Di Stefano Parisi si sente parlare spesso. Ha fatto una convention a Milano e raccoglie molti consensi. Berlusconi gli ha proposto di diventare coordinatore nazionale di Forza Italia, ma lui ha preferito non avere ruoli ufficiali: si è messo al lavoro con umiltà e competenza per costruire contenuti e “ricostruire” quel Centrodestra che, negli ultimi anni, ha visto mancare all’appello una montagna di voti.
Terminata l’intervista, al momento di congedarci, mi è venuto spontaneo dirgli: “Le auguro in bocca al lupo. Ha acceso forti aspettative, è una grande responsabilità”. Parisi ha sorriso e ha risposto: “Lo so. E ne sento tutto il peso”. “Sì ma lei è abituato alle sfide e alle verifiche. Infondo, che c’è di diverso dallo stress su un bilancio?” Mi ha guardato un attimo e ha detto: “Mi creda è molto diverso, qui c’è in gioco la vita delle persone e di un Paese”. Nessun tono retorico, forse il timbro della voce leggermente cambiato, a segnare la consapevolezza di un ruolo estremamente difficile. Ci crede, Stefano Parisi. Crede in quello che fa e lo fa senza risparmiarsi. Con convinzione e contenuti. Lo abbiamo incontrato a Milano, dove è iniziata la sua avventura tutta politica.
Centrodestra e Centrosinistra: nessuno ride. Di più, fanno tutti finta di non piangere, anche se ne hanno motivo. Che Centrodestra vuole, Parisi?
Un Centrodestra di governo che rappresenti una valida alternativa al Centrosinistra. Credo che oggi il compito del Centrodestra sia quello di essere un’importante e valida forza di governo e non soltanto una forza di opposizione. Non è un caso che nelle ultime elezioni comunali a Milano, in presenza di due valide alternative, i Cinquestelle abbiano raccolto circa il 10%.
Il primo punto, quindi, è fermare il Movimento Cinquestelle?
No, quella è una conseguenza. L’obiettivo è vincere le elezioni e governare l’Italia con una politica completamente diversa da quella che ha seguito Renzi finora. L’obiettivo è tranquillizzare gli italiani. E non solo. Occorre anche mandare segnali forti ai mercati internazionali, dimostrando che in Italia c’è un’alternativa fisiologica, non anti-sistema, che vuole governare il Paese in modo diverso rispetto a come l’ha governato Renzi.
Lei sta costruendo contenuti e afferma che le idee vengono dal territorio. Ne è proprio convinto?
Certo. Ma non sto solo costruendo contenuti, sto anche selezionando persone che abbiano voglia e capacità di fare politica. Candidati e collaboratori, persone che vogliano impegnarsi. Bisogna presentarsi con una piattaforma politica nuova, con persone nuove: sto lavorando per questo. Credo anche che molte idee vengano proprio dal territorio, dal buon senso comune della gente. L’Italia è un paese talmente variegato che non è pensabile vederla solo da un punto. Il Mezzogiorno è stato completamente dimenticato dalle forze politiche o, meglio, è stato ricordato dai Cinquestelle, ma solo per urlare contro tutto e contro tutti.
Come prima cosa, abbiamo definito il nostro quadro politico: siamo una forza liberale, popolare e vogliamo meno Stato e più società. Una volta capito questo – quali sono i nostri fondamentali – si tratta di ascoltare i suggerimenti delle persone, dei professionisti, degli imprenditori, degli studenti. E’ un’operazione di ascolto che la politica dovrebbe fare sempre. Purtroppo non è così.
Se dovesse, allo stato attuale, dare cinque priorità per l’Italia?
Sicuramente: sicurezza, immigrazione, lavoro, sviluppo economico e sburocratizzazione, cioè togliere di mezzo un apparato statale ostile alle persone e alle imprese.
Che giudizio dà sui provvedimenti e le leggi che Renzi sta facendo su questi temi?
Non ci sono provvedimenti o leggi che diano una svolta. Sono tutte riforme che – usando una sua frase – non “cambiano il verso”. Sono tutte piccole misure, come il job act, la “riforma della scuola” (che riforma non è)… Non ha riformato la pubblica amministrazione. La pubblica amministrazione si riforma con la tecnologia e la motivazione delle persone che ci lavorano. Bisogna investire in modernizzazione.
In sintesi quale è il suo giudizio su Renzi?
