Circa 250 mila lavoratrici sono vittime del lavoro, 2 mila diventano disabili

“Tesori da scoprire: la condizione della donna infortunata nella società. Un’indagine sulle donne vittime del lavoro”: è questo il titolo della ricerca presentata oggi pomeriggio dall’Anmil (associazione nazionale Mutilati e invalidi del lavoro) a Palazzo Giustiniani a Roma. Realizzato con il supporto tecnico di Datamining e Interago, lo studio – svolto 10 anni dopo l’indagine […]

DONNA-AL-LAVORO“Tesori da scoprire: la condizione della donna infortunata nella società. Un’indagine sulle donne vittime del lavoro”: è questo il titolo della ricerca presentata oggi pomeriggio dall’Anmil (associazione nazionale Mutilati e invalidi del lavoro) a Palazzo Giustiniani a Roma. Realizzato con il supporto tecnico di Datamining e Interago, lo studio – svolto 10 anni dopo l’indagine del 2003 sullo stesso soggetto – rivela che circa 250 mila lavoratrici italiane sono colpite ogni anno da infortunio o malattia professionale: 2 mila i casi che conducono a una condizione di disabilità. Vengono messi in luce il disagio psicologico, le difficoltà di riprendere il lavoro e le problematiche sociali connesse con l’incidente. Presenti all’incontro organizzato dall’Anmil, tra gli altri, la senatrice Silvana Amati (componente della commissione per la Tutela e la promozione dei diritti umani), il presidente dell’Inail Massimo De Felice, il presidente della commissione Lavoro del Senato Luigi Manconi. Questi, in sintesi, alcuni dei risultati emersi dall’indagine.
Reazione psicologica. Il 42,5% delle donne del campione soffre ancora di ansia/angoscia o incubi conseguenti all’infortunio: si rileva una tendenza maggiore per le donne sotto i 50 anni (59%) che decresce al salire dell’età, ad indicare un maggior livello di superamento del disagio man mano che il ricordo dell’infortunio si allontana nel tempo. Per quanto riguarda la percezione delle cause dell’incidente, solo il 25,5% le imputa a qualcosa/qualcuno esterno, mentre la maggior parte attribuisce la responsabilità dell’accaduto a una propria disattenzione. A causa del persistente disagio psichico successivo all’incidente, il 16,5% del campione considera necessario il supporto psicologico. Necessità avvertita soprattutto tra le donne fino a 50 anni di età, tra le quali il dato raggiunge il 36%.
Rapporti familiari. Il 55,5% delle donne infortunate non svolge le faccende domestiche come prima dell’infortunio e il dato ovviamente cresce con l’aumento del grado di invalidità. Al Sud, il dato cresce fino al 72,3%. Il 51,5% delle donne intervistate ritiene indispensabile un aiuto fisso di una badante o una domestica. Anche in questo caso, il dato cresce molto per le donne residenti al Sud (66%). Interessante i confronto con il dato rilevato tra i maschi infortunati, che solo nell’8% dei casi dichiarano la necessità di un aiuto esterno. Gli uomini percepiscono invece più delle donne (13% contro 5,5%) una perdita di autorevolezza in famiglia. Per quanto riguarda in particolare il rapporto con il compagno, questo si è interrotto dopo l’infortunio per il 23% delle donne intervistate, mentre la maggior parte di queste ha conservato la relazione. Il maggior numero di rotture di registra al nord ovest (29%, contro 15% al sud) e i livelli più alti di disabilità: quando l’infortunio riceve un punteggio di gravità superiore a 66, solo 1 uomo su 4 resta vicino alla compagna. Il 16% del campione ha costruito un rapporto con un nuovo compagno, soprattutto a nord-est (26,5%).
Rapporti sociali. Il 57% circa delle donne denuncia di aver perso il rapporto con amici e colleghi: il dato cresce fino al 63,5% tra le donne che hanno subito l’infortunio dopo il 2000. Il 46% (tra cui il 42% delle donne che ha perso le relazioni sociali precedenti all’infortunio) dichiara però di aver fatto nuove amicizie. Rispetto a 10 anni fa quando è stata svolta ricerca analoga, il contesto amicale sembra migliorare: nel 2003-2004 le donne che denunciavano una sensazione di solitudine erano circa il 30%.

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