La Tempesta, storia di un dipinto del VI Secolo, (ri)dipinto nel XXI Secolo fra creato e valori esistenziali

«Molto spesso si è voluto vedere nei dipinti di Giorgione lo svilupparsi di un racconto che in realtà non esiste o che è assunto soltanto come pretesto; il fatto è che nelle opere del grande Maestro del Seicento si manifesta quello scadere dell’importanza del soggetto, a vantaggio dell’espressione artistica, che anticipa tutta l’arte moderna». (L. […]

tempesta«Molto spesso si è voluto vedere nei dipinti di Giorgione lo svilupparsi di un racconto che in realtà non esiste o che è assunto soltanto come pretesto; il fatto è che nelle opere del grande Maestro del Seicento si manifesta quello scadere dell’importanza del soggetto, a vantaggio dell’espressione artistica, che anticipa tutta l’arte moderna». (L. Venturi, Giorgione, in “Enciclopedia universale dell’arte”, VII, 1958).
Queste parole di Venturi sono molto esaurienti circa l’interpretazione della Tempesta del Giorgione, ma ciò che è fondamentale è l’anticipazione dell’arte moderna; ed è proprio questo lo spirito che ha indotto e spinto Francesco Guadagnuolo a (ri)creare la sua Tempesta.
Un’unione fra creato e umanità per scoprire uno stato d’animo di valore universale il quale si riferisce all’esistenza nel suo incessante mutamento; nel quadro ben articolato di Guadagnuolo, infatti, uomo e natura sono la stessa cosa: l’uomo da quando è sulla Terra ha avuto dalla natura vita e mantenimento mentre attualmente sembra che questo binomio venga meno, a causa del cosiddetto progresso o meglio della superficialità con cui abbiamo “liquidato” certi valori fondamentali.
Ne deriva che la natura, non rispettata e spesso abusata, si riprende il suo corso normale e quindi ogni anno si verificano puntualmente agghiaccianti sciagure naturali che colpiscono gli uomini, causando rovine e perdite umane. E, in realtà, niente può l’uomo di fronte a questo fenomeno.
Nell’opera La Tempesta di Guadagnuolo si nota il disfacimento di tutto questo. In alto lo squarcio delle nubi aprono lampi di luce, accompagnato dal frastuono di tuoni. La colorazione forte e tenue accentua l’inquietudine. Sembra, nonostante ciò che si vede di spaventoso, che il peggio deve ancora venire e l’acqua, sciaguratamente, innalzerà ancora.
Nella Tempesta di Guadagnuolo al centro si vedono inondazioni, fiumi straripati, l’acqua che inonda e distrugge tutto ciò che si trova davanti al suo cammino per cui il paesaggio ingentilito dall’uomo non è rimasta alcuna traccia.
In basso a destra la madre allatta ancora la vita e quel che rende ancora più triste la visione è che l’unica cosa viva dell’intera composizione è quel figlio partorito da poco, una nuova esistenza generata, la cosa più importante in quel momento.
A destra un soldato dai lineamenti asiatici fuma con distacco una sigaretta nella totale indifferenza di tutto ciò che lo circonda come se fosse estraneo all’intera composizione in quanto non importa ciò che sta accadendo, lui è lì, mandato da chi neanche conosce e senza spesso e volentieri sapere il perché, a controllare il territorio, con la sua infallibile dispensatrice di morte anche se non si comprende qual è il suo nemico dato che al momento attorno a sé c’è solo distruzione e quel suo sguardo perso nel vuoto colpisce non tanto per l’indifferenza, ma per il suo cinismo.
Forse anche il mondo contemporaneo con la sua politica è diventato cinico? L’umanità non è più quella dei tempi del Giorgione?
Facciamo nostro il “grido di dolore” del Maestro Guadagnuolo e siamo sicuri che con la sua rivisitazione di questo capolavoro riuscirà a risvegliare se non le anime perlomeno il cuore di tanti che avranno occasione di ammirarlo.
Renato Mammucari

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