Ha creato la grande illusione che potesse essere un leader di Sinistra in grado di abbattere dei pregiudizi e dei modi di pensare di cui è portatrice una parte della Sinistra stessa. Ha sì emarginato la parte di Sinistra più radicale e più antiberlusconiana, inaridita nell’antiberlusconismo. Ma non basta, per quello che serve al Paese. Non è riuscito a costruire un modello nuovo di governo che non fosse solo centrato sulla capacità di comunicazione. Il feeling con la gente dura un po’ ma poi si vogliono vedere i fatti. Ora si è concentrato sul referendum, promettendo a destra e a manca. Parla di ponte sullo stretto, di quattordicesima per i pensionati. Nelle ultime settimane abbiamo dovuto sentire parecchi proclami. Ha continuato a dire che l’economia italiana andava bene, mentre la gente s’impoverisce. Questa mancanza di verità ha creato distanza e sfiducia nella persona di Renzi e anche, purtroppo, nella politica in generale.
Meno Stato significa anche tagli ai posti di lavoro?
E’ sbagliato partire dai tagli. Bisogna partire dalla funzione che la pubblica amministrazione svolge. Tutte le politiche di spending review sono state fatte lasciando immutato l’output, il perimetro in cui la pubblica amministrazione lavora.
Bisogna ripensare a quello che deve fare la pubblica amministrazione in Italia e cosa – non avendo più soldi – deve far fare alla società. In Italia abbiamo una quantità enorme di associazioni di comitati, ma anche di società che sono cresciute, ad esempio, nel mondo del lavoro in seguito alle riforme Treu e Biagi. Per non parlare delle scuole paritarie. Insomma, bisogna passare da una logica in cui lo Stato fa tutto a una logica in cui il cittadino è libero di scegliere tra servizi gestiti dal privato o dal pubblico, con l’obiettivo di trasferire queste funzioni sempre di più al privato. Questo significa ridurre il costo della spesa pubblica senza ridurre occupazione, perché quelle attività possono essere svolte dalle stesse persone che oggi lavorano nel pubblico, trasferite con una maggiore produttività e maggiore efficienza.
Al Four Seasons di Milano c’è stato un confronto fra lei e Toti. Il pubblico si è schierato decisamente dalla sua parte. Alla fine Toti ha detto: “Uniti si vince”. Uniti da che?
Infatti… È vero che si vince uniti, ma bisogna essere uniti dalla voglia di governare l’Italia in modo efficiente, dalla voglia di risolvere i problemi. Ci vuole accordo su programma e persone. Il programma è fatto bene se le diverse forze che compongono la coalizione hanno una loro identità.
La Lega un’identità ce l’ha.
Sì e Forza Italia non ce l’ha più. Bisogna costruire un’identità liberale di Forza Italia e poi faremo i migliori accordi del mondo, ma senza identità si può soltanto essere a rimorchio di qualcun altro.
Il referendum è la madre di tutte le battaglie o no?
Assolutamente no. Renzi l’ha voluta far diventare la madre di tutte le battaglie dicendo che era la riforma di tutte le riforme. Ha detto: se passa il sì l’Italia cambia. Purtroppo non è così. I problemi più importanti per l’Italia sono la crescita lo sviluppo economico, la burocrazia, la pressione fiscale. Se questa riforma dovesse passare, per i prossimi dieci anni saremo impegnati a riorganizzare la forma dello stato, a decidere quali sono le vere competenze, perché è una riforma molto confusa, fra stato, regioni ed enti locali. Ci perderemo per sempre il federalismo. Per questo penso che sia molto meglio evitare questa riforma e, invece, avviare un processo riformatore del governo, molto più limpido e più chiaro, con un diverso coinvolgimento dei cittadini.
Dato il suo no a questa, a quale riforma pensa?
Ci vuole una riforma che rafforzi il governo, che lo stabilizzi, che si basi su una sola camera, che chiarisca il ruolo delle regioni in Italia – se devono continuare a essere 21 microregioni o se dobbiamo pensare a macroregioni che abbiano una dimensione più ragionevole. Abbiamo regioni che, come popolazione, sono grandi come un quartiere di Milano.
Questo referendum avrà un solo vero effetto: spaccherà il Paese a metà. E allora abbiamo dei tifosi del sì e del no, non dei ragionatori, persone che dicono mi piace o non mi piace per questo motivo.
Per chiarire una volta per tutte: la sua operazione è dentro o fuori da Forza Italia?
Fuori, con grande supporto di Forza Italia e anche di Berlusconi.
I contenuti sono al centro della sua identità. Ci sono critiche per la mancanza di leadership: c’è chi la rimprovera di non avere passione, aggressività, capacità politica nei contrasti con gli avversari…
Solo due cose voglio dire. Uno, c’è grande entusiasmo intorno a quello che stiamo facendo e questo ci dà grande soddisfazione. Due, se avere la leadership significa avere un altro Berlusconi, meglio mettersi l’animo in pace: non c’è. Non ci sarà più un uomo con quella potenza mediatica e creazione di consenso che ha avuto lui. Da solo ha vinto le elezioni, da solo.
