I lavoratori lo definiscono un gioco al massacro, e naturalmente non sono loro a divertirsi. Nel settore dei call center chi guadagna davvero sono i committenti che appaltano i servizi al massimo ribasso. Lo sottolinea Rassegna (www.rassegna.it) nell’inchiesta dedicata oggi allo sciopero dei call center. E se in Italia non conviene, si rivolgono a fornitori esteri. In Serbia, Romania, Croazia, Tunisia. Ovunque ci sia qualcuno che conosca un po’ di italiano e sia disposto a tacere sui salari da fame. Nel nostro paese gli operatori dei call center sono circa 80 mila.
Di questi, 45 mila, i cosiddetti inbound (cioe’ quelli che ricevono telefonate), forniscono prestazioni a soggetti sia pubblici che privati. Sono addetti subordinati, per il 70 per cento donne, in prevalenza a part-time. Gli outbound, invece, in tutto 35 mila, si occupano di vendite telefoniche e lavorano a progetto. Il contratto di riferimento e’ quello delle telecomunicazioni.
La legge finanziaria del 2007 porto’ alla stabilizzazione di 26 mila dipendenti, ponendo un freno a fenomeni di sfruttamento ampiamente diffusi. Ma nel giro di pochi anni la tendenza a regolarizzare si e’ completamente ribaltata, tanto da spingere i sindacati a indire lo sciopero nazionale del 4 giugno per protestare contro un meccanismo che scarica sulle spalle dei lavoratori una competizione durissima.
Giuseppe Giallanza e’ delegato della Slc Cgil presso la sede di Accenture a Palermo. La sua carriera e’ iniziata alla British Telecom Italia (Bt), dove si occupava di assistenza tecnica. Da quando la Bt ha ceduto questo ramo d’azienda si ritrova a svolgere lo stesso tipo di servizio per Bt, ma come dipendente di Accenture. Nel passaggio di consegne il suo stipendio e’ stato ridotto sia dal committente che dal fornitore. A partire dal primo settembre rischia di rimanere senza lavoro, insieme ad altri 270 colleghi. Bt ha infatti annunciato che non rinnovera’ la commessa perche’ i costi sono troppo alti. “Se dovessimo perdere il posto, il pericolo e’ di diventare i precursori di un possibile effetto domino- commenta Giallanza- In un contesto gia’ di per se’ precario, si aggiunge la circostanza che siamo il frutto di un’esternalizzazione. In teoria dovremmo ‘seguire’ la commessa, invece ci fanno uscire dal mercato. Se ‘passa’ per noi, questa pratica sara’ sicuramente estesa poi ad altri. E allora occorre porre un argine per non creare un precedente. Abbiamo assolutamente bisogno di una normativa che difenda il lavoro unificando il salario”. L’attuale vuoto legislativo fa si’, infatti, che le aziende possano dislocare sedi e servizi dove i costi sono ridotti”.
Gli addetti al customer care di Accenture sono dei professionisti. Trattano dati sensibili e hanno grande esperienza: non sempre la qualita’ degli operatori e’ di questo livello. Grazie al proprio lavoro hanno avuto la possibilita’ di mettere su famiglia. Quasi tutti hanno un mutuo da pagare, una vita normale da condurre. Ora tutto vacilla, e se il sistema crolla, per molti significhera’ non avere alternative. Interessante e’ anche la geografia dei call center. La maggior parte di essi si trova nelle regioni del Mezzogiorno.
Terminate le agevolazioni del 2007, molte aziende hanno infatti spostato le loro sedi dal Nord al Sud, dove potevano usufruire degli sgravi derivanti dalla legge sugli incentivi per l’assunzione dei lavoratori disoccupati (L. 407/90) e dai fondi sociali europei. Si calcola che la legge 407 del 1990 abbia permesso un risparmio del 31 per cento, mentre i fondi sociali europei addirittura dell’87,5 per cento. Tutto cio’, pero’, non e’ bastato a garantire stabilita’. In un settore dove il 70 per cento del fatturato e’ rappresentato dal costo del lavoro, la competizione non puo’ che essere al ribasso. Oltre che con le delocalizzazioni, le aziende sane devono fare i conti con ampie sacche di lavoro nero. In questo gioco anche lo Stato ci rimette.
Negli ultimi tre anni, sottolinea ancora Rassegna, fra cassa integrazione, mobilita’, mancati versamenti dei contributi a Inps e Inail e improprio utilizzo dei fondi sociali europei, abbiamo perso circa 480 milioni di euro, tutti andati a beneficio dei committenti. “Tutto cio’ senza aver creato neanche un posto di lavoro in piu’; anzi, con la prospettiva di perderne parecchi. C’e’ solo un modo per frenare questa emorragia: adeguare la nostra normativa a quella europea, cosi’ da impedire il dumping salariale- dice Michele Azzola, segretario nazionale della Slc Cgil e responsabile delle telecomunicazioni- Dobbiamo tornare a competere sulla qualita’ e a garantire continuita’ occupazionale. Gli altri paesi dell’Unione hanno gia’ recepito i dettami europei. L’Italia conserva un inspiegabile ritardo. Al governo chiediamo dunque di sanare tempestivamente la situazione. Piu’ il tempo passa, piu’ il nostro tessuto economico e produttivo peggiora, impoverendosi”.
Si puo’ continuare la lettura al link http://www.rassegna.it/articoli/2014/06/4/112151/call-center-lavoratori-al-massimo-ribasso
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