha donata, spingendosi nelle periferie, senza arroccarsi su posizioni difensive. Anche qui ci possiamo chiedere: in che modo noi, in famiglia, custodiamo la nostra fede? La teniamo per noi, nella nostra famiglia, come un bene privato, come un conto in banca, o sappiamo condividerla con la testimonianza, con l’accoglienza, con l’apertura agli altri? Tutti sappiamo che le famiglie, specialmente quelle giovani, sono spesso “di corsa”, molto affaccendate; ma qualche volta ci pensate che questa “corsa” può essere anche la corsa della fede? Le famiglie cristiane sono famiglie missionarie. Ma, ieri abbiamo sentito, qui in piazza, la testimonianza di famiglie missionarie. Sono missionarie anche nella vita di ogni giorno, facendo le cose di tutti i giorni, mettendo in tutto il sale e il lievito della fede! Conservare la fede in famiglie e mettere il sale e il lievito della fede nelle cose di tutti i giorni”. Papa Francesco poi irradia l’autentico dono che si ricava dalla Parola di Dio. “La famiglia che vive la gioia. Nel Salmo responsoriale si trova questa espressione: «i poveri ascoltino e si rallegrino» (33/34,3). Tutto questo Salmo è un inno al Signore, sorgente di gioia e di pace”. E qual è il motivo di questo rallegrarsi? È questo: il Signore è vicino, ascolta il grido degli umili e li libera dal male. Lo scriveva ancora san Paolo: «Siate sempre lieti, il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). Eh, a me piacerebbe fare una domanda, oggi. Ma, ognuno la porti nel suo cuore, a casa sua, eh?, come un compito da fare. E si risponda da solo. Come va la gioia, a casa tua? Come va la gioia nella tua famiglia? Eh, voi date la risposta! Care famiglie, voi lo sapete bene: la gioia vera che si gusta nella famiglia non è qualcosa di superficiale, non viene dalle cose, dalle circostanze favorevoli – afferma il Papa – la gioia vera viene da un’armonia profonda tra le persone, che tutti sentono nel cuore, e che ci fa sentire la bellezza di essere insieme, di sostenerci a vicenda nel cammino della vita. Ma alla base di questo sentimento di gioia profonda c’è la presenza di Dio, la presenza di Dio nella famiglia, c’è il suo amore accogliente, misericordioso, rispettoso verso tutti. E soprattutto, un amore paziente: la pazienza è una virtù di Dio e ci insegna, in famiglia, ad avere questo amore paziente, l’uno con l’altro. Avere pazienza tra di noi. Amore paziente. Solo Dio sa creare l’armonia delle differenze. Se manca l’amore di Dio, anche la famiglia perde l’armonia, prevalgono gli individualismi, e si spegne la gioia. Invece la famiglia che vive la gioia della fede la comunica spontaneamente, è sale della terra e luce del mondo, è lievito per tutta la società. Famiglie gioiose. Care famiglie, vivete sempre con fede e semplicità, come la Santa Famiglia di Nazaret. La gioia e la pace del Signore siano sempre con voi!”. Dopo la celebrazione, prima dell’Angelus, il Papa ha elevato una preghiera alla Santa Famiglia davanti all’icona che la raffigura: “Gesù, Maria e Giuseppe, a voi, Santa Famiglia di Nazareth, oggi, volgiamo lo sguardo con ammirazione e confidenza; in voi contempliamo la bellezza della comunione nell’amore vero; a voi raccomandiamo tutte le nostre famiglie, perché si rinnovino in esse le meraviglie della grazia. Santa Famiglia di Nazareth, scuola attraente del santo Vangelo: insegnaci a imitare le tue virtù con una saggia disciplina spirituale, donaci lo sguardo limpido che sa riconoscere l’opera della Provvidenza nelle realtà quotidiane della vita. Santa Famiglia di Nazareth, custode fedele del mistero della salvezza: fa’ rinascere in noi la stima del silenzio, rendi le nostre famiglie cenacoli di preghiera e trasformale in piccole Chiese domestiche, rinnova il desiderio della santità, sostieni la nobile fatica del lavoro, dell’educazione, dell’ascolto, della reciproca comprensione e del perdono. Santa Famiglia di Nazareth, ridesta nella nostra società la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, bene inestimabile e insostituibile. Ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace per i bambini e per gli anziani, per chi è malato e solo, per chi è povero e bisognoso. Gesù, Maria e Giuseppe, voi con fiducia preghiamo, a voi con gioia ci affidiamo”. Papa Bergoglio all’Angelus salutato tutti i pellegrini, “specialmente voi, care famiglie, venute da tanti Paesi. Grazie di cuore! Rivolgo un cordiale saluto ai Vescovi e ai fedeli della Guinea Equatoriale, qui convenuti in occasione della ratifica dell’Accordo con la Santa Sede. La Vergine Immacolata protegga il vostro amato popolo e vi ottenga di progredire sulla via della concordia e della giustizia. Adesso pregheremo insieme l’Angelus. Con questa preghiera invochiamo la protezione materna di Maria, nostra Madre, per le famiglie del mondo intero, in modo particolare per quelle che vivono situazioni di maggiore difficoltà. Maria, Regina della Famiglia, prega per noi! Diciamo insieme: Maria, Regina della Famiglia, prega per noi! Maria, Regina della Famiglia, prega per noi!”. In effetti, Dio non ci ha salvato per decreto o per legge; ci ha salvato con la sua vita. “Questo è un mistero per comprendere il quale l’intelligenza da sola non basta – avverte il Santo Padre – anzi, cercare di spiegarlo con il solo uso dell’intelligenza significa rischiare la pazzia. Per capirlo – spiega Papa Francesco a Santa Marta – ci vuole ben altro. Naturalmente si tratta di qualcosa che non è facile afferrare né spiegare. Il brano della lettera ai Romani che abbiamo sentito nella prima lettura – osserva il Pontefice citando alcuni passi del capitolo 5 dell’epistola (12.15.17-19.20-21) – non so se sia uno dei più difficili. Si vede che il povero Paolo fa fatica per proclamare questo, per farlo capire. Tuttavia egli ci aiuta ad avvicinarci alla verità”. Il Santo Padre indica tre parole per facilitare la nostra comprensione: contemplazione, vicinanza e abbondanza. “Innanzitutto la contemplazione. Indubbiamente, si tratta di un mistero straordinario, tanto che la Chiesa, quando vuole dirci qualcosa su questo mistero, usa soltanto una parola: meravigliosamente. Dice: ‘O Dio, tu che meravigliosamente hai creato il mondo e più meravigliosamente lo hai ricreato’. Paolo vuol farci capire proprio questo: per comprendere è necessario mettersi in ginocchio, pregare e contemplare. La contemplazione è intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera; e mettere insieme tutto questo, significa entrare nel mistero. Dunque, ciò che san Paolo dice a proposito della salvezza e della redenzione operata da Gesù si capisce soltanto in ginocchio, nella contemplazione, non unicamente con l’intelligenza, perché quando l’intelligenza vuole spiegare un mistero impazzisce sempre. Così è accaduto nella storia della Chiesa”. Prima della scoperta del linguaggio matematico. La seconda parola del Papa è “vicinanza”. Un concetto “che nel brano ritorna spesso: ‘Un uomo ha commesso il peccato, un altro uomo ci ha salvato’. È il Dio vicino. Questo mistero – rivela il Vescovo di Roma –ci mostra Dio vicino a noi, alla nostra storia; dal primo momento, quando ha scelto nostro padre Abramo, ha camminato con il suo popolo, e ha inviato suo figlio a fare questo lavoro. Un’opera che Gesù realizza come un artigiano, come un operaio. A me – confida il Pontefice – l’immagine che viene in mente è quella dell’infermiere o dell’infermiera, che in un ospedale guarisce le ferite una a una, ma con le sue mani. Dio si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani; e per avere mani si è fatto uomo. È un lavoro di Gesù, personale: un uomo ha commesso il peccato, un uomo viene a guarirlo. Perché Dio non ci salva soltanto mediante un decreto, con una legge; ci salva con tenerezza, ci salva con carezze, ci salva con la sua vita per noi”. La terza parola riconosciuta dal Santo Padre è “abbondanza”. Nella lettera di Paolo “si ripete diverse volte: ‘Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia’. Che il peccato abbondi nel mondo e dentro il cuore di ciascuno è evidente: ognuno di noi sa le sue miserie, le conosce bene. E abbondano. Ma la sfida di Dio è vincere il peccato, guarire le piaghe come ha fatto con Gesù. Anzi di più. Fare il regalo sovrabbondante del suo amore e della sua grazia”. Così si capisce anche la “preferenza di Gesù per i peccatori. Lo accusavano di andare sempre con i pubblicani, con i peccatori. Andare a mangiare con i pubblicani era uno scandalo, perché nel cuore di questa gente abbondava il peccato. Ma lui andava da loro con quella