Il Ministero degli Esteri a Roma è un enorme palazzo bianco, con 1.300 stanze. Nello Studio del Ministro, le alti pareti bianche lasciano ampio spazio all’arte moderna. Si riporta la traduzione del’intervista rilasciata del Ministro Paolo Gentiloni all’Handelsblat sulla crisi dei rifugiati.
HB: Signor Ministro, l’Unione Europea ha rinviato il tema dell’emergenza migratoria al prossimo vertice. L’Austria chiude le frontiere. E’ uno sviluppo preoccupante?
L’Europa è sull’orlo del precipizio. Mi auguro che non ci siano decisioni drastiche e irreversibili. Nelle ultime settimane ci sono stati maggiori controlli alle frontiere, ma sono ancora compatibili con le regole di Schengen. Una chiusura vera e propria avrebbe conseguenze e porterebbe ad una reazione a catena in diversi Paesi dei Balcani occidentali. Comprendiamo le difficoltà di Paesi come l’Austria, ma la risposta deve essere europea, non unilaterale.
HB: La reazione a catena già si delinea, l’Ungheria per esempio vuole far votare sulle quote e se si guarda ad Atene…
….Ho trovato singolare il fatto che alcuni giorni fa si siano riuniti a Vienna una serie di Paesi per parlare dei problemi della Grecia, in assenza della Grecia. Naturalmente Atene deve fare il possibile per la registrazione dei migranti, ma la situazione di quel Paese è la dimostrazione del fatto che le attuali regole europee dell’accordo di Dublino vanno aggiornate. Secondo queste regole la Grecia, che l’anno scorso ha accolto 850.000 migranti, avrebbe dovuto non solo registrarli – cosa fattibile – ma anche ospitare tutti coloro che avevano diritto all’asilo e ripatriare tutti gli altri. E’ irrealistico pensare che la Grecia possa farlo da sola. La geografia non può essere il fattore decisivo.
HB: Quindi in sintesi salvare Schengen e cambiare Dublino?
Si. Perché senza la libera circolazione non c’è il mercato unico. E su questo Italia e Germania sono concordi.
HB: Ma come dovrebbe essere aggiornato esattamente l’Accordo di Dublino? Con nuovi contingenti?
I Paesi di primo approdo potrebbero assumersi la responsabilità della registrazione. Tutto il resto – dalla sorveglianza delle frontiere esterne al contrasto dei trafficanti, dall’accoglienza dei rifugiati al rimpatrio di chi non ha diritto all’asilo alle regole stesse dell’asilo – deve essere condiviso a livello europeo.
HB: Lei teme nuove reazioni xenofobe?
Non bisogna illudere le persone e dire loro che il problema sarà risolto, ma bisogna invece lavorare affinché sia gestibile: controllare i flussi e limitarli – e ciò è possibile – e trovare una modalità comune di gestione europea. Se le due cose funzionano, una regione ricca come l’UE con centinaia di milioni di abitanti può ospitare centinaia di migliaia di migranti e richiedenti asilo.
HB: Lampedusa. L’Italia ha una grande esperienza con i rifugiati. Si può prevedere una fine?
La crisi dei rifugiati non è nata nell’agosto 2015 e non finirà tra due mesi. E’ un fenomeno che durerà per una intera generazione, anche se con flussi ridotti e meglio organizzati.
HB: Come andrà avanti con l’Europa?
E’ inevitabile andare verso una maggiore integrazione trai Paesi che sono disponibili, e non saranno tutti i 28. Ci sarà un’Europa a cerchi concentrici. Alcuni Paesi puntano solo al Mercato Unico e non sono interessati all’unione bancaria o ad una politica estera comune. Ma chi vuole un’Europa integrata non può farsi fermare da quelli che non vogliono partecipare. L’Italia dice: per primo, dare slancio all’integrazione e, secondo, il motore di questo gruppo di Paesi non può essere costituito solo dall’Eurogruppo, dalle finanze. Deve essere recuperata la dimensione politica e culturale.
HB: Il Premier Matteo Renzi ha parlato di un allargamento dell’UE, menzionando Albania, Serbia, Montenegro. E la Turchia?
Con questi Paesi ci sono già negoziati in corso, ma il processo è molto lento. In particolare nei Balcani la prospettiva di adesione all’UE tiene insieme la società. Se ci sta la Croazia perché in futuro non l’Albania. Dobbiamo dar una speranza ai Paesi.
HB: Come è la sua visione per l’Europa?
Dobbiamo evitare una “tempesta perfetta” tra le tre minacce del Brexit, della crisi migratoria e della stagnazione economica, e dunque di una crescita debole. L’unica soluzione sta nella gestione comune della crisi migratoria. E per questo l’Italia chiede un cambiamento della politica economica che si allontani dall’austerità.
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