“Questa non è una guerra di religione, ma di affari e interessi” ha detto Papa Bergoglio alla Giornata della Gioventù svoltasi oggi, mercoledì 28 luglio, a Cracovia.
L’Isis, le persecuzioni contro i cristiani, le crudeltà filmate con puntuale diligenza fanno parte del corollario di un conflitto planetario alimentato dai famelici appetiti dei trafficanti di armi, da chi specula sul petrolio o sui diamanti, o da chi agisce per dominare i popoli.
Bergoglio lo ha detto in diverse occasioni , puntando il dito contro chi, sulla scena internazionale, offre la pace ma poi, dietro le quinte, vende montagne d’armi ai terroristi. Ipocrisie, avidità, cinismo. Questi i veri motivi di questa nuova, devastante guerra planetaria.
Come lui stesso l’aveva già definita, questa è la terza guerra mondiale a pezzetti, aggiungendo : “quando parlo di guerra, ne parlo sul serio, ma non si tratta di un conflitto religioso perché tutte le religioni vogliono la pace. Qui si tratta di guerre fatte per interessi, soldi, risorse, dominio di popoli”.
Il Papa ha anche indicato in Jacques Hamel, l’86enne prete sgozzato ieri dell’ISIS nella sua parrocchia a pochi chilometri di Rouen, definendolo “il primo martire Europeo”, un omicidio che, ha detto, è stato commesso col chiaro obiettivo di colpire e profanare la cristianità, perpetrato da a due ragazzini già segnalati alle forze dell’ordine, che prima di essere uccisi hanno dichiarato di essere soldati dell’Isis, che ha rivendicato l’attacco.
“Si parla tanto di sicurezza, ma la vera parola è guerra” ha detto il Pontefice, che ha continuato: “il mondo è in guerra a pezzi: c’è stata la guerra del 1914 con i suoi metodi, poi la guerra del ’39-’45, l’altra grande guerra nel mondo, e adesso c’è questa.
Non è tanto organica forse, organizzata sì non organica, dico, ma è guerra.
Questo santo sacerdote è morto proprio nel momento in cui offriva la preghiera per la chiesa, ma quanti, quanti cristiani, quanti di questi innocenti, quanti bambini vengono uccisi.
Pensiamo alla Nigeria – ha esortato – ed aggiunto che non dobbiamo dire: ‘ma quella è l’Africa’, perché questa guerra riguarda il mondo intero e ciascuno di noi e non dobbiamo avere paura di dire questa verità: il mondo è in guerra perché ha perso la pace”.
Nonostante l’evidente preoccupazione nelle parole di Bergoglio, indirizzate alle giovani folle, è trapelata una tenerezza mista ad una serafica serenità.
Il Papa ha dichiarato di aver fiducia nelle nuove generazioni che, attraverso la fede e la fratellanza, possano contribuire a costruire, in avvenire una società più pacifica.
Ha poi ringraziato pubblicamente sia il presidente Hollande, che lo ha prontamente contattato per porgere le sue personali condoglianze, dopo l’attentato nella chiesa nei pressi di Rouen, sia Ahmad Al-Tayyib, l’imam di Al-Azharche che ha espresso al Pontefice costernazione per l’accaduto e sentimento di solidarietà verso la Chiesa e verso i popoli caduti nel mirino della follia dell’Isis.
Ciò che il Papa ha voluto sottolineare è che l’Islam non ha alcuna responsabilità diretta: a seminare l’odio, prendendo a pretesto Dio per fare del male, sono le deviazioni religiose; poiché gli uomini di fede vera sono sempre uomini di pace.
Il Papa alle autorità ha parlato della paura dilagante verso gli immigrati e del fatto che occorre superarla per “realizzare il miglior bene”.
La disponibilità ad accogliere “quanti fuggono dalle guerre e dalla fame” non sembra però rientrare nelle priorità del governo, tanto che i vescovi hanno più volte denunciato esagerati controlli alle frontiere.
Ieri mattina prima di prendere l’aereo Bergoglio ha voluto salutare a Santa Marta alcuni profughi musulmani ospitati in Vaticano.
Certo un piccolo segno, ma un segno davvero molto importante.
Ancora una volta Bergoglio ha dimostrato non solo di essere un Papa aperto, ma di navigare controcorrente, con tenace determinazione.
All’inizio di settembre, il Vaticano ospiterà un convegno delle Americhe sul dialogo interreligioso. L’iniziativa, partita dal segretario uruguaiano della Organizzazione degli Stati americani, Luis Almagro, in collaborazione col cardinale Jean-Louis Tauran, regista dei rapporti con le altre fedi, sarà solo un primo passo.
