Un ospite speciale che non si nasconde dietro ai servizi di sicurezza, ma che, senza scorta, va a visitare i poveri di Kibera, la più grande baraccopoli dell’Africa e che parla di non violenza, mentre il mondo ne è pervaso.
Nella prima tappa di questo suo viaggio, il Kenia, paese a forte rischio terrorismo, dove, nell’aprile scorso, gli Shabab islamici sono riusciti a gettare nel dolore l’intero paese uccidendo 147 studenti universitari nella città di Garissa, niente auto blindate o scorte armate per lui, ma solo una utilitaria, una Honda del tutto normale e senza nessun aggiuntivo sistema di sicurezza.
Questo è Papa Francesco, che nella sua omelia, durate la messa celebrata a Santa Marta, appena prima della sua partenza per il continente africano, aveva detto: “Maledetti coloro che fanno la guerra” , ed oggi, nel suo secondo giorno di visita in Kenia, aggiunge: “il Dio che noi cerchiamo di servire è un Dio di pace”.
E’ la prima volta di Bergoglio in Africa, cuore e culla dell’umanità, dove povertà ed emergenza sanitaria hanno un radicamento endemico e mietono vittime ogni giorno, dove la miseria, i soldati bambini, gli stupri etnici, la tragedia dell’Hiv, della tubercolosi e di Ebola sono nella vita di tutti i giorni.
Al centro del viaggio apostolico anche l’apertura in anteprima della Porta Santa della Cattedrale di Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana, che segna l’avvio dell’Anno Santo della Misericordia, evento che costituisce più che una novità un unicum nella storia del cattolicesimo e che è ancora più emblematico in questi giorni in cui paura e terrore serpeggiano ovunque.
Il viaggio di Papa Francesco nella tormentata Africa, può essere davvero letto come un antidoto alla paura collettiva che dilaga ovunque dopo gli attentati di Parigi e quello all’hotel Radisson Blu di Bamako in Mali. Ciò che questo Papa straordinario intende fare durante la sua visita a tre paesi a forte prevalenza cattolica in quel continente, è di incoraggiare gli africani (ma non solo) a guardare avanti, ad andare ben oltre le nubi nere che si addensano all’orizzonte e incitare tutti a non smettere di sperare, anzi, di rovesciare la sorte, mettendo a fuoco le cause che sono all’origine del terrorismo e che risiedono principalmente nella povertà e nell’ignoranza.
Al presidente Kenyatta, figlio del primo presidente della storia del Paese, considerato il padre della nazione e appartenente ad una delle famiglie più potenti e ricche, ha ricordato che bisogna ascoltare le aspirazioni dei giovani e progettare “una giusta distribuzione delle risorse umane e naturali”.
“Fintanto che le nostre società sperimenteranno le divisioni, siano esse etniche, religiose o economiche – ha detto il Papa nel suo primo discorso in terra africana – tutti gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati a operare per la riconciliazione e la pace, per il perdono e la guarigione dei cuori”. ”
Nell’opera di costruzione di un solido ordine democratico, di rafforzamento della coesione e dell’integrazione, della tolleranza e del rispetto per gli altri – ha aggiunto – il perseguimento del bene comune deve essere un obiettivo primario”.
Il Papa, ha detto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, vuole “portare un messaggio di pace e riconciliazione”, non solo ad un continente attraversato da molte violenze, ma all’intero mondo, che è impastato di diseguaglianze e paure.
Nella nunziatura di Nairobi, al suo arrivo in Kenia, hanno preso la parola Peter Kairo, vescovo di Nyeri e capo della Commissione per il dialogo interreligioso, Abdulghafur El-Busaidy, coordinatore nazionale del Supremo consiglio dei musulmani del Kenya e l’arcivescovo anglicano Eliud Wabukala, della cattedrale di Ognissanti, in una cerimonia a cui hanno partecipato anche esponenti sia musulmani che protestanti, nonché personalità civili particolarmente impegnate nella promozione del dialogo interreligioso.
“Non possiamo certo continuare in questa direzione”, ha affermato l’esponente mussulmano El Busaidy e dopo aver elencato i molti mali sociali, compresa la “religione senza spiritualità”, ha richiamato come esempio da seguire le parole di Papa Bergoglio, che vede nel continente africano “un crocevia spirituale” e nel dialogo l’antidoto contro “le crescenti attività di terrorismo e radicalismo, che minacciano la pace e la coesistenza, e la integrazione tra le fedi e le comunità” .
Dopo il 13 novembre, come scrive su il Fatto Quotidiano Paolo Becchi, abbiamo scoperto che non si può fare una guerra contro un nemico a cui siamo noi a vendere le armi. Basta ipocrisie, ci dice Bergoglio, basta parlare di nichilismo per tranquillizzare le nostre coscienze.
Ha ragione Franco Cardini quando dice che non è l’Islam che ci minaccia e nemmeno il suo perfido succedaneo ch’è l’islamismo. E’ contro l’ingiusto assetto del mondo, contro l’assurdo squilibrio di un’umanità divisa fra pochissimi troppo ricchi e una sterminata moltitudine di troppo poveri, che è necessario volgere la nostra attenzione.
E’ questo il mondo delle insopportabili disuguaglianze lucidamente denunziate nell’enciclica “Laudato si’” di papa Francesco, la Mater terribilis, ancora e sempre mostruosamente feconda, dei mostri che stiamo affrontando e che dovremo ancora affrontare nell’immediato futuro.
Carlo Di Stanislao
.
Lascia un commento