sovrabbondanza di grazia e di amore. E la grazia di Dio – osserva Papa Francesco – vince sempre perché è lui stesso che si dona, che si avvicina, che ci carezza, che ci guarisce”. Gesù non ha paura dei peccatori. Gesù non è affetto da fobie antiche e moderne. Gesù non teme il male, la malattia. Gesù non allontana i peccatori, li cerca, li guarisce! “Certo – sottolinea Papa Bergoglio – a qualcuno non piace sentir dire che i peccatori sono più vicini al cuore di Gesù, che lui va a cercarli, chiama tutti: venite, venite. E quando gli chiedono una spiegazione, lui dice: ma, quelli che hanno buona salute non hanno bisogno del medico; io sono venuto per guarire, per salvare in abbondanza. Alcuni santi dicono che uno dei peccati più brutti è la diffidenza, diffidare di Dio. Ma come possiamo diffidare di un Dio così vicino, così buono, che preferisce il nostro cuore peccatore? E così è questo mistero: non è facile capirlo, non si capisce bene, non si può capire soltanto con l’intelligenza. Forse ci aiuteranno queste tre parole: contemplazione, contemplare questo mistero; vicinanza, questo mistero nascosto nei secoli del Dio vicino, che si avvicina a noi; e abbondanza, un Dio che sempre vince con la sovrabbondanza della sua grazia, con la sua tenerezza, o – come abbiamo letto nell’orazione colletta – con la sua ricchezza di misericordia”. All’Udienza generale di Mercoledì 23 Ottobre 2013, alla presenza di oltre centomila fedeli, Papa Francesco prosegue la sua catechesi sulla Chiesa, meditando su Maria Santissima come immagine e modello della Chiesa. “Lo faccio riprendendo un’espressione del Concilio Vaticano II. Dice la Costituzione Lumen gentium: «Come già insegnava Sant’Ambrogio, la Madre di Dio è figura della Chiesa nell’ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo» (n. 63). Partiamo dal primo aspetto, Maria come modello di fede”. In che senso Maria rappresenta un modello per la fede della Chiesa? “Pensiamo a chi era la Vergine Maria: una ragazza ebrea, che aspettava con tutto il cuore la redenzione del suo popolo. Ma in quel cuore di giovane figlia d’Israele c’era un segreto che lei stessa ancora non conosceva: nel disegno d’amore di Dio era destinata a diventare la Madre del Redentore. Nell’Annunciazione, il Messaggero di Dio la chiama “piena di grazia” e le rivela questo progetto. Maria risponde “sì” e da quel momento la fede di Maria riceve una luce nuova: si concentra su Gesù, il Figlio di Dio che da lei ha preso carne e nel quale si compiono le promesse di tutta la storia della salvezza. La fede di Maria è il compimento della fede d’Israele, in lei è proprio concentrato tutto il cammino, tutta la strada di quel popolo che aspettava la redenzione, e in questo senso è il modello della fede della Chiesa, che ha come centro Cristo, incarnazione dell’amore infinito di Dio”. Come ha vissuto Maria questa fede? “L’ha vissuta nella semplicità delle mille occupazioni e preoccupazioni quotidiane di ogni mamma, come provvedere il cibo, il vestito, la cura della casa. Proprio questa esistenza normale della Madonna fu il terreno dove si svolse un rapporto singolare e un dialogo profondo tra lei e Dio, tra lei e il suo Figlio. Il “sì” di Maria, già perfetto all’inizio, è cresciuto fino all’ora della Croce. Lì la sua maternità si è dilatata abbracciando ognuno di noi, la nostra vita, per guidarci al suo Figlio. Maria è vissuta sempre immersa nel mistero del Dio fatto uomo, come sua prima e perfetta discepola, meditando ogni cosa nel suo cuore alla luce dello Spirito Santo, per comprendere e mettere in pratica tutta la volontà di Dio”. Il Santo Padre invita a porsi una domanda: “ci lasciamo illuminare dalla fede di Maria, che è nostra Madre? Oppure la pensiamo lontana, troppo diversa da noi? Nei momenti di difficoltà, di prova, di buio, guardiamo a lei come modello di fiducia in Dio, che vuole sempre e soltanto il nostro bene? Pensiamo a questo, forse ci farà bene ritrovare Maria come modello e figura della Chiesa in questa fede che lei aveva! Veniamo al secondo aspetto: Maria modello di carità”. In che modo Maria è per la Chiesa esempio vivente di amore? “Pensiamo alla sua disponibilità nei confronti della parente Elisabetta. Visitandola, la Vergine Maria non le ha portato soltanto un aiuto