Benedetto XVI ha accolto la rinuncia del card. Walter Kasper all’incarico di presidente del Consiglio dell’ Unita’ dei Cristiani e ha nominato suo successore mons. Kurt Koch, finora vescovo di Basilea, vicino ai musulmani sulla legge che ha vietato in Svizzera la costruzione dei minareti, prudente sul reintegro dei lefebvriani, che proprio in terra elvetica, a Econe, hanno il loro quartier generale e deciso nel rivendicare le prerogative della Chiesa di fronte allo Stato, per quanto costretto, alla fine di una lunga vicenda giudiziaria, a gettare la spugna. Un altro tassello del mosaico della nuova Curia, che si vuole più trasparente, dialogante ed ecumenica. In una lettera indirizzata ieri ai suoi fedeli, Koch, preannunciando la propria nomina, ha spiegato che il Papa lo ha scelto anche perché proveniente da un paese della Riforma protestante. Oggi Benedetto XVI ha sottolineato che per lui “era importante che questo compito fosse nuovamente assunto da qualcuno che abbia esperienza diretta, e non solo letteraria, delle Chiese e delle comunità ecclesiali che provengono dalla Riforma”. Il Papa ha così nuovamente mostrato che non gli interessa solo l’ecumene con gli ortodossi, ma anche con i protestanti, e soprattutto che l’ecumenismo gli sta molto a cuore. In questo senso, mons. Koch ricorda che nel suo nuovo ruolo sarà anche responsabile dei rapporti con l’ebraismo. “L’accusa che Papa Benedetto voglia tornare indietro rispetto al Concilio vaticano II è oggi diffusa nel pubblico, per ignoranza o – afferma Koch in trasparente riferimento al teologo cattolico svizzero Hans Kueng – per la consapevole intenzione di alcuni teologi che dovrebbero saperlo ma dicono ad alta voce il contrario. Queste accuse sono un grave equivoco. Papa Benedetto XVI non vuole assolutamente andare ‘indietro’, vuole invece portare la nostra Chiesa in profondità”. Ratzinger, per il nuovo responsabile del rapporto con gli ebrei e gli altri cristiani, “spinge anche oggi per una nuova ‘reformatio’ della Chiesa dal di dentro, e cioè per restituirle la sua forma autentica, come già nel Concilio vaticano I si è realizzato”. Benedetto XVI, ha più volte affermato chele cause della decadenza della Chiesa sono da ricercare nella vanità, nell’orgoglio, e nell’attaccamento al denaro ed affermata l’intenzione e la necessità, di far marcia indietro. Il fatto è che ancora oggi molti fanno fatica ad accettare due millenni di storia, scanditi da massacri orrendi per mano di crociati ad oriente e ad occidente, da persecuzioni, torture, assassini e stermini, praticati sotto la “bellezza” del volto della Chiesa, nel nome dell’integrità del suo Corpo mistico, sulla scorta della sua capacità di profezia e di testimonianza (tanto per usare le parole del Papa), a danno di eretici, ebrei, scienziati, streghe, omosessuali, ecc. Secondo il Papa “Gli uomini che operano il male non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti. Vi è dunque una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali che cercano di impedirne o coartarne la missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l’autenticità e la credibilità”. Eppure, mentre secondo l’avvocato del Vaticano in America, Jerry Lena, la Santa Sede non potrà essere chiamata in giudizio poiché i sacerdoti non sono suoi impiegati, ciccando sulsito www.sovvenire.it, ed accendendo attraverso i rendiconti annuali, al seguente documento http://www.8xmille.it/pdf/rendiconto_2008.pdf, si vede chiaramente che la Conferenza Episcopale stabilisce una somma per “il dignitoso sostentamento dei sacerdoti”, al netto dei contributi previdenziali dovuti al Fondo Clero dell’INPS e al lordo delle ritenute fiscali. Nel Vangelo Gesù “date a Cesare quel che è di Cesare”; una Chiesa che insegue il denaro, che insegue i ricchi, che approfitta dei meno ricchi usando la scusa dei poveri e della carità e che poi perseguita i suoi figli, che esercita il suo potere, anche con ingerenze nella politica, deve assumersi le responsabilità su verità tenute nascoste, insabbiate e delle quali stenta a chiedere scusa facendo puro vittimismo, se vuole davvero che il mosaico non risulti mostruoso. Fra tre giorni, a Sulmona, il successore di Pietro venererà le reliquie di San Celestino V e probabilmente rifletterà su quale sia la chiessa più giusta: quella spirituale del Santo del Morrone o quella del suo successore, Bonifacio VIII. Nella “Storia d’Italia ” di I. Montanelli e R. Gervaso, Volume II, leggiamo che Bonifacio, appresa la morte dell’eremita del Morrone, “non ebbe il minimo trasalimento di rimorso. Egli non era oberato da una coscienza che potesse procurargliene. E, quanto alla giustizia divina cui rendere conto dei propri atti, ne negava risolutamente e apertamente l’eventualità. L’inferno e il paradiso, diceva, sono già sulla terra. Il primo è rappresentato dalla vecchiaia, dagli acciacchi, dall’impotenza; il secondo dalla giovinezza, dalla salute, dalle donne, dai bei guaglioni, perchè verso i due sessi era imparziale”. Speriamo che Benedetto, formatosi su un’alta (ed altra) teologia, abbia ben altri convincimenti.
Carlo Di Stanislao
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