43 anni fa ci lasciava l’attrice più celebre d’Italia. Oggi viene raccontata nella biografia scritta dal giovane Matteo Persica che rivela il suo legame con l’Aquila.
A quarantatre anni precisi dalla morte (avvenuta il 26 settembre 1973) e sessant’anni dopo la vittoria dell’Oscar, Anna Magnani resta l”attrice più popolare d’Europa, avendo conquistato tutti attraverso le sue interpretazioni indimenticabili: da “Roma città aperta” a “Bellissima”, da “La rosa tatuata” a “Mamma Roma”. Al contrario, la donna Magnani è rimasta sempre un mistero e negli anni si sono accavallati ritratti distanti dalla realtà. Ora, attraverso il libro “Anna Magnani. Biografia di una donna” di Matteo Persica (Odoya Edizioni) – verrà presentato il 29 settembre al Terra di Siena International Film Festival; il 15 ottobre presso lo SpazioCima di Roma – possiamo dimenticare lo stereotipo della donna volgare, isterica e dal carattere scontroso. Al contrario, dal libro di Persica ne viene fuori il ritratto di una persona colta, intelligente, introspettiva, capace di analizzare la società in maniera scientifica, una donna dalla mentalità umana, moderna e controcorrente. Nel libro viene svelato il forte legame tra l’attrice e l’Abruzzo: sei anni prima di approdare a Roma, nel 1899 la famiglia materna visse a L’Aquila, dove il 3 dicembre dello stesso anno nacque sua zia Italia Magnani.
In un momento storico come il nostro, nel quale l’arrivismo e la smania di visibilità sono all’ordine del giorno, dovremmo domandarci se un modello pregno di valori come quello di Anna Magnani, che preferì restare fedele a se stessa e al suo pubblico fino alla fine anche quando il mondo del cinema le fece la “guerra”, dipingendola come donna dal carattere “difficile” e mettendola letteralmente ai margini, valga la pena farlo conoscere alle nuove generazioni.
Tornando ai funerali della Magnani, fece effetto la mancanza di Paolo Stoppa, che aveva condiviso con lei gli esordi. Pochi giorni dopo, su Il Globo, venne pubblicata una lettera nella quale l’attore scriveva: «Cara Anna, come mai al tuo funerale c’era tutta Roma e io no, non devo spiegarlo proprio a te, che certamente non saresti venuta al mio. Ce l’eravamo promesso – tacitamente – ogni volta che avevamo parlato insieme di questi magnifici funerali degli attori, che tutti e due sfuggivamo come fosse il nostro. “A questi galà” mi dicesti una volta “c’è sempre qualche collega del morto disposto a prenderne il posto nella cassa, pur di rubargli la parte di protagonista”. Credevo, Anna, che ai tuoi funerali almeno questo ti sarebbe stato risparmiato, per due motivi. Primo: perché la parte di protagonista, a te, nessun collega ha osato negartela mai, facendo anzi di te un monumento fin dai tempi di Roma città aperta. Secondo: perché a rubarti la parte di protagonista – in pratica – i colleghi s’erano già abbastanza sfogati, da quei tempi a oggi, facendo di te appunto un monumento, ma un monumento disoccupato. E invece no. Anche al tuo funerale – e subito prima, e subito dopo – c’era un mucchio di gente che tentava di rubarti la battuta. Non dirò chi, non dirò come. Erano in tanti, e ciascuno a suo modo, ciascuno nel suo piccolo».
Anna era morta. Qualcosa era veramente finito. «Ora non posso più nemmeno pensare di tornare a Palazzo Altieri» ricorda Franco Monicelli «di rivedere quella poltrona su cui lei sedeva. Perché quella casa, quella bellissima casa, senza di lei è morta, non vale più nulla. Come tutte le cose che toccava, che lei abitava, a cui lei partecipava. Erano vive finché c’era lei, senza di lei morivano. Un nostro amico mi ha telefonato oggi e piangendo mi ha detto: “Ora non ci litigheremo più”».
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Il libro “Anna Magnani. Biografia di una donna” è stato recentemente presentato con successo al Festival di Venezia, considerato dalla critica il migliore sull’attrice: «È un libro monumentale, zeppo di rivelazioni e di cosiddetti virgolettati significativi: un testo che rimarrà» per Mariano Sabatini; «Un’autobiografia postuma» per Giancarlo Governi; «Il più bel libro su Anna Magnani» per Maurizio Costanzo.
Un libro che ha sorpreso gli addetti ai lavori per la qualità del testo e per la giovane età dell’autore: Matteo Persica, romano classe 1982, autodidatta, che ha speso otto anni della sua vita per concludere le ricerche.
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