materiale, anche questo, ma ha portato Gesù, che già viveva nel suo grembo. Portare Gesù in quella casa voleva dire portare la gioia, la gioia piena. Elisabetta e Zaccaria erano felici per la gravidanza che sembrava impossibile alla loro età, ma è la giovane Maria che porta loro la gioia piena, quella che viene da Gesù e dallo Spirito Santo e si esprime nella carità gratuita, nel condividere, nell’aiutarsi, nel comprendersi. La Madonna – insegna Papa Francesco – vuole portare anche a noi, a noi tutti, il grande dono che è Gesù; e con Lui ci porta il suo amore, la sua pace, la sua gioia. Così la Chiesa è come Maria: la Chiesa non è un negozio, non è un’agenzia umanitaria, la Chiesa non è una ONG, la Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo; non porta se stessa, se piccola, se grande, se forte, se debole, la Chiesa porta Gesù e deve essere come Maria quando è andata a visitare Elisabetta”. Cosa le portava Maria? “Gesù. La Chiesa porta Gesù: questo è il centro della Chiesa, portare Gesù! Se per ipotesi, una volta succedesse che la Chiesa non porta Gesù, quella sarebbe una Chiesa morta! La Chiesa deve portare la carità di Gesù, l’amore di Gesù, la carità di Gesù. Abbiamo parlato di Maria, di Gesù. E noi? Noi che siamo la Chiesa? Qual è l’amore che portiamo agli altri? È l’amore di Gesù, che condivide, che perdona, che accompagna, oppure è un amore annacquato, come si allunga il vino che sembra acqua? È un amore forte, o debole tanto che segue le simpatie, che cerca il contraccambio, un amore interessato? Un’altra domanda: a Gesù piace l’amore interessato? No, non gli piace, perché l’amore deve essere gratuito, come il Suo. Come sono i rapporti nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità? Ci trattiamo da fratelli e sorelle? O ci giudichiamo, parliamo male gli uni degli altri, curiamo ciascuno il proprio “orticello”, o ci curiamo l’un l’altro?”. Sono “domande di carità”, queste di Papa Francesco! “E brevemente un ultimo aspetto: Maria modello di unione con Cristo. La vita della Vergine Santa è stata la vita di una donna del suo popolo: Maria pregava, lavorava, andava alla sinagoga. Però ogni azione era compiuta sempre in unione perfetta con Gesù. Questa unione raggiunge il culmine sul Calvario: qui Maria si unisce al Figlio nel martirio del cuore e nell’offerta della vita al Padre per la salvezza dell’umanità. La Madonna ha fatto proprio il dolore del Figlio ed ha accettato con Lui la volontà del Padre, in quella obbedienza che porta frutto, che dona la vera vittoria sul male e sulla morte. È molto bella – rivela Papa Bergoglio – questa realtà che Maria ci insegna: l’essere sempre uniti a Gesù. Possiamo chiederci: ci ricordiamo di Gesù solo quando qualcosa non va e abbiamo bisogno, o il nostro è un rapporto costante, un’amicizia profonda, anche quando si tratta di seguirlo sulla via della croce? Chiediamo al Signore che ci doni la sua grazia, la sua forza, affinché nella nostra vita e nella vita di ogni comunità ecclesiale si rifletta il modello di Maria, Madre della Chiesa. Così sia!”. Tutti i battezzati sono chiamati a camminare sulla strada della santificazione, non si può essere “cristiani a metà cammino – afferma Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta – sempre nella nostra vita c’è un prima e un dopo Gesù. Cristo ha operato in noi una ‘seconda creazione’ che noi dobbiamo portare avanti con il nostro modo di vivere”. Il Santo Padre prende spunto dal passaggio della Lettera ai Romani incentrato sul mistero della nostra redenzione. “L’Apostolo Paolo – osserva il Papa – cerca di spiegarci questo con la logica del prima e dopo: prima di Gesù e dopo di Gesù. San Paolo considera il prima ‘spazzatura’, mentre il dopo è come una nuova creazione. E ci indica una strada per vivere secondo questa logica del prima e dopo: siamo stati ri-fatti in Cristo! Quello che ha fatto Cristo in noi è una ri-creazione: il sangue di Cristo ci ha ri-creato. È una seconda creazione! Se prima tutta la nostra vita, il nostro corpo, la nostra anima, le nostre abitudini erano sulla strada del peccato, dell’iniquità, dopo questa ri-creazione dobbiamo fare lo sforzo di camminare sulla strada della giustizia, della santificazione. Utilizzate questa parola: la santità. Tutti noi siamo