Secondo Alberto D’Argento di Repubblica, le bombe ad orologeria disseminate lungo il cammino del capo del governo sono tre e si chiamano: Giacomo Caliendo, Nicola Cosentino e Denis Verdini, coinvolti alla grande nel caso P3 e che ora rischiano di essere impallinati in Parlamento e non solo dai finiani. Ieri il capogruppo al Senato dell’Idv, Felice Belisario, ha annunciato la mozione di sfiducia contro Caliendo, sottosegretario alla Giustizia, chiedendo al resto dell’opposizione di sostenerla. Un grattacapo per Berlusconi, al quale presto se ne potrebbero aggiungere altri due: a Montecitorio si aspetta la richiesta dei pm per l’uso delle intercettazioni di Cosentino e Verdini sulla P3 e, ancora, il fatto che Verdini e Cosentino, rispettivamente coordinatori nazionale e campano, nel stesso Pdl di nemici ne hanno molti. Il Corriere, che al caso P3 e alle “trappole” lungo la via del premier dedica le intere pagine 2 e 3, afferma che il Cavaliere è preda di “un’ira fredda “, tutta rivolta contro chi ha cavalcato il caso, chiedendo le dimissioni di Verdini, adducendo motivi di opportunità ed esigenze di moralità, arrivando a sostenere che altre indiscrezioni verranno alla luce, con notizie e coinvolgimenti ancora più imbarazzanti. Il cavaliere c’è l’ha, neanche a dirlo, con Italo Bocchino, ritenuto uomo di massima fiducia di Gianfranco Fini, quasi il suo braccio armato. Per il Giornale quella sulla P3 resta un’inchiesta da ridere, ordita da certa magistratura per togliere potere alla politica e lasciare i soli pm a governare il Paese. Ma a giudicare da ciò che scrivono tutti gli altri giornali (compresi Stampa e Sole 24 ore che certo di sinistra non sono) e alle dichiarazioni a mezza bocca e denti stretti di molti del Pdl, tanto da ridere non è. Le riunioni della cricca non si sarebbero tenute in una bocciofila, bensì nell’abitazione romana di Denis Verdini, incontri volti a manipolare la sentenza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano e, anche se i risultati non furono quelli sperati, essi ci provarono con tutti i mezzi, soprattutto quelli illeciti. Insomma, Lombardi e gli altri, si riunivano al fine di ottenere encomi e meriti da parte del premier, poiché il fine delle loro riunioni era quello di ordire un piano per influenzare il Csm e così ottenere crediti nei confronti del primo ministro. Lo stesso Berlusconi è finito nella bufera: i carabinieri in una nota dell’informativa ai pm stilata nell’ambito dell’inchiesta, hanno scritto che “Cesare è lo pseudonimo utilizzato dai soggetti per riferirsi al presidente del Consiglio”, circostanza sui cui è intervenuto subito (il 16 luglio) l’avvocato del premier, il deputato Pdl Ghedini, con la specificazione seguente: “In relazione ad articoli apparsi tendenti a far ritenere che vi fosse una consapevolezza da parte di Berlusconi di attività antigiuridiche di terzi, peraltro da comprovare, si deve ribadire come tali progettazioni siano del tutto in veritiere”. Troppo secca e tempestiva, la risposta, per scambiare l’indagine con uno scherzo di nessun significato. Anche perché, dopo Scajola, Brancher e Cosentino, ora il coinvolgimento di altri tre pezzi grossi indeboliscono il Pdl e fanno aumentare le pretese della Lega. Dovrà rinviare o addirittura rinunciare alle sue vacanze Berlusconi (che comunque potrà godere a Roma dell’ospitalità della principessa Borghese, con tanto di giardino interno e fontane, in una magione più che dignitosa), perché è necessaria la sua presenza per far marciare il ddl, contenere la Lega, smorzare le fiamme nel Pdl e, soprattutto, venire a capo della guerra con Fini, difendendo, al contempo, se stesso ed i suoi, dalle nuove inchieste. E’ vero che siamo a luglio e lui non è Cesare, ma certo il clima è quello delle celebri “Idi”, anche se il nome vero di chi darà le 23 pugnalate, ancora non è del tutto chiaro. E proprio perché non è Cesare, lui non sopporterà in silenzio e dopo la prima, eviterà con scrupolo e con “ alte grida” le altre ventidue ferite e, inoltre, non dirà, conversando con gli amici più fedeli, come fece Caio Giulio, la sera prima delle Idi, con Marco Lepido, di “preferire alle altre “una morte rapida”. Saprà invece dimostrare, nell’arena, che è un gladiatore di razza ed un vincitore designato dal cielo e, soprattutto, uno destinato (e non solo a parole) ad essere immortale, a dispetto di tutti. Però stia attento in “non Cesare”, poiché, come insegna Cuoco, la storia tende inesorabilmente a ripetersi. Presero parte alla congiura del 15 marzo del 44 a.C., più di 60 persone, con a capo gli ex-pompeiani Caio Cassio e Marco Bruto e vi aderirono anche alcuni cesariani, tra cui Decimo Bruto, Trebonio, uno dei migliori generali di Cesare destinato al consolato nel 42. Stia attento il primo ministro a non guardarsi solo dalle armi che si affilano nell’area finiana.
Carlo Di Stanislao
Lascia un commento