Con un cenno della mano, il mio amico Renzo Pinterpe mi indica la zona boschiva di Cerquella. Immersa in quel gradevole ambiente naturale insiste un’area verde attrezzata. Poco distante, nei pressi della Pretara, partiva un incamminamento che conduceva al cospetto del castello recinto, la cui suggestiva figura, dal profilo triangolare, domina “la via degli Abruzzi”, nella Piana di Navelli. Un altro percorso interpoderale si lasciava alle spalle la chiesa di Cinturelli e pian piano su a salire si dirigeva verso il monte Gentile. I due sentieri erano tenuti puliti dalle greggi che pascevano su quegli spazi scoscesi e si cibavano delle foglie strappate dai rami di piccoli arbusti, trasformandoli, grazie alla sapiente arte dei pastori, in prodotti caseari che si coniugavano perfettamente con l’oro rosso del luogo: lo zafferano. Il territorio è caratterizzato dalla presenza di numerose locce, o camere, sistemate alle pendici del monte. Queste cavità, da cui il toponimo del paese, erano utilizzate anche come ricoveri di bestiame minuto. Ri vertoni o vertucce (in base alla grandezza), così il linguaggio del luogo identifica i grottoni, alcuni dei quali sono annessi come cantine e magazzini nelle abitazioni. Massimo Feneziani conosce ogni angolo del paese. Mi spiega che in questi antri, alcuni sistemati con muri di pietra, venivano depositate le derrate alimentari (barbabietole, patate, finanche i tartufi….) che la freschezza del luogo manteneva ben conservate. In autunno, il profumo del mosto inondava quegli ambienti chiusi. Mentre a Natale, i pertugi ricavati nelle pareti di roccia calcarea delle grotte celavano semplici doni che i bambini attendevano con impazienza. Dopotutto bastava poco per renderli felici: un’arancia (ru pertecale), qualche fico secco o piccole prelibatezze che raramente avevano modo di assaggiare. Intrufolandosi nelle vie del borgo antico, tra archi e vignali, e nella San Pio alta, verso colle Letizia, comuni stemmi decorano i portali delle case dell’abitato. Uno di essi assume la forma inusuale di una mano. Salendo sulla strada che porta a colle Vernone, la forma di un arco in pietra a sesto acuto indica la presenza di uno dei grottoni che penetrano nel cuore dei campi incolti, ancora delimitati da file di muri assemblati con pietre a secco. Discostandoci un po’ dal paese, c’è la chiesa sconsacrata di Sant’Antonio, prima adibita anche a sepolcreto. Dell’edificio diruto, privo di volta, sopravvivono ancora alcuni stipiti e un portale decorato infisso su ciò che resta dell’impianto murario. Ma torniamo a mezza costa, dove spunta l’antica torre che con i suoi tre occhi cavi si affaccia guardinga sull’altopiano. La struttura longilinea normanno-sveva era un ottimo punto di osservazione per gli allevatori che solevano salire sin sulla sua cima per adocchiare qualche capo di bestiame che si era smarrito. Oggi si giunge in quel luogo aggredendo una sorta di mulattiera scoscesa e ciottolosa, resa meno disagevole grazie a dei piccoli terrazzamenti costituiti da pezzi di legno adagiati orizzontalmente. Il “puntone” della roccaforte sovrasta le mura digradanti intervallate da residue tracce di torri rompitratta e da resti lignei di incamminamenti di ronda. Un tempo, quando incombevano dei pericoli, la corte interna del castello accoglieva gli abitanti del luogo. Negli anni precedenti sono stati eseguiti degli scavi che hanno portato alla luce accenni di edifici costruiti lungo il pendio del ballium, oltre che oggetti d’epoca e una scalinata. Il paesaggio dell’altopiano è uno dei siti archeologi e naturali più pregevoli dell’aquilano. Nel territorio comunale, in località Santo Stefano, nei pressi di Castelnuovo, qualche anno fa vennero rinvenuti materiali fittili e piccoli frammenti di pareti riconducibili a un piccolo insediamento ivi collocato in età protostorica. Mentre in località Colli Bianchi, lungo il tracciato del tratturo aragonese, i lavori di escavazione portarono alla luce una necropoli. E’ sera. Lo sguardo si eleva di nuovo verso il castello illuminato. “Belli quei tempi in cui conoscevo a memoria i punti d’appiglio delle muraglie amiche e complici, che mai ho dimenticato”, conclude Renzo. Nell’attuale contesto di alta frequentazione automobilistica della S.S.17, promuovere lo sviluppo locale, facendo leva sul patrimonio storico e paesaggistico, contribuirebbe a rivitalizzare il turismo nonché a sostenere le attività artigianali e commerciali da sempre il fiore all’occhiello della zona.
Fulgenzio Ciccozzi
Foto del castello sono di Giada Pinterpe
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