Piovono botte da orbi sul governo e dai due lati dello schieramento: i sindacati, con la Camusso furiosa sulle dichiarazioni circa i conti e la trasparenza, e Squinzi, capo di Confindustria, che minaccia, se non si riducono le pastoie burocratiche, di traferire la sua industria fuori dal sacro suolo.
Ma Renzi dice che ce la farà, nonostante tutto e, senza muoversi di un solo passo dalla linea tracciata e si congeda dalla sua città, come sindaco, alla vigilia del capodanno fiorentino, affermando che il suo governo smentirà gli “uccelli del malaugurio”.
Anche ieri, al Tg1, aveva confermato che sul taglio degli stipendi dei supermanager “non si molla”, perché “non è possibile che l’amministratore delegato di una società guadagni 1000 volte in più dell’ultimo operaio” ed affermando che il modello sarà quello di Olivetti e del rapporto 1 a 10 tra lo stipendio dell’operaio e quello del manager.
Aggiungendo, a proposito dei mugugni che: “sono venti anni che guardando la tv si vedono Confindustria e sindacati arrabbiarsi” e concludendo: “ce ne faremo una ragione”, insinunando ironico che il segretario della Cgil Susanna Camusso e Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, fanno ormai coppia fissa nel criticare lui e il suo governo, senza però dare prova di trasparenza su loro conti e bilanci.
La Camusso si è inviperita e ha detto che l’asse non è neanche pensabile, dichiarandosi inoltre anche piuttosto offesa, perché la Cgil pubblica i bilanci dal 1976, su cartaceo prima e ora, da quando c’è, anche sul suo sito.
Ma Renzi non si lascia impressionare e fa intendere che le polemiche contro il suo governo sono partite da quando si è parlato di riforma della pubblica amministrazione, aggiungendo che quelle della strana coppia Camusso-Squinzi è solo un antipasto, rispetto alle lamentele che, lungo l’iter di tale riforma, si troverà ad affrontare.
“Prenderemo in mano questa riforma-dice Renzi-, per scardinarla completamente. Lì vedremo il derby palude contro corrente, conservazione contro innovazione” ed aggiunge che: “sarà durissima, la vera battaglia”, concludendo che lui non è lì a fare il premier né per Camusso né per Squinzi, ma “per le famiglie, per il singolo imprenditore, per le persone che non si sentono rappresentate e che hanno bisogno di vedere finalmente una svolta”.
Si dice anche culturalmente sorpreso dalla strana assonanza tra il capo dei sindacati e il capo degli industriali che insieme, davanti alla scommessa politica di togliere per la prima volta a se stessa e restituire ai cittadini e alle imprese, si oppongono, aggiungendo, però, di ritenerlo un ottimo segnale che gli indica di essere “sulla strada giusta”.
Altre botte Renzi le prende dal suo Pd, con quelli messi in minoranza che escono dall’angolo per dire no al suo nome sul simbolo di partito alle prossime europee.
Lui dice che questo non è importante e c’è ben altro a cui pensare, un Paese da salvare e rinnovare e da sistemare in modo da costituire un esempio per l’intera Europa.
I problemi minori gli vengono da Berlusconi che, impegnato com’è a garantirsi un futuro fra spinte contropposte entro il partito e a pochi giorni dal verdetto che lo vedrà, per dieci mesi, o “lavoratore socialmente utile” o agli arresti domiciliari, si limita a rimproverargli i troppi sorrisi ai capi di stato stranieri e la troppa “noscalance” quando, fra loro, resta in maniche di camicie.
Renzi sa che il vero problema, come sempre, è il denaro e la sua spending review, che più che a una partita di poker assomiglia a una di risiko.
E sa anche che sebbene la sua forza stia proprio nel suo modo di comunicare, deve far in modo da non alimentare le voci che lo definiscono “un Berlusconi con 40 anni di meno”, che ha messo in piedi la ormai celeberrima conferenza stampa a Palazzo Chigi, con tanto di slides sui primi provvedimenti del suo Governo: mille euro in più all’anno per chi ne guadagna meno di mille e cinquecento (da maggio); a settembre l’estinzione dei debiti della Pubblica Amministrazione con le imprese; il taglio della luce, in bolletta, per le aziende; l’aumento della tassazione sulle rendite finanziare (esclusi i titoli di Stato) che passa al 26%; il piano casa; il piano scuola; le aste per le auto blu su e-Bay.
Il tutto raccontato attraverso battute della serie, “venghino, signori venghino”, quando si è soffermato sulle aste per le auto di Stato, mentre sabato si è appreso che lo Stato ha lanciato un bando pubblico di acquisto per 1.500 nuove auto blindate.
Matteo Renzi deve capire se ha davvero imboccato la strada giusta per comunicare, perché non solo Gonfalonieri lo ha paragonato a Berlusconi che nel 1993 pronunciò il suo oramai leggendario “scendo in campo”, ma perché sono in molti ad affermare che lui è un” Berlusconi 2.0“, il prodotto di un creatore che ha cambiato (e non certo in bene) la comunicazione e l’Italia.
Ha comunque ragione Gustavo Pica, che sottolinea come Renzi sembra muoversi agilmente sul tavolo della “spending” ed al contrario dei governi precedenti ha messo nella semantica della propria azione di governo (ma sì, anche nella presentazione con le sue slide) l’intenzione di vincere questa battaglia.
E mentre l’incaricato alla spending di Mario Monti, Enrico Bondi, fu lasciato solo in una grande stanza, senza accesso a quella dei bottoni della Ragioneria generale dello Stato che controlla i dati, con un potere così dimezzato in un batter d’occhio da un simile distratto isolamento; il fatto che Renzi non molli la preda nei suoi discorsi è elemento che incide sulle aspettative delle persone, specie quelle che lavorano nell’amministrazione pubblica, rendendole più timorose e pronte a individuare gli sprechi per non essere sgridate dal “capo”.
Cottarelli ha potuto contare sul contributo a tempo parziale, senza alcun bonus, di tante persone di buona volontà che lavorano in altri uffici dell’amministrazione pubblica ed l’unico del team della spending che viene pagato per quanto fa.
Ma, dicono in molti, questo anche è un approccio ridicolo, basato sull’idea che sul tema degli sprechi si possa avere un “free lunch” che non esiste in nessun altro settore dell’attività economica, ovvero che si possa ottenere qualcosa senza fare investimenti, senza spendere. Cottarelli ha bisogno a tempo pieno di funzionari esperti di come si combatte la mafia, la corruzione, la collusione, l’incompetenza, i fattori che generano sprechi in quel mondo degli appalti e del personale che così tanto delle nostre tasse consumano. E devono essere ben pagati per il loro lavoro, perché questi sono investimenti che ridanno mille volte quanto sono costati e vanno intrapresi senza timore di spendere.
Anche perché, questo va detto in modo chiaro, tagliare uno spreco non taglia occupazione: comprare un ecotomografo al prezzo giusto senza rialzo indebito non mette in crisi l’azienda che lo vende e libera risorse per comprare ecotomografi aggiuntivi, se necessari. Però bisogna saperli individuare gli sprechi, e per questo ci vuole tempo e speso bene.
Dopo un racconto breve (“Il giullare”, 1991) ed una raccolta di poesie (“Carte da decifrare”, 2001), Ivano Fossati, con pazienza, ha scritto un libro (“Tretrecinque”), un romanzo a cui ha atteso per un ano e dopo un anno di riposo assoluto da ogni altro impegno, con pazienza, per comprendere ciò che, della sua esperienza, doveva tenere e ciò che andava tagliato.
Il protagonista del racconto è un cantante, strapazzato di città in città, che vive ai margini dei luoghi che contano, condannato alla provincia ovunque si trovi, che non transita nel tempo perfetto in cui gli eventi memorabili accadono, impegnato in una corsa senza respiro che non concede neanche un attimo per voltarsi indietro.
Noi tutti, da tempo, ci sentiamo come lui, come Vic Vincenti e speriamo che, almeno ora con Renzi, non abbiamo affidato i nostri sogni in mani sbagliate.
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