Dovrebbe portare alla creazione di un istituto panamericano che replichi e allarghi a Stati Uniti e Canada l’iniziativa presa nel 2001 dall’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio: un forum che metteva insieme cattolici, ebrei e musulmani.
Dunque, in apparenza c’è solo continuità nella strategia della Santa Sede nei confronti dell’Islam.
Eppure, l’eversione del cosiddetto Isis sta scavando nicchie profonde e di sdegno: tanto più dopo l’omicidio dell’anziano sacerdote di Rouen.
La sensazione diffusa è che il rosario di attentati ponga problemi crescenti nel rapporto tra Occidente e comunità islamiche.
Sono in molti ad esercitare pressioni su papa Francesco perché dica parole più nette contro un’eversione fondamentalista che si ispira al Corano ed aumenta l’irritazione per quelle che Avvenire, quotidiano dei vescovi, ieri definiva “condanne sporadiche” del mondo musulmano.
Riflette l’esigenza che l’Islam rielabori le sue posizioni per non lasciare spazio ideologico all’Isis.
Ma ieri il Vaticano ha diramato un comunicato in cui si legge: Il Papa sa che essere usato per una guerra di religione tra cristiani e musulmani significherebbe spingerlo a schierarsi non contro il fondamentalismo ma contro l’Islam nel suo complesso”.
Ciò che preoccupa Bergoglio è che bollando come musulmane le frange sanguinarie, per paradosso si finisca per alimentare il fenomeno.
L’obiettivo è di far capire alle autorità religiose islamiche che la Chiesa cattolica non cederà a chi, con l’argomento del terrorismo, insiste sulla necessità di cambiare passo nel dialogo.
Il presupposto per rafforzare la posizione vaticana senza farla apparire d’ufficio o debole è una rilettura dell’Islam da parte degli stessi musulmani, che ne impedisca una interpretazione “letteraria” estremista e violenta.
“Bisogna togliere ai jihadisti la legittimità dell’uso dell’islamismo”, ha detto di recente Olivier Roy, politologo e orientalista francese, molto caro a Bergoglio.
Dunque, per il Vaticano il fronte da presidiare è doppio; e su uno sfondo che diventa sempre più ostile. Deve confrontarsi con i vertici sciiti e soprattutto sunniti e convincerli che è nel loro interesse combattere l’Isis e il fondamentalismo.
E , nel frattempo, deve evitare che lievitino nel mondo cattolico posizioni alimentate dalla paura e da una reazione diffusa e impaziente verso l’eversione, spesso associata all’immigrazione.
Il problema non è davvero semplice.
Come ha scritto Ludovico Polastri su Affaritaliani.it, non è difficile prevedere uno dei seguenti tre percorsi per l’Europa: un dominio mussulmano, il rifiuto dei musulmani oppure un’armoniosa integrazione di essi. Non mi sembra di sbagliare molto nel dire che se i modelli occidentali sono questi la caduta della nostra civiltà, che per secoli è stato il motore del globo, sia scontata.
Ed è scontata perché non abbiamo più ideali, né una vera, riconosciuta identità etica, morale, comportamentale.
Ratzinger, dopo il discorso a Ratisbona (12/09/2016) non riuscì più a motivare la propria permanenza al soglio petrino: aveva espresso un pensiero storico ritenuto offensivo.
Se l’avesse sostenuto avrebbe provocato una guerra ideologico-religiosa; chiese scusa, posò la mano sul Corano pregando in direzione della Mecca all’interno della Moschea Blu di Istanbul il 30 novembre 2006 ma capì lo svuotamento, l’incapacità di vedere oltre.
Fu una resa incondizionata di tutto il pensiero occidentale, europeo in particolare.
Del resto il primo passo verso questa follia suicida era stato già compiuto da Giovanni Paolo II quando aveva baciato il Corano il 14 maggio 1999 e ancor prima con il Concilio Vaticano II, tentativo mal riuscito di modernizzazione della Chiesa.
Non c’è da stupirsi allora se la spiritualità laica dell’Occidente lascia spazio all’ateismo, a tutti i settori intellettuali, morali, scientifici, in una specie di fatalità.
La verità che non vogliamo confessarci è che gli europei e gli italiani in particolare, non amano più la loro storia, le loro radici, i loro usi e costumi, manifestante un tale auto-disprezzo ha delle dirette implicazioni: se si disprezzano i propri costumi, per quale motivo degli stranieri dovrebbero adottarli?
Carlo Di Stanislao
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