I sogni hanno un loro linguaggio

Fidarsi dei sogni si può, ma solo a una condizione: accedere alle immagini simboliche senza fermarsi al loro significato letterale. Parola di Riccardo Mondo, docente di Psicologia del sogno nella Scuola di psicoterapia dell’età evolutiva dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma. L’analista junghiano terrà sabato e domenica a Roma ( 12 e 13 marzo) un […]

Fidarsi dei sogni si può, ma solo a una condizione: accedere alle immagini simboliche senza fermarsi al loro significato letterale. Parola di Riccardo Mondo, docente di Psicologia del sogno nella Scuola di psicoterapia dell’età evolutiva dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma.

L’analista junghiano terrà sabato e domenica a Roma ( 12 e 13 marzo) un seminario promosso dalla scuola di specializzazione dell’IdO su ‘Il respiro onirico: il reale e l’immaginale. Laboratorio di Psicologia archetipica’, in via Alessandria 128 b dalle 9 alle 18.

Realtà, irrealtà o illusione. Cosa vogliono dire queste tre parole se si parla di sogni? “Il sogno può essere tante cose contemporaneamente, ma la sua realtà dipende dal rapporto che la coscienza del sognatore ha con la sua esperienza onirica. Inoltre, la vera complessità- precisa l’esperto- è distinguere nel sogno ciò che è reale da ciò che è irreale e illusorio. Perché i sogni possono illuderci, possono tendere, come direbbe Freud, a un soddisfacimento allucinatorio di un desiderio. E seguire acriticamente il messaggio onirico potrebbe portarci a una deriva pericolosa”.
Mondo non parlerà solo di sogni a Roma. Domani sera (11 marzo), insieme a Magda Di Renzo, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttrice della Scuola di specializzazione dell’IdO, – nel corso del ‘Venerdì Culturale’ promosso dall’Istituto e in programma dalle 21 in Via Alessandria 128/b – tratterà anche il ‘diritto a non parlare’: “Il rapporto che esiste tra la parola e il silenzio, e il commento che il terapeuta fa della parola e del silenzio del paziente. In quest’ottica- conclude l’analista junghiano- lo psicoterapeuta diventa una forza riparatrice che riconosce al paziente anche il diritto a non parlare affinché ritrovi in se stesso il senso del proprio esistere”.

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