E, quindi, quale è il futuro del Centrodestra?
Il futuro del Centrodestra – ammesso che Berlusconi non voglia ricandidarsi – è una squadra. Non è una persona singola, anche perché chi ha provato a fare Berlusconi senza riuscirci è Renzi, e la sua parabola è durata molto poco. O hai la forza e la capacità di interpretare l’opinione pubblica oppure, se non ci riesci, dotati di una buona squadra che sappia capire i problemi, come affrontarli, e che tipo di soluzioni dare. E’ meglio, altrimenti le parabole mediatiche hanno vita breve. Berlusconi dura da 20 anni. Renzi, dopo tre anni, è già in difficoltà.
Per vincere ci vuole una squadra. La sua è già pronta?
Stiamo costruendola. Ci sono tantissime persone che stanno dando una mano – di area prevalentemente liberale – che la pensano come me o che hanno votato in passato Centrodestrta. Anche giovani che si stanno avvicinando alla politica con una cultura liberale moderna. I problemi che avremo nei prossimi 30 anni nel nostro continente – quindi la globalizzazione, l’immigrazione, la povertà, il degrado demografico la trasformazione digitale – potremo affrontarli non con i parametri di Adam Smith, ma con i nuovi parametri di libertà: non più uno Stato ostile verso il cittadino, ma uno Stato che ha fiducia nella società.
Tutto questo basta per dare una risposta al populismo?
Non amo la parola populismo, quello è voto popolare. Le élite, quando il voto popolare non va nella direzione dei loro convincimenti, lo chiamano populismo. Il voto popolare ha paura dell’immigrazione, ha paura dell’Europa, non ha capito l’euro; e, allora, bisogna prendere quelle persone che votano i partiti radicali – che spesso non offrono soluzioni ma offrono solo un luogo di protesta – e trasformare quel voto in una speranza. C’è la possibilità di affrontare il problema dell’immigrazione, dell’Europa, dell’euro, della povertà e quindi non c’è una contrapposizione. C’è un tentativo di comprendere quel voto e di dare a quel malessere una soluzione.
Qual è la differenza principale con Renzi?
Il suo slogan è “l’Italia cambia verso”. Io credo sia importante il rispetto per gli italiani e non dire la verità è mancanza di rispetto. Non si possono dire cose che non sono vere, parlare di buona scuola quando non è così, dire che questa è la riforma delle riforme, un fatto epocale quando invece è un pasticcio incredibile. Mi piacerebbe riportare al Centrodestra quella fiducia che ha perso, visto che circa 10 milioni di persone non lo votano più. Bisogna fare un’operazione di verità, smetterla con l’ipocrisia. Non c’è un genio che sta solo in una stanza, capisce i problemi e dà soluzioni. Ci vuole un po’ più di umiltà.
Qualcuno dice che l’umiltà non è una caratteristica dei leader…
Io, invece, penso di sì, perché ascoltare è molto importante, capire un Paese come l’Italia è complesso. C’è bisogno di tante persone professionalmente preparate, integre dal punto di vista morale e forti dal punto di vista professionale, un nuovo ceto politico per governare il Paese. Questa è la grande differenza. Lui è uno che puntato tutto su se stesso, io punto tutto su una generazione di persone che ha voglia di mettersi in gioco, senza interessi personali, per cambiare l’Italia.
Lei ha detto che non rottama nessuno, perché i rottami tonano sempre indietro. Non le sembra che gli attacchi dei colonnelli di Forza Italia siano un po’ fuori le righe? Se dovesse dire “smettetela di …”?
Penso che la ragione di tutto ciò sia la paura del cambiamento, dell’innovazione; la paura di capire che c’è una nuova sfida nel Paese e se vogliamo veramente risolvere i problemi dobbiamo tornare al Centrodestra maggioritario. Il Centrodestra maggioritario ha bisogno anche di persone nuove che acquisiscano la fiducia che, oggi, il gruppo dirigente di Forza Italia ha perso. E’ un dato di fatto. Forza Italia senza Berlusconi prende il 4-5% a Roma piuttosto che a Torino. Bisogna rifletterci.
Io sto dando un contributo. Non ho voluto fare il capo “di qualcosa”: quando Berlusconi mi ha chiesto di fare il coordinatore di Forza Italia ho scelto di aiutare percorrendo un’altra strada, immergendomi in quel popolo che nel Centrodestra ha visto, in passato, la possibilità reale di cambiare e che deve ritrovare fiducia. Penso, allo stesso tempo, che se qualcuno lavora per trovare soluzione ai grandi problemi di consenso che il Centrodestra ha …
…i colonnelli di Forza Italia debbano essere contenti?
O, almeno, fare di necessità virtù!
Dario Tiengo-tribunapoliticaweb,it
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