stati battezzati: in quel momento, i nostri genitori – noi eravamo bambini – a nome nostro, hanno fatto l’Atto di fede: ‘Credo in Gesù Cristo, che ci ha perdonato i peccati’. Credo in Gesù Cristo! Questa fede in Gesù Cristo dobbiamo riassumerla e portarla avanti col nostro modo di vivere da cristiano” che “è portare avanti questa fede in Cristo, questa ri-creazione. E con la fede, portare avanti le opere che nascono da questa fede, opere per la santificazione. Dobbiamo portare Avanti la prima santificazione che tutti noi abbiamo ricevuto nel Battesimo. Davvero noi siamo deboli e tante volte, tante volte, facciamo peccati, imperfezioni”. E questo è sulla strada della santificazione? “Sì e no! Se tu ti abitui: ‘Ho una vita un po’ così, ma io credo in Gesù Cristo, ma vivo come voglio’, eh, no, quello non ti santifica; quello non va! È un controsenso! Ma se tu dici: ‘Io, sì, sono peccatore; io sono debole’ e vai sempre dal Signore e gli dici: ‘Ma, Signore, tu hai la forza, dammi la fede! Tu puoi guarirmi!’. E nel Sacramento della riconciliazione ti fai guarire, sì anche le nostre imperfezioni servono a questa strada di santificazione. Ma sempre questo è: prima e dopo”. Ecco perchè bisogna confessarsi spesse volte. “Prima dell’Atto di Fede, prima dell’accettazione di Gesù Cristo che ci ha ri-creati col suo sangue – rivela il Vescovo di Roma – eravamo sulla strada dell’ingiustizia. Dopo, invece, siamo sulla strada della santificazione, ma dobbiamo prenderla sul serio! E, per prenderla sul serio, bisogna fare le opere di giustizia, opere semplici: adorare Dio. Dio è il primo sempre! E poi fare ciò che Gesù ci consiglia: aiutare gli altri. Queste opere, sono le opere che Gesù ha fatto nella sua vita: opere di giustizia, opere di ri-creazione. Quando noi diamo da mangiare a un affamato, ri-creiamo in lui la speranza. E così con gli altri. Se invece accettiamo la fede e poi non la viviamo – avverte Papa Francesco – siamo cristiani soltanto a memoria”. I cosiddetti “bezzuche” dell’espressione dialettale: i bigotti, “osservanti” senza sostanza cristiana. “Senza questa coscienza del prima e del dopo della quale ci parla Paolo – sottolinea il Santo Padre – il nostro cristianesimo non serve a nessuno! E più: va sulla strada dell’ipocrisia. ‘Mi dico cristiano, ma vivo come pagano!’. Alcune volte diciamo ‘cristiani a metà cammino’, che non prendono sul serio questo. Siamo santi, giustificati, santificati per il sangue di Cristo: prendere questa santificazione e portarla avanti! E non si prende sul serio! Cristiani tiepidi: ‘Ma, sì, sì; ma, no, no’. Un po’ come dicevano le nostre mamme: ‘cristiano all’acqua di rosa, no!’. Un po’ così. Un po’ di vernice di cristiano, un po’ di vernice di catechesi. Ma dentro non c’è una vera conversione, non c’è questa convinzione di Paolo: ‘Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in Lui’. Questa era la passione di Paolo e questa è la passione di un cristiano! Bisogna lasciare perdere tutto quello che ci allontana da Gesù Cristo e fare tutto nuovo: tutto è novità in Cristo! E questo – è l’incoraggiamento del Papa – si può fare. Lo ha fatto San Paolo, ma anche tanti cristiani: non solo i santi, quelli che conosciamo; anche i santi anonimi, quelli che vivono il cristianesimo sul serio. La domanda che, dunque, oggi possiamo farci, è proprio se vogliamo vivere il cristianesimo sul serio, se vogliamo portare avanti questa ri-creazione. Chiediamo a San Paolo che ci dia la grazia di vivere come cristiani sul serio, di credere davvero che siamo stati santificati per il sangue di Gesù Cristo”. Fatti concreti. Come “Le famiglie del mondo per le famiglie della Siria”, il progetto di raccolta fondi promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia con Caritas Italiana, a sostegno degli interventi di Caritas Siria. Il progetto, presentato a Roma in occasione del Pellegrinaggio mondiale delle famiglie alla Tomba di San Pietro, è un contributo che può essere donato tramite Caritas Italia.
Della durata di un anno, è un’iniziativa per non abbandonare la Siria, per non lasciare che oltre 4 milioni di sfollati interni e più di 2 milioni di rifugiati in Giordania, Libano, Turchia e Iraq, siano dimenticati. Il progetto “Le famiglie del mondo per le famiglie della Siria” punta a fornire aiuti umanitari ai siriani in difficoltà, soprattutto con bambini, alloggi temporanei ad almeno 300 famiglie sfollate ed assistenza medico-sanitaria a malati, minori e anziani. Si prevede un aiuto complessivo ad oltre 5.400 famiglie, circa 20mila persone. Caritas Italiana è stata nei campi di accoglienza al confine con la Siria. “Sia al confine nord con la Turchia, sia a quello ovest con il Libano, sia a quello sud con la Giordania – rivela Paolo Beccegato, responsabile dell’Area internazionale – abbiamo constatato come la famiglia siriana sia stata, in qualche modo, ridotta a brandelli. Abbiamo incontrato ‘brandelli di famiglia’ nei campi profughi, nei centri di accoglienza. Perché le famiglie sono sostanzialmente quasi tutte spezzate: gli uomini sono costretti a restare in Siria a combattere e le donne con i bambini – ormai intorno al 30 percento di loro – sono costrette a scappare o internamente alla Siria o all’esterno. La cifra impressionante di 6 milioni di profughi ne dà in qualche modo la misura, ne dà l’entità e noi ne abbiamo incontrato i volti. La durata di questa situazione che non vede una fine certa – sono già più di due anni di conflitto – dà non solo il segno della difficoltà quantitativa, della difficoltà di vivere, di sopportare una situazione, ma anche di quella psicologica, perché non si intravede una fine e quindi queste persone o scappano nel Paese o all’esterno. Quello che manca è proprio una speranza, una prospettiva di ritorno e di condizioni più favorevoli. Ecco perché la grande conferenza di pace ‘Ginevra 2’, che speriamo venga finalmente tenuta il mese prossimo, possa aver luogo e si possa quantomeno raggiungere una tregua duratura e una pace stabile. Abbiamo incontrato molti profughi. In particolare ricordo una mamma che era scappata ed era appena arrivata in un centro di accoglienza di Caritas Giordania, quindi al sud della Siria: questa donna era provata dal viaggio, ma in qualche modo era contenta di aver raggiunto una salvezza, perché almeno era scappata dalle violenze più atroci. Il suo bambino riposava su un tavolo, con la testa adagiata su un sacchetto di pane appena consegnatogli e questa immagine trasmetteva una speranza per il futuro: almeno avevano trovato qualcuno che li accogliesse, che desse loro da mangiare e assicurasse una maggior stabilità e una maggiore sicurezza”. L’ispirazione per l’iniziativa è venuta dalla grande Giornata di preghiera e digiuno per la Siria indetta da Papa Francesco il 7 Settembre 2013. Dalla stessa Piazza San Pietro, da dove è salita al cielo una preghiera per bloccare, in qualche modo, l’intensificarsi del conflitto, ora parte un gesto, questa volta verso la terra e verso quelle famiglie che stanno soffrendo in una maniera drammatica. Non ci sarà distinzione nell’aiuto: saranno aiutate famiglie cattoliche, ortodosse, musulmane o di qualsiasi altra tradizione e religione. I cecchini in Siria mirano e colpiscono le donne incinte, come a voler rendere l’inferno ancor più inferno. Tutto questo scempio, in nome dell’Altissimo, deve finire! Sulla situazione riscontrata nei campi di accoglienza, il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu rivela che “è una realtà certamente di grande squilibrio, di grande emergenza, però di altrettanta accoglienza da parte della popolazione giordana e di Caritas Giordania. Senza farsi prendere dal panico, ma con una grande umanità, si mette in atto ciò che è veramente carità cristiana. Anche se il conflitto di fatto, quello dell’intervento armato a livello mondiale, è stato scongiurato, non per questo la causa siriana è conclusa. Anzi probabilmente è sempre lì, latente e merita la nostra attenzione”. Assieme al progetto, è stato presentato anche un video documentario realizzato in uno dei 200 campi profughi della Valle della Bekaa, in Libano, curato da Elisa Greco assieme a Federico Fazzuoli. “Di fronte all’urgenza di un aiuto immediato, la speranza viene dagli occhi dei bambini: nel vedere il video si nota questo loro sorridere, nonostante tutto. Non è un caso che concludiamo il nostro documentario con uno sguardo sorridente di una donna, perché queste persone attendono, sono fiduciose nel futuro, anche se qualcuna poi ci ha detto di vivere con l’angoscia, perché loro sono lì, ma i mariti sono in Siria; e non sanno mai se arriverà qualche notizia che le colpirà fortemente al cuore”. Opere di giustizia. Poi c’è la “grazia della vergogna” che è quella che sperimentiamo quando confessiamo a Dio il nostro peccato e lo facciamo parlando faccia a faccia col sacerdote, nostro fratello. In quel momento, Satana è distrutto. Il Male non ha più alcun potere su di noi perché la grazia di Dio ci avvolge e protegge! Papa Francesco non usa mezzi termini. Bisogna “rivolgerci direttamente a Dio” perché non è possibile “confessarsi per e-mail”. È con efficaci espressioni che il Papa richiama l’attenzione su uno dei sacramenti cardini della salvezza umana, la confessione. “San Paolo, dopo aver provato la sensazione di sentirsi liberato dal sangue di Cristo, dunque ‘ri-creato’, avverte che in lui c’è ancora qualcosa che lo rende schiavo. E nel passo della lettera ai Romani (7, 18-25) proposto dalla liturgia, l’Apostolo si definisce ‘infelice’. Per di più, Paolo ieri parlava, annunciava la salvezza in Gesù Cristo per la fede, mentre oggi come fratello racconta ai suoi fratelli di Roma la lotta che lui ha dentro di sé: ‘Io so che nella mia carne non abita il bene. C’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo. Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. E questo male lo fa il peccato che abita in me’. Si confessa peccatore – ricorda il Santo Padre – ci dice: Cristo ci ha salvati, siamo liberi. Ma io sono un poveraccio, io sono un peccatore, io sono uno schiavo”. È quella che il Papa chiama “la lotta dei cristiani, la nostra lotta di tutti i giorni. Quando voglio fare il bene – spiega il Pontefice – il male è accanto a me! Infatti, nel mio intimo acconsento alla legge di Dio; ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo. E noi non sempre abbiamo il coraggio di parlare come parla Paolo su questa lotta. Sempre cerchiamo una giustificazione: ‘Ma sì, siamo tutti peccatori’. È contro questo atteggiamento che dobbiamo lottare. Anzi, se noi non riconosciamo questo – avverte il Santo Padre – non possiamo avere il perdono di Dio, perché se l’essere peccatore è una parola, un modo di dire, non abbiamo bisogno del perdono di Dio. Ma se è una realtà che ci fa schiavi, abbiamo bisogno di questa liberazione interiore del Signore, di quella forza”. E San Paolo indica la via d’uscita. “Confessa alla comunità il suo peccato, la sua tendenza al peccato, non la nasconde. Questo è l’atteggiamento che la Chiesa ci chiede a tutti noi, che Gesù chiede a tutti noi: confessare umilmente i nostri peccati. La Chiesa nella sua saggezza indica ai credenti il sacramento della riconciliazione. E noi – esorta ancora il Papa – siamo chiamati a fare questo: andiamo dal fratello, dal fratello prete, e facciamo questa nostra confessione interiore: la stessa che fa Paolo: ‘Io voglio il bene, vorrei essere più buono, ma lei sa, delle volte ho questa lotta, delle volte ho questo, questo e questo’. E così come è tanto concreta la salvezza che ci porta Gesù, tanto concreto è il nostro peccato”. I peccati hanno un nome che bisogna “accusare” con precisione estrema perché Dio li distrugga: quando ci confessiamo veramente, siamo la “pubblica accusa” dei mali dell’umanità. Papa Bergoglio si riferisce a quanti rifiutano il colloquio col sacerdote e sostengono di confessarsi direttamente con Dio. “Certo – osserva il Papa – è facile, è come confessarsi per e-mail. Dio è là, lontano; io dico le cose e non c’è un faccia a faccia, non c’è un incontro a quattrocchi. Paolo invece confessa la sua debolezza ai fratelli faccia a faccia”. Papa Francesco si riferisce a quelli che davanti al sacerdote “si confessano di cose tanto eteree, che non hanno nessuna concretezza: confessarsi così è lo stesso che non farlo – precisa il Santo Padre – confessare i nostri peccati, non è andare a una seduta psichiatrica, neppure andare in una sala di tortura. È dire al Signore: ‘Signore, sono peccatore’. Ma dirlo tramite il fratello, perché questo dire sia anche concreto. ‘E sono peccatore per questo, per questo e per questo’…”. Papa Francesco confida di ammirare il modo con cui si confessano i bambini. “Oggi – rivela il Vescovo di Roma – abbiamo etto nell’Alleluia: ‘Ti rendo gloria Padre, Signore del cielo e della terra perché ai piccoli hai rivelato i misteri del regno’(Matteo 11, 25). I piccoli hanno una certa saggezza. Quando un bambino viene a confessarsi, mai dice una cosa generale: ‘Padre, ho fatto questo, ho fatto questo alla mia zia, ho fatto questo all’altra, all’altro ho detto questa parola’ e dicono la parola. Sono concreti, hanno la semplicità della verità. E noi abbiamo sempre la tendenza a nascondere la realtà delle nostre miserie. Invece, se c’è una cosa bella è quando noi confessiamo i nostri peccati come sono alla presenza di Dio. Sempre sentiamo quella grazia della vergogna. Vergognarsi davanti a Dio è una grazia. È una grazia: ‘Io mi vergogno’. Pensiamo a quello che disse Pietro dopo il miracolo di Gesù nel lago: ‘Ma Signore allontanati da me, io sono peccatore’. Si vergogna del suo peccato davanti alla santità di Gesù Cristo”. Andare a confessarsi “è andare a un incontro col Signore che ci perdona, ci ama. E la nostra vergogna – insegna Papa Francesco – è quello che noi offriamo a lui: ‘Signore, sono peccatore, ma vedi non sono tanto cattivo, sono capace di vergognarmi’. Perciò chiediamo questa grazia di vivere nella verità senza nascondere niente a Dio e senza nascondere niente a noi stessi”. Il Sacramento della Riconciliazione, quindi, è andare incontro all’amore di Gesù con sincerità di cuore e con la trasparenza dei bambini, non rifiutando ma anzi accogliendo la grazia della vergogna che fa percepire il perdono di Dio. Che non sia più un “pio” esercizio di finzione, come al cinema! Meglio essere giustificati pienamente davanti a Dio che dannati per l’eternità. “Gesù continua a pregare ed a intercedere per noi, mostrando al Padre il prezzo della nostra salvezza: le sue piaghe” – insegna Papa Francesco nella Messa a Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra i Santi Simone e Giuda Taddeo, Apostoli. Nel brano del Vangelo in cui Gesù passa tutta la notte pregando il Padre prima di scegliere i dodici Apostoli, “Gesù sistema la sua squadra – spiega Papa Bergoglio – e subito dopo è attorniato da una grande moltitudine di gente ‘venuta per ascoltarlo ed essere guarita’ perché ‘da Lui usciva una forza che guariva tutti’. Sono i tre rapporti di Gesù: con il Padre, con i suoi Apostoli e con la gente. Gesù pregava il Padre per gli Apostoli e per la gente. Ma ancora oggi prega. È l’intercessore, quello che prega, e prega Dio con noi e davanti a noi. Gesù ci ha salvati, ha fatto questa grande preghiera, il suo sacrificio, la sua vita, per salvarci, per giustificarci: siamo giusti grazie a Lui. Adesso se n’è andato, e prega”. Ma, Gesù è uno spirito? “Gesù non è uno spirito! Gesù è una persona, è un uomo, con carne come la nostra, ma in gloria. Gesù ha le piaghe sulle mani, sui piedi, sul fianco e quando prega fa vedere al Padre questo prezzo della giustificazione, e prega per noi, come se dicesse: ‘Ma, Padre, che non si perda, questo!’. Gesù ha la testa delle nostre preghiere perché è il primo a pregare e come nostro fratello e uomo come noi, intercede per noi. In un primo tempo, Lui ha fatto la redenzione, ci ha giustificato tutti”. Ma adesso, cosa fa? “Intercede, prega per noi. Io penso cosa avrà sentito Pietro quando lo ha rinnegato e poi Gesù lo ha guardato e Pietro ha pianto. Ha sentito che quello che Gesù aveva detto era vero: aveva pregato per lui, e per questo poteva piangere, poteva pentirsi. Tante volte, tra noi, ci diciamo: ‘Ma, prega per me, eh?, ne ho bisogno, ho tanti problemi, tante cose: prega per me’. E quello è buono, eh?, perché noi fratelli dobbiamo pregare gli uni per gli altri”. Papa Bergoglio esorta tutti a chiedere: ‘Prega per me, Signore: Tu sei l’intercessore’. In effetti, “Lui prega per me, Lui prega per tutti noi e prega coraggiosamente perché fa vedere al Padre il prezzo della nostra giustizia: le sue piaghe. Pensiamo tanto a questo, e ringraziamo il Signore. Ringraziamo per avere un fratello che prega con noi, e prega per noi, intercede per noi. E parliamo con Gesù, diciamogli: ‘Signore, Tu sei l’intercessore, Tu mi hai salvato, mi hai giustificato. Ma adesso, prega per me’. E affidare i nostri problemi, la nostra vita, tante cose, a Lui, perché Lui lo porti dal Padre”.
© Nicola Facciolini
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