Di Ferruccio Parri non si ricorda nessuno, o quasi ed a parte la monografia del 2004 “La nazione perduta” di Luca Poleme Remaggi, nessuno ha scritto di lui e del valore delle sue idee.
Figura di primo piano dell’antifascismo, icona della Resistenza, primo presidente del consiglio del dopoguerra, preso ad esempio dalle generazioni del sessantotto, dopo la morte, avvenuta nel 1981, ha conosciuto l’oblio, sporadicamente interrotto da qualche rito di celebrazione che però non ne hanno restituito appiano la complessa, gigantesca figura.
Protagonista, negli anni giovanili, della cosiddetta “rivoluzione antigiolittiana”, leader della “rivoluzione antifascista”, interessante è soprattutto tenere conto dei mutamenti sia nel rapporto con la democrazia (ancorché egli imputi una scarsa attenzione a essa come procedure condivise in favore di una visione incentrata sui valori), sia nella concezione economica, con un carattere anticorporativo da liberismo colto.
Il lungo filo rosso è lo stile politico radicale, che lo accomuna ad altri azionisti politicamente attivi nel dopoguerra. È il vero elemento di divisione tra i dirigenti politici che presero parte al Partito d’azione e che nel dopoguerra spaziarono dal Pri a Democrazia proletaria e tra quanti scorsero nella faticosa costruzione democratica l’avvio di una fase evolutiva, che doveva prendere atto dei materiali effettivamente disponibili, differenziandolo da coloro che, al contrario, scorsero nell’egemonia della Dc un macigno insormontabile da eliminare.
Mi è venuto in mente Parri (come anche Croce e Silone ed il loro lungo dibattito sul concetto di democrazia), proprio in questi giorni in cui il governo di Renzi pare farsi dittatura, incapace di ascoltare critiche e di fare autocritiche, mosso da una ferrea volontà di spazzare via il passato senza distinguo fra cose buone o meno, con una “possesso” assurdo della verità che lo rende quanto mai sordo e spericolato.
Oggi le lamentele sul “deficit di democrazia” delle istituzioni italiane, ma anche europee e statunitensi, sono infinite, così come sono infiniti gli allarmi sulla generale crisi “della e delle democrazie” nel mondo e mi angoscia vedere come in Italia si cerca di affrontare la crisi del Paese senza fare il minimo riferimento al funzionamento (o meglio alle drammatiche disfunzioni) delle istituzioni.
Ci si accanisce contro la”casta”, ma non si scalfisce nemmeno la partitocrazia: anche se invece di partiti abbiamo oggi cosche, mafie, correnti, clan o come vorrete chiamarli. Di fronte alla crisi della democrazia che li circondava, Croce, Silone e Parri, appunto, cercarono una “uscita di sicurezza” che affondasse nel cuore del dramma del loro tempo.
Oggi mancano invece intellettuali o politici in grado di indicarci la via, di darci una direzione ed uno scopo ed è difficile andare con la testa alta e coraggiosamente come pure chiede appassionato Papa Bergoglio.
Si badi bene, come Croce e non come Silone, io credo che non si debba per forza essere schierati o militanti e come Parri credo che non si debba neanche fare di tutt’erba un fascio.
Credo invece sia giunto il momento di reclamare a gran voce il rispetto che come cittadini meritiamo, smettendo o il disimpegno becero e vociante o anche l’accidia hegeliana che affida al processo della storia dello spirito la vittoria delle ragioni della collettività sull’egoismo dei singoli.
Non avremo nessun regalo se non sapremo reclamarlo e come ci insegnano i purtroppo dimenticati Camus e Sartre, Horkheimer ed Adorno, come ci insegna la vicenda di Celestino, tornata attuale con la rinuncia di Benedetto XVI, se speriamo che vi sia una diffusa sensibilità nella classe dirigente e politica, riponiamo male le nostre speranze e finiremo certamente sconfitti ed inascoltati.
Ce lo dicono in molti, ce lo racconta, in forma di fabula, abbandonando per una volta il sentiero prettamente storico di gran parte dei suoi lavori precedenti per abbracciare invece l’idea di un documentario moderno che fonde l’attualità di una realtà sociale ben precisa con la storia; Gianfranco Pannone in “Un vulcano”, che non parla solo della Napoli vesuviana, da di tutta l’Italia e di tutti noi, con la forza dell’opera filmica in perfetto equilibrio con un racconto che unisce la sacralità del reale al potere evocativo di un narrare seducente, per dirci, con immagini, musiche e parole, che se non chiedendo con forza non avremo nulla, neanche i nostri più elementari diritti, che ci saranno elargiti come elemosina, centellinati come fossero doni.
Ed ecco allora che i politici vecchi e nuovi, mentre la crisi avanza a mangiare fette di speranza, si preoccupano di riempire giornate e giornali solo per garantirsi un ruolo ed un futuro, per rinviare i problemi, per far solo finta che saranno presi in considerazione e risolti.
Come scrive l’ancora lucido e vigile e conscio del passato e dei suoi lasciti Eugenio Scalfaro, intanto che si approva il Job Act, ciò che interessa davvero i politici è la riforma della legge elettorale, che dovrà esser varata anche se ancora numerose sono le variazioni che il Pd vorrebbe includervi non ancora concordate con Forza Italia in modo definitivo.
Perché i politici cercano il modo migliore per garantirsi ruolo, cespiti e futuro, senza neanche ricordarsi più, né a destra né a sinistra, che ideologia significa orientarsi secondo un sistema di idee interconnesse da una dominante: si privilegia l’eguaglianza oppure la libertà, la tutela dei più deboli; oppure i risultati della gara dalla quale emergono i vincitori e soccombono gli sconfitti, ma senza che questi restino senza lauto stipendio.
Nesuno più parla o si interessa di socialismo, liberismo, progressismo, machiavellismo, nessuno, tranne il Papa, che però non è un politico e ha potere sulle anime, non certo sui corpi e sul quotidiano.
Appaiono senza senso eroi come quello che si vede su youtube nel corto “Unsong Hero”, perché domina nella società tutta, infilzata e plagiata dai media, la totale indifferenza per tutto ciò che non ci riguarda direttamente.
Un’altra delle sconfitte della generazione dei cinquanta-sessantenni, di quelli i quali, dopo la caduta del muro di Berlino del 1989, già avevano compreso che le ideologie erano state sepolte per sempre, ma non hanno fatto nulla, in tutti questi anni, per recuperarne le migliori.
Carlo Di Stanislao
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