Non è la farsa elettorale l’espressione più elevata di democrazia che assicura dignità e benessere al cittadino! Gli esseri umani non sono soltanto produttori di beni e di profitti, o consumatori. Sono anche creature che vogliono influenzare ciò che accade intorno a loro ed essere apprezzate per ciò che danno alla loro città. I nemici della società civile lo sanno ed è questa la molla che li spinge ad avversarla. Ma chi sono i nemici della società civile? Sono forse le istituzioni e le loro manipolazioni del potere, oppure è lo spirito dell’epoca che non risparmia neanche i diversi strati della stessa società civile? Da cosa è alimentato questo spirito, vorace e distruttore, da cui bisogna difendersi?
“Guardatevi dal pensiero unico”, ammoniva Václav Havel nei lontani anni ’70, considerandolo l’anima del sistema post-totalitario. Comparando le intenzioni di quest’ultimo con quelle della vita, Havel rilevava un abisso profondo. “Mentre per sua natura la vita tende al pluralismo, alla varietà dei colori, ad organizzarsi e costituirsi in modo indipendente, tende insomma, a realizzare la propria libertà, il sistema post-totalitario esige monolitismo, uniformità, disciplina, che per mantenersi, spaccia gli interessi del gruppo dominante per realtà oggettiva. Mentre la vita tende a creare strutture inverosimili sempre nuove, il sistema post-totalitario le impone situazioni più verosimili”. Questi intenti del sistema rivelano che la sua natura più peculiare è di ritornare a sé stesso, alla propria immagine, di essere sempre più saldamente e incondizionatamente “sé stesso” e di allargare sempre di più il proprio raggio d’azione.” Esso è al servizio del cittadino solo nella misura in cui ciò è indispensabile perché questi sia al suo servizio. Il “di più” viene valutato come un attacco al sistema stesso.
Nella gestione della res pubblica aquilana il pensiero unico si incarna in una falsificazione del passato, del significato delle sue immagini e dei comportamenti impressi nella civitas e nella civis, talvolta ribadendone la loro staticità antistorica, talvolta amputandola dei suoi elementi significativi; ma sempre all’interno di una visione episodica, a-sistemica, priva dell’humus che anima il presente. Adottando l’arte del promettere, il post-totalitarismo aquilano, con il suo pensiero unico finge di ascoltare il cittadino e poi agisce senza tener conto delle sue idee, delle sue problematiche. Il cittadino, sopportandolo passivamente vive in una forma di menzogna che, sebbene non accolta deliberatamente, viene subita. In tal modo egli ratifica il sistema, lo consolida e ne diventa parte integrante.
Ma questa condizione del cittadino e quella del suo contesto urbano, sono il risultato di un processo cieco, privo di ogni forma di intenzionalità, una sovrapposizione arbitraria e saltuaria di fatti isolati, un fenomeno incontrollato ed incontrollabile gestito da un “pensiero unico”? Lo spettacolo offerto dall’attuale situazione socio-ambientale ed economica aquilana sembra suffragare ampiamente quest’ultima interpretazione. Ma è solo questa la spiegazione? Da un’analisi più attenta, risulta chiaramente che questa descrizione, in apparenza giusta, si basa su premesse del tutto opinabili. La denuncia della irrazionalità del nostro ambiente e della sua natura alienata pur se necessaria, non può farci dimenticare che esso è il risultato della nostra “volontà e speranza progettuale” e che siamo noi tutti, direttamente o indirettamente, a far germogliare il pensiero e gli oggetti della nostra realtà, che a loro volta, in maniera determinante, creano la nostra condizione di cittadini. Molti di noi subiscono il pensiero unico per pigrizia e mancanza di speranza nelle proprie capacità progettuali.
Viviamo una oscillazione interiore – che ora ci proietta verso Gruppi sociali aperti ad un pensiero nuovo e partecipato, ed ora ci risucchia all’interno di un alienante “pensiero unico”, che si mostra nella rassicurante arte del promettere – e ci rende cittadini ombra. Siamo consapevoli della depressione che ci assale per una vita vissuta che non soddisfa il bisogno di una nostra “proiezione concreta” nel mondo che ci circonda. La città è la conferma della tangibilità di tutto ciò che facciamo, vogliamo e vogliamo fare, ma il rifiuto di tale proiezione implica il rifiuto della “progettazione”, giacché quest’ultima non esiste senza la prima. Occorre affermare che non ci basta più “il Fare” perché vogliamo “Progettare insieme” anche le “Regole del Fare”. Solo in ciò rintracciamo il filo legato ad un futuro di speranza. La “progettazione partecipata” è il nesso più solido che unisce il cittadino alla civis e alla civitas e che garantisce un futuro alle nuove generazioni.
Giancarlo De